Il 66,7% dell’elettorato italiano dice di non nutrire fiducia nei confronti del governo di centrosinistra Conte-bis dei balconazo

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Abbiamo assistito all’ennesimo balconazo di Giuseppe dei Conti di Giuseppi, trasmesso dal cortile di Palazzo Chigi con il portavoce Casalino forzatamente inquadrato (e non è una bella immagine istituzionale), nel primo giorno di riapertura tra le Regioni dopo il lockdown imposto a causa dell’emergenza sanitaria Covid-19: «A distanza di circa un mese dal 4 maggio i numeri possiamo dirlo con relativa prudenza ma con chiarezza sono incoraggianti. Ora possiamo ripartire. Ci meritiamo il sorriso e l’allegria dopo settimane di duri sacrifici. Ma è bene ricordarci sempre che se siamo tra i primi Paesi europei che può riavviare le attività e le condizioni di vita in sicurezza è perché abbiamo accettato tutti insieme di modificare in maniera radicale le nostre abitudini di vita».

Quindi, con un autoelogio a tutti gli effetti, Conte chiede a reti unificati la collaborazione delle opposizioni, afferma che il governo ha agito bene, che arriveranno i fondi Ue, che il suo Governo-dei-proclami taglierà le tassi. Invece, annunciando gli Stati generali dell’Economia, lanciando una frecciata a Confindustria dice: “Confindustria non si limiti a chiedere meno tasse”. Carlo Bonomi, Presidente Confindustria in un’intervista a La Repubblica aveva detto che la politica può fare più danni del virus. “Quell’espressione è sicuramente infelice, e la rimando al mittente – ha risposto Conte -. Detto questo noi abbiamo la responsabilità di governare, abbiamo gli Stati generali dell’economia, a cui parteciperà anche Confindustria. Dall’intervista che ha rilasciato desumo che Confindustria poterà progetti lungimiranti, di grande respiro e impatto. Sarò lieto di confrontarmi anche con loro”.

Sempre le stesse promesse, mentre quelle precedenti sono rimaste tale. Intanto l’esecutivo presieduto da colui che pensa di governare e solo promette in balconazo copia incolla sempre gli stessi soldi che non ha, e solo monopattini e biciclette si possono comprare (e successivamente chiedere il contributo, non si sa quando si vedrà), sta al 28 % di gradimento.

“Ancora una volta, dopo 4 mesi dall’inizio della crisi Covid-19, dopo un periodo nel quale il governo è andato avanti a colpi di dpcm esautorando il parlamento, ponendo la fiducia sugli atti principali, mettendo così fuori gioco le opposizioni. il premier traccia un bilancio positivo, non accorgendosi che il paese si sta avviando verso la più grave crisi economica e sociale.
E continua ancora a parlare col futuro e col gerundio, stiamo predisponendo, stiamo preparando, faremo, interverremo, cosciente che finora tutti i provvedimenti approvati e predisposti hanno fatto cilecca. La gente è senza soldi, e famiglie faticano a tirare avanti, le partite Iva e i piccoli commercianti (guarda caso il serbatoio elettorale della lega) sono alla disperazione, non avendo ricevuto ancora tutti gli aiuti promessi. E anche molti lavoratori attendono la cassa integrazione. Ma per la Fiat FCA si sono trovati subito, in 2 giorni, 6,3 miliardi di aiuti, senza pretendere che facesse rientrare la sede fiscale in Italia, in modo di acquisire almeno le tasse del gruppo, in cambio del generoso, consueto trattamento riservato alla famiglia, di fronte al ricatto dei licenziamenti e alle prese di posizioni dei giornali di cui è sostanzialmente proprietaria.
Il premier continua a vivere in un mondo ovattato, fatto di adulatori e di consiglieri prezzolati, e sta dietro ai sondaggi che però in questi ultimi tempi lo indicano in calo di gradimento. Il popolo italiano forse, almeno una parte, comincia a comprendere il guaio in cui ci stanno cacciando gli esponenti del governo giallorosso, con l’assenza di Mattarella.
Nelle affermazioni del premier c’è tutto e il contrario di tutto, la lode per gli aiuti comunitari, con in testa il Mes, ma poi l’affermazione che questi aiuti arriveranno troppo tardi, le critiche alle opposizioni, che fanno il loro mestiere seppur contrastate dalla magistratura e dalla stampa asservita. La promessa delle riduzione delle tasse, fatta da ogni governo, ma mai realizzata. Ma alla fine ecco la trovata geniale tanto cara alle sinistre, che si fanno sempre scudo delle affermazioni populistiche dei vari Presidenti della repubblica, prima Re Giorgio Napolitano, poi Sergio Mattarella: il richiamo all’unità nazionale, alla concordia fra maggioranza e opposizione. Che si deve raggiungere solo quando al governo sono le sinistre, mai quando ci sono maggioranze diverse (Berlusconi, governo gialloverde), allora il Pd e i suoi accoliti scatenano le piazze contro il governo, altro che collaborazione!
Gli italiani non hanno fatto tanti sacrifici per sentirsi prendere in giro ancora una volta, se ne ricordi l’Avvocato del popolo” (Paolo Padoin – Firenzepost.it, 3 giugno 2020).

