Il Riformista di Piero Sansonetti: dopo “magistratopoli” ora scoppia “giornalistopoli”

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È scoppiata “magistratopoli”, ma giornali e televisioni tacciono. Perché? Magistrati da intercettatori a intercettati: i pubblici ministeri scoprono lo sputtanamento da gogna mediatica sulla propria pelle e si lamentano. Adesso tocca anche ai giornalisti (abituati a lamentarsi se qualcuno se la prende con loro), che “spesso pubblicano intercettazioni che sono ancora segrete, e che qualche Pm ha deciso di far filtrare per mettere in difficoltà gli indiziati, o per ottenere qualche aiuto nell’inchiesta o, più semplicemente, per iniziare a punire non essendo sicuri di poter poi ottenere la condanna, visto che le prove latitano. Le intercettazioni, e la loro pubblicazione, hanno un effetto fondamentale e incontrollato e immediato: sputtanano. Comunque, chiunque”.

“Magistratopoli si allarga a macchia d’olio e coinvolge i giornalisti al soldo dei servizi segreti”. Il quotidiano Il Riformista di Piero Sansonetti allude a “grandi firme” del giornalismo giudiziario e azzarda che “giornalistopoli” forse è peggio di “magistratopoli”. Insieme, spiega, giornalisti e magistrati “sono la vera casta”. Sono giornalisti di Corriere della Sera, La Stampa, la Repubblica e svariate altri giornali che parlavano con il procuratore aggiunto di Roma Luca Palamara, il magistrato più intercettato e sputtanato d’Italia.

Per leggere il Riformista del 22 maggio 2020 in formato PDF: QUI.

Magistratopoli si allarga a macchia d’olio e coinvolge i giornalisti al soldo dei servizi segreti
di Piero Sansonetti
Ilriformista.it, 22 maggio 2020

