Riflesso della gloria divina

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Nell’arte liturgica, la bellezza non è l’effetto dell’arte umana che si autocompiace e, perciò, si autocelebra: sarebbe idolatria! Non è nemmeno mezzo per fare spettacolo su Dio a un Dio disincarnato, lontano, intoccabile, insensibile, inarrivabile: sarebbe falsità! Nell’arte liturgica, la bellezza è il riflesso della Gloria divina che si svela e si rivela; l’orante liturgico entra in comunione d’amore con il Dio “vicino e arrivabile” fatto carne della nostra natura. Nell’incontro teandrico sacramentale, l’arte del canto e della musica vive, non per “sacra” distanza, ma per “santa” partecipazione. Nella santa Liturgia, canto e musica danno vita al Ritus e allePreces, cioè, ai gesti celebrativi e ai testi rituali, in vista di una operatività ministeriale.

 

Il canto gregoriano, a riguardo, ci offre la lezione magistrale. Questo canto nasce dall’esperienza orante della comunità che celebra il Mistero. Il gregoriano è, per sua natura, “preghiera liturgica fatta canto”,infatti, dalla Parola ritualmente contestualizzata derivano le varie strutture formali e i diversificati generi musicali. Dalla Parola, fonte e forza originante e originale, fiorisce il melos di questo canto che esprime il dia logos tra Dio e l’uomo,all’interno della divina liturgia.

Storicamente sappiamo che a comporre nuove forme musicali espressive del culto non erano tanto “i compositori”, quanto la stessa celebrazione liturgica: essa definiva i vari tipi e i diversi generi musicali che i compositori trasformavano in canto.Le diverse forme di canto dovevano adattarsi alle varie categorie dei celebranti: Presidente della celebrazione, Diacono, Salmista, Coro e tutto il popolo di Dio. Ciascuno, a suo modo, partecipava cantandoin rapporto al proprio ruolo ministeriale. Chi componeva doveva volgere la sua attenzione:al contenuto del testo, al contesto rituale in cui il testo cantato veniva eseguito,al ministro che doveva eseguirlo,al tempo liturgico in cui doveva essere cantato,all’interno del tessuto culturale in cui viveva l’assemblea partecipante. Il canto cristiano, infatti, prende i diversi nomi dai vari centri culturali secondo le regioni d’appartenenza: romano, gallicano, mozarabico, beneventano, milanese, aquileiese…

La scrittura non comune del gregoriano è stilizzazione schematica di antichi segni tracciati su manoscritti medioevali. Sotto queste melodie caratteristiche vi era un Testo cantato in un determinato contesto che armonizzava riti e ministri, culto e cultura. Questi canti esprimevano l’incontro mistico col misterioso mondo della trascendenza. Non si trattava solo di fare il passo dal suono a un testo che faceva da supporto, bensì, dalla parola espressa in pienezza fino al completo manifestarsi in canto come espressione del Mistero celebrato. Il Logos era la fonte originante e originale del Melos.

La celebrazione liturgica, infatti, si svolgeva attraverso l’intreccio in dialogo tra Parola di Dio che parla agli uomini e parola della Chiesa che risponde a Dio con quella stessa Parola fatta canto. Questo simbolismo sonoro, che non è soggettivo appagamento estetizzante, diventa elemento epifanico per celebrare in bellezza liturgica il Mistero del dialogo salvifico tra Dio e l’uomo.

La lingua di ogni cultura dovrebbe far proprio questo prezioso segreto della simbiosi estetica tra parola e canto.Dalla semplicità dei recitativi all’eccedenza dei melismi, il canto gregoriano è modello per quanti oggi vogliono continuare a produrre opere valide e pertinenti attraverso quella bellezza sonora che esprime il “sacramentale” dei Riti liturgici. Attenti, però, la tradizione non deve essere mai una catena che impone scimmiottature aride e senza vita, ma una radice che produce fiori e frutti in rinnovata e originale bellezza. Sappiamo che l’arte, come la scienza, se non si rinnova, insterilisce e muore.

A riguardo, i documenti conciliari usano due verbi: “Conservare e incrementare”. Conservare non è verbo che indica quella sorta di conservatorismo che accumula tesori e ricchezze del passato per il piacere di collezionare. Conservareè capacità di aprirsi ad accogliere il nuovo senza dimenticare il passato, è sapienza di saper discernere con intelligenza il patrimonio tramandatoci, senza fossilizzazioni o sclerotizzazioni. Il thesaurus musicae sacrae da conservare e da incrementare con sviluppo organico non significa prenderlodi peso così com’è e inserirlonella celebrazione, ma riusarlo con competenza per poterlo riadattare con sapienza alle nuove esigenze celebrative in rapporto ai nuovi Riti. Se conservare,è il verbo in rapporto al patrimonio del repertorio antico, incrementare è il verbo in rapporto al nuovo patrimonio da comporre. La vera arte è sempre proiettata in avanti,l’arte vera è il sacro grembo creativo e fecondo in cui si genera e si rigenera l’amata bellezza che rende epifanico il Mistero.Canto e musica esprimono così quella realtà viva ed efficace che nasce, cresce e fruttifica nella forza dello Spirito Santo per introdurre l’orante liturgico nel Mistero di Dio che si rivela all’uomo e del mistero dell’uomo che entra in comunione d’amore con Dio attraverso l’evento celebrativo.Afferrato e conquistato dal fascino di questa Presenza divina, l’uomo s’immerge nell’Amore trinitario cantando e suonando con l’arte raffinata della preghiera “cuore a cuore” con Dio.

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