Intanto, nella giornata della festa della Repubblica e alla vigilia del 3 giugno che per l’Italia ai tempi del Covid-19 vuol significare un ulteriore ritorno alla “normalità”, secondo il sondaggio realizzato da Tecnè per l’Agenzia Dire, l’indice di fiducia dell’elettorato nei confronti del Conte-bis (il governo di centrosinistra formato da Movimento 5 Stelle, Partito Democratico, Liberi e Uguali e Italia Viva) è crollato al 28,9%. Al contrario, il 66,7% dell’elettorato italiano dice di non nutrire fiducia nei confronti del Conte-bis, mentre il 4,4% non indica. Insomma, due terzi dell’elettorato italiano boccia l’esecutivo del autoproclamato “avvocato del popolo”.

Per quanto riguarda le preoccupazioni e le ripercussioni economiche della crisi del coronavirus sul bilancio familiare, secondo il 34,5% degli intervistati non vi saranno cambiamenti significativi, mentre il 60,5% è certo che nel portafoglio familiare entreranno meno soldi. Il dato arriva all’86% tra coloro che sono lavoratori autonomi e al 69% tra i lavoratori dipendenti. Il 5%, invece, non esprime un’idea.

Per quanto riguarda le intenzioni di voto qualora si tenessero le elezioni politiche, al primo posto si troverebbe la Lega di Matteo Salvini al 26%, il Pd di Nicola Zingaretti al 20,3%, il Movimento 5 Stelle di nessuno e i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni al 15%, Forza Italia di Silvio Berlusconi all’8,2%, Italia Viva di Matteo Renzi al 3,1%, La Sinistra al 2,7%, Azione di Carlo Calenda al 2,5%, +Europa di Emma Bonino all’1,8%, i Verdi all’1,7%, tutte le altre formazioni messe assieme al 3,7%. Invece l’astensione e l’indecisione secondo il sondaggio di Tecnè per l’Agenzia Dire è al 42,1%.

Clamoroso invece Affaritaliani.it in un articolo di Alberto Maggi dal titolo “Conte, sondaggi gradimento: premier perde consensi, quanto è calata la fiducia”, pubblica l’elaborazione di una stima considerando tutti i sondaggi usciti nelle ultime settimane realizzato da Renato Mannheimer di Eumetra. Secondo questo studio, dai primi di maggio ad oggi il consenso nel Presidente del Consiglio dei ministri è sceso dal 66% al 60%. “La percentuale in Conte come leader e capo del governo resta abbastanza alta – spiega Mannheimer – ma la gente inizia a essere seriamente preoccupata per la situazione economica del Paese e questa sensazione sempre più diffusa sta portando a un calo generalizzato della fiducia”. Per il momento non si registra nei sondaggi uno spostamento di gradimento dal presidente del Consiglio agli altri leader politici. “Molti cittadini sono confusi e disorientati”, sottolinea Mannheimer, che segnala un consenso sempre molto alto per la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni mentre il leader della Lega Matteo Salvini è stabile e ha smesso di perdere in termini di fiducia. Stabili anche Nicola Zingaretti, Silvio Berlusconi e Vito Crimi, per quanto riguarda Matteo Renzi, “il leader di Italia Viva deve trovare un suo ruolo nella politica italiana”.