Dopo magistratopoli ora scoppia giornalistopoli. Ma se i giornali sono stati molto silenziosi sullo scandalo Csm (e restano per abitudine silenziosissimi su qualsiasi scandalo che riguardi i magistrati), ora diventano veramente muti su giornalistopoli. Muti al 100 per cento. È un ordine di scuderia. Non ci sarebbe niente di male. Le intercettazioni che toccano i più importanti giornalisti dei più importanti giornali italiani, messe a disposizione degli stessi giornali dalla Procura di Perugia che indaga sul caso Palamara, sono pure e semplici intercettazioni e non dimostrano che esista alcun reato da parte dei giornalisti. Sono intercettazioni infami, come sempre lo sono le intercettazioni. Dunque, a rigor di logica, perché bisognerebbe pubblicarle? Per una sola, piccolissima, ragione. Perché i giornalisti che stavolta sono stati intercettati sono esattamente gli stessi che di solito pubblicano paginate intere di intercettazioni, generalmente ai politici o ai loro amici o familiari, sebbene queste intercettazioni non contengano nessuna notizia di reato.
Spesso, anzi, pubblicano intercettazioni che sono ancora segrete, e che qualche Pm ha deciso di far filtrare per mettere in difficoltà gli indiziati, o per ottenere qualche aiuto nell’inchiesta o, più semplicemente, per iniziare a punire non essendo sicuri di poter poi ottenere la condanna, visto che le prove latitano. Le intercettazioni, e la loro pubblicazione, hanno un effetto fondamentale e incontrollato e immediato: sputtanano. Comunque, chiunque. Nella pubblicazione generalmente non c’è mai un’opera di mediazione o di ragionamento. Mai un elemento a difesa o una proposta di attenuanti. C’è un solo ragionamento, evidentemente, che viene fatto nelle redazioni dei giornali: quali conviene pubblicare, quali è meglio censurare.
Se il giornalismo italiano non fosse quasi interamente sottomesso alla logica delle Procure e delle intercettazioni, non ci sarebbe nessun motivo per stupirsi del fatto che restino segrete le intercettazioni che riguardano le principali firme di giudiziaria (e non solo di giudiziaria) del Corriere della Sera e di Repubblica e della Stampa e di svariati altri giornali. Sono tutte intercettazioni che son state prese con i trojan sul cellulare dell’ex procuratore aggiunto di Roma Luca Palamara. Esattamente uguali a quelle che furono ampiamente pubblicate perché riguardavano uomini politici. Luca Lotti, considerato all’epoca vicino a Renzi, è stato praticamente vivisezionato. Sebbene la legge proibisse le intercettazioni dei suoi discorsi privati: è vietato intercettare i parlamentari, e Lotti è un parlamentare. È vietato anche perché è previsto dal buonsenso, e dalla Costituzione, che un dirigente politico debba avere una parte della sua attività che resti riservata. Può essere una attività di diplomazia, di compromessi, di trattative, di accordi. Senza queste cose la politica non esiste. La politica non è solo retorica. È anche governo. E il governo non si fa gridando slogan e basta.
E invece sui politici nessuna indulgenza, anzi, nessun rispetto della legalità. L’ordine di servizio, in questo caso è: sputtaniamoli. Anche se non hanno fatto niente di male. Tutto cambia se invece le vittime del trojan diventano i magistrati e i giornalisti. Cioè la casta. Sarà forse giunto il momento di dirlo: la casta, la vera casta, è quella; la corporazione potentissima che raduna la parte più aggressiva e politicizzata della magistratura e del giornalismo. Diciamo, più semplicemente, il partito dei Pm. Il cui leader massimo, non a caso, non è un Pm ma un giornalista. È Marco Travaglio. Noi abbiamo dato solo uno sguardo a queste intercettazioni. Cosa ci dicono? Che i giornalisti più importanti dei grandi giornali parlavano con Palamara e partecipavano alle operazioni politiche in corso per determinare i nuovi equilibri nella magistratura. C’è una giornalista che dice a Palamara che se l’avesse saputo prima (non ha importanza cosa) l’articolo lo avrebbe scritto lei e in un altro modo. Viene avanzata, da parte di Palamara, l’ipotesi che un altro importante giornalista sia legato ai servizi segreti. Che certo non è un delitto, però dal punto di vista dell’etica giornalistica, se fosse vero, sarebbe una gran brutta cosa.
Perché, per dire, magari preferirei essere informato da persone che non hanno da rispondere ai servizi segreti, non vi pare? Poi c’è addirittura un lungo colloquio tra Palamara e il vicepresidente del Csm dell’epoca nel quale si discute di come sia possibile influenzare Repubblica, se è meglio farlo attraverso pressioni sulla cronista di giudiziaria o sul caporedattore, e il vicepresidente del Csm si offre per parlare con Repubblica ad alto livello, e si discute della necessità di una “azione di orientamento” e si dice quale linea deve passare all’interno di quel giornale. Non ho fatto nomi. Non mi interessano i nomi. Quello che è bene che si sappia è la sostanza: oggi il giornalismo politico, in Italia, è del tutto subalterno al giornalismo giudiziario. Questo grazie alle grandi campagne moralizzatrici condotte dai giornali negli anni scorsi. Cioè le campagne che hanno demolito la reputazione della politica e messo in discussione persino la necessità della democrazia, dipinta come un sistema sostanzialmente corrotto.
Queste campagne sono state guidate dalla magistratura (e dalla sua rappresentanza parlamentare, cioè i 5 Stelle), e forse dai servizi segreti. In questo modo è stato distrutto il giornalismo politico ed è stato reso un sottoprodotto del giornalismo giudiziario. Il giornalismo giudiziario – non tutto, certo, ma quasi tutto – è assolutamente eterodiretto. E, per definizione, privo di indipendenza. E dunque non è più giornalismo.
La gigantesca opera di reticenza di questi giorni dimostra che le cose stanno esattamente così. Che il giornalismo in Italia non esiste più. Che giornalistopoli esiste, è forte, e non ha nemici. Dunque non sarà stroncata. E magistratopoli regge e non si sgretola proprio perché è sostenuta da giornalistopoli. Se poi vi aspettate che qualche giornale o qualche Tv vi racconti queste cose, siete proprio ingenui. L’informazione, quasi tutta, ormai è agli ordini del Fatto.

Postilla

Anche “vaticanistopoli” esiste e l’abbiamo sotto la nostra lente.

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