In stato di grave degrado la dimora di campagna borbonica alla Vaccheria di Caserta Città Reale

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Il quartiere borbonico della Vaccheria è una frazione del comune di Caserta, da cui dista circa 4 km, a circa 2 km dal Real sito di San Leucio. Situato lungo la via Francigena sulle falde occidentali dei colli tifatini (monte San Leucio e Tifata), è sito di interesse ambientale e storico-artistico, che si trova in una splendida posizione panoramica da cui domina la sottostante pianura detta di Sarzana e la vallata del Volturno verso Caiazzo e Piedimonte d’Alife.

Già piccolo insediamento romano sorto intorno all’annesso tempio dedicato a Diana Tifatina, il nome “Vaccheria”, che ancora oggi conserva l’intero quartiere in stile neomedioevale, deriva dal fatto che Re Ferdinando IV di Napoli (dal 1759, Ferdinando I delle Due Sicilie dal 1816 al 1825), costruendo un primo nucleo del quartiere nel 1773 ai piedi di un Casino di caccia reale composto di tre livelli e un seminterrato – poi chiamato “Il Casino Vecchio” – vi costruì, oltre a canetterie per i suoi cani da caccia, un edificio per ospitare un allevamento sperimentale di vacche importate dalla Sardegna. Infatti, la costruzione di questa dimora di campagna adatto ad ospitare i sovrani, è il risultato dell’amore che Re Ferdinando aveva per la caccia che svolgeva proprio in quei luoghi. Fu decorato con affreschi da Gerolamo Starace e dotato di una piccola chiesa intitolata a San Leucio, effigiato in una tela che sovrastava il piccolo altare. La facciata della palazzina presenta al piano terreno un basamento continuo, con una sequenza di arcate cieche mentre ai due piani superiori è suddivisa da paraste doriche, scandite dalle finestre con timpani semicircolari e triangolari.

Nello stesso periodo, nei locali dismessi della Vaccheria venne realizzata una piccola manifattura di veli di seta diretti dal maestro tessitore Francesco Brudetti proveniente da Torino, per le esigenze della nascente seteria della vicina colonia di San Leucio.

Con l’aumentare dell’attività produttive aumenta anche il numero dei coloni residenti nel quartiere della Vaccheria. Sfortunatamente, il Casino di caccia reale venne definitivamente abbandonato dal Re Ferdinando e dalla Regina Maria Carolina a seguito della morte del primogenito e erede al trono Carlo Tito. Il piccolo principe Carlo Tito era bellissimo e amato dal suo popolo, ma nel 1778 si ammala di vaiolo e muore all’età di 4 anni, proprio nel Casino di caccia reale della Vaccheria. La famiglia reale di Borbone scelse di utilizzare il Casino del Belvedere di San Leucio, già appartenuto ai Principi Acquaviva e che diventerà il nucleo originale della Colonia reale di San Leucio con l’annesso opificio della seta. Il Casino di caccia reale, che da quel momento sarà conosciuto come “Il Casino Vecchio”, divenne abitazione per i guardiacaccia, subendo suddivisioni interne, che apportarono diversi cambiamenti ed adattamenti.

Foto di TripAdvisor

Il piccolo borgo della Vaccheria, originariamente destinato agli operaio delle seterie, oggi sede di botteghe artigiane e varie attività commerciali, si trova alle spalle della chiesa di Santa Maria delle Grazie, inaugurata nel 1805 da Re Ferdinando dopo l’esilio palermitano seguito alla rivoluzione napoletana del 1799. Salendo per una stradina che costeggia la Chiesa di Santa Maria delle Grazie, si tova “Il Casino Vecchio” (via del Casino Vecchio 6, Località Vaccheria, Caserta) appartenuta ai Borbone delle Due Sicilie, che ancora oggi subisce quell’antico, doloroso abbandono da parte della famiglia reale.

Foto di Ferdinando Cimino.

La Sezione di Caserta di Italia Nostra il 5 gennaio 2020 ha segnalato “Il Casino Vecchio” per la “Lista Rossa”, come pregevolissima testimonianza architettonica del periodo borbonico di Caserta Città Reale, ma ormai in quasi totale abbandono.

Foto di Ferdinando Cimino.

L’edificio, che ancora conserva l’aspetto della dimora nobiliare di campagna, costituisce un elemento importante della storia edilizia della Vaccheria e di San Leucio, e del programma di Re Ferdinando IV per la costituzione della nuova comunità che avrebbe dato vita alla Colonia di San Leucio. Di proprietà privata, non è aperto al pubblico, e le condizioni di grave degrado ne sconsigliano l’accesso.

Foto di TripAdvisor.

Si tratta di una pregevolissima testimonianza architettonica dell’edilizia presente nei “Siti reali” voluti dai Borbone delle Due Sicilie, luoghi di svago, ma anche di attività produttive. Preoccupano il grave stato di abbandono, le vistose infiltrazioni e la rovina anche nelle decorazioni pittoriche. Non risulta in programma alcun intervento pubblico o privato per fermare il degrado di un complesso di eccezionale valore architettonico, storico e paesaggistico. La Sezione di Caserta di “Italia Nostra” ha osservato che per la rilevanza dell’edifico, dell’intervento e la frammentazione della proprietà sembrerebbe necessario ed urgente un intervento pubblico per favorirne il restauro e la rifunzionalizzazione.

Auspichiamo che questo piccolo gioiello del patrimonio culturale duosiciliano, consegnato all’oblio dall’ideologia risorgimentale, non verrà dimenticato, con la speranza che arriverà presto il giorno della sua rinascita.

Riferimenti storico-bibliografici

– Alisio G. Siti reali borbonici, cit., p. 42-65
– “Lo bello vedere” di San Leucio e le manifatture reali. Napoli, E.S.I. 1998
– Patturelli F. Caserta e San Leucio, Caserta 1986, ristampa dell’Ed. Napoli 1826
– Tescione, L’arte della seta a Napoli e la colonia di San Leucio, Napoli 1932
– Sancio A. Platea del Real Sito di San Leucio, s.d. (ma post 1830), A.R.C, v. 3570
– San Leucio. Archeologia, Storia, Progetto, Milano 1977, p. 74-78;
– Antico casino di San Leucio, Planimetria 1830 ca, Archivio della reggia di Caserta, Planimetrie F/13

Postilla

Il vero scandalo qui è come lo Stato italiano non riesce a prendersi cura del patrimonio artistico e architettonico dell’Italia.
Con l’occasione va ricordato come la collezione d’arte Farnese, proprietà privata della famiglia Borbone, che fu portata a Napoli da Carlo VII, fu presa dal Regno d’Italia senza alcun compenso per i proprietari (e questo si chiamo furto statale). Ora è la maggior parte della collezione a Capodimonte.

Foto in copertina di Pietro Scolorato.

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