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IL RETROSCENA
Le sofferenze nel Pd. Pressing su Conte perché chieda già altri finanziamenti
Verso un nuovo scostamento di bilancio. Intanto i dem chiedono di far planare sul sistema economico le risorse già varate
di Francesco Verderami
Corriere della Sera, 3 giugno 2020

Avviso al navigante: il governo ha caricato di troppe aspettative il Paese, ha trasmesso il messaggio che l’Europa era pronta a coprire l’Italia di risorse, che i sovranisti erano in rotta. Ma la narrazione non coincide con la realtà, perché le risorse saranno inferiori a quelle ipotizzate e la parte più significativa non arriverà in tempo utile. Così adesso bisogna fronteggiare la crisi economica dopo la crisi sanitaria con una coperta corta, che espone ai rischi di una crisi sociale. Il navigante è Conte, l’avviso viene dal Pd, che teme un autunno drammatico e chiede al premier, per dirla con Bettini, «una strategia capace di affrontare mesi ancor più terribili di quelli che abbiamo alle spalle». E si capisce come il problema sia di tali dimensioni che non si supera con un cambio alla presidenza del Consiglio, nè si risolve con un rimpasto (come pure ha riproposto Sala in un’intervista al Corriere) o con un ipotetico allargamento della maggioranza. Il punto è che la coalizione di governo (e chi la guida) ha scommesso in proprio e una sua sconfitta potrebbe provocare sconquassi ben oltre il perimetro delle forze politiche. Per questo il Pd è preoccupato, perciò chiede che venga dismessa la dottrina degli annunci e – spiega un autorevole ministro dem – siano «affrontate subito tre questioni: la prima è far planare sul sistema economico le risorse già varate; la seconda è prepararsi senza remore ideologiche a chiedere ulteriori fondi al Parlamento e all’Europa; la terza è costruire un piano di interventi che chiuda la fase dell’assistenza e si concentri sugli investimenti. Basta con le manfrine».
«ESPRESSIONI INFELICI»
Traduzione: per l’autunno servirà un ulteriore scostamento del bilancio pubblico nell’ordine dei trenta miliardi, a cui andranno aggiunti «senza se e senza ma» i soldi del Mes. Che poi è quanto ha fatto capire ieri in conferenza stampa un Conte ormai senza più alibi: «Sul Recovery fund abbiamo in effetti un problema di immediata spendibilità e stiamo lavorando per avere delle anticipazioni». Cambia la narrazione come precipitano i sondaggi, e non solo quelli personali del premier: perché il presidente di Confindustria avrà potuto usare «espressioni infelici», ma un report di Euromedia research racconta che il 52,6% degli italiani è insoddisfatto dei provvedimenti di governo per le imprese. Ed è solo l’inizio. Non ci sono soldi e non ci sono appigli per Palazzo Chigi, a meno di scambiare l’apertura al dialogo di Berlusconi per un finanziamento (politico) a fondo perduto. Come anticipa il responsabile azzurro all’Economia Brunetta, sostenitore del confronto, «o la maggioranza condivide con l’opposizione un piano di riforme nazionali, oppure il prossimo scostamento di bilancio se lo vota da sola».
Ecco la conseguenza dell’atteggiamento del governo denunciato dalla Meloni con il capo dello Stato: «Prima si sono presi in Parlamento i nostri voti, poi hanno usato le risorse senza nemmeno consultarci». E in effetti c’è stata finora a Palazzo Chigi una concezione unilaterale dell’unità nazionale sollecitata da Mattarella. Ma l’idea di privatizzare politicamente i profitti per la maggioranza, immaginando di statalizzare le perdite dividendole con l’opposizione, non convince più nemmeno il Pd. Così va interpretato l’appello di Franceschini, che evocando il secondo dopoguerra ha spiegato come «per ricostruire vanno messi da parte gli egoismi».
GESTIONE CONTROLLATA DEL CONFLITTO
Mai come oggi gli equilibri politici dipendono dai fattori economici, e le preoccupazioni nella maggioranza — orientata a rafforzare il perimetro della coalizione — sono frutto delle proiezioni per quanto potrà accadere nei prossimi mesi.
Nell’attesa anche il fronte opposto resta tatticamente inchiodato alla richiesta del voto anticipato, perché un cambiamento di copione dettato dal precipitare della crisi metterebbe a repentaglio gli equilibri e le leadership del centro-destra. Più che a un disarmo bilaterale, insomma, i due schieramenti mirano a una gestione controllata del conflitto: la maggioranza spera di resistere per arrivare a gestire l’elezione del prossimo capo dello Stato, l’opposizione conta di succedergli a Palazzo Chigi. «A meno che non salti tutto. E allora – si lascia sfuggire un ministro del Pd – a quel punto c’è Draghi».

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