Nelle analisi sugli investimenti della Santa Sede manca sempre la domanda sui fondi per l’acquisto del palazzo in Sloane Avenue a Londra

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Oggi, da un articolo sul Corriere della Sera online a firma di Mario Gerevini e Fabrizio Massaro, ripreso da Dagospia.com e un articolo sul Fatto Quotidiano online a firma di Francesco Antonio Grana, apprendiamo che dopo quasi un secolo la Santa Sede ha ristrutturato la sua rete di holding svizzere, creata in seguito ai Patti Lateranensi del 1929 e sopravvissuta (con i suoi segreti e i suoi capitali) a sette Papi. È un riassetto per certi versi storico che ai prezzi attuali di mercato – scrive Corriere.it – potrebbe valere centinaia di milioni di euro, che rappresenta una parte del patrimonio estero dell’APSA-Amministrazione del Patrimonio della Santa Sede, la banca centrale che gestisce i beni immobiliari e mobiliari di proprietà della Santa Sede e che con i proventi degli investimenti finanzia le funzioni e le spese dei Dicasteri della Curia romana. Corriere.it rivela che “l’operazione si è conclusa pochi giorni fa: sono state chiuse contemporaneamente 9 società (immobiliari e finanziarie) di Losanna, Ginevra e Friburgo, con il trasferimento del loro patrimonio sotto una sola holding, la più ‘anziana’: la Profima Société Immobilière et de Participations di Ginevra, costituita nel 1926 dal banchiere della Comit, Bernardino Nogara, su incarico di Pio XI”. Si tratta di un patrimonio nella cui storia si intrecciano politica, diplomazia e finanza. Secondo i documenti dell’operazione consultati dal Corriere della Sera, “questo patrimonio di immobili, terreni e investimenti liquidi è ora confluito in Profima Sa e valutato 44,3 milioni di euro. Ma è un valore «storico», quindi non riflette gli attuali e ben più elevati prezzi di mercato. (…) La rete estera dell’Apsa è adesso concentrata in tre holding, ciascuna per Paese: Profima in Svizzera, la British Grolux Investments per la Gran Bretagna, e il polo francese di Sopridex sa, che controlla interi blocchi di edifici nel centro di Parigi. Non è un patrimonio sterile e statico ma amministrato anche per produrre reddito”.
Certamente la Santa Sede non si è disfatto del suo patrimonio: Corriere.it sottolinea che si tratta di “un‘operazione di razionalizzazione nel solco della linea tracciata da Papa Francesco per la gestione delle sofferenti finanze vaticane: taglio dei costi (in Svizzera si passa a un solo consiglio di amministrazione, una sola sede, un solo revisore invece di dieci: è un taglio netto), più organizzazione, trasparenza e uso efficiente delle risorse al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa. Un’urgenza ancora più pressante dopo lo scandalo del palazzo di Londra, acquistato dalla Segreteria di Stato e al centro di un’inchiesta per corruzione”.

In riferimento a quest’ultima frase, osserviamo che come a tutte le analisi fatte sulle condizioni economiche della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano, manca sempre l’analisi – seria, energica e risolutiva – sui fondi che la Santa Sede ha impegnati per l’acquisto del palazzo al N. 60 di Sloane Square a Londra… e per ordine di chi. Operazione per cui il venezuelano Arcivescovo Edgar Peña Parra (foto di copertina) – dal 15 agosto 2018 Sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato della Santa Sede, in successione al Cardinale Angelo Becciu – chiede dei fondi allo IOR. L’Istituto per le Opere di Religione, che non ci pensa su due volte, non solo a rifiutare ma di denuncia. E con ciò far scoperchiare il pentolone pontificio.

Per un Becciu (che in tutta onestà ha affermato (e ribadiamo un’altra volta, che non abbiamo motivo per non credergli), che per l’acquisto del palazzo di lusso in Sloane Square a Londra non è stato speso neppure un penny dell’Obolo di San Pietro) c’è un Peña (che mai si è pronunciato in merito). Cosa ne pensa il suo diretto superiore, il Cardinal Segretario di Stato di Sua Santità Pietro Parolin, che sono “operazioni opache”, lo sappiamo già. Ma non basta. Sarebbe ora che il Sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato in carica venisse sollecitato a parlare, nelle sedi preposte. E come spesso accade, ci facciamo carico noi di recapitargli tale invito, anche se pare che abbia inspiegabilmente prolungato la quarantena, a data da destinarsi.

Nel contempo ci rivolgiamo anche ai giornalisti da Wall Street, che mentre spaccano il penny altrui in quattro, chiaramente evitano di formulare tale domanda e – ancora più accuratamente – di cercare la risposta. Sono tutti bravissimi a leggere documenti (oltrettutto ottenuti in modo irrituale e come sempre c’è da chiedersi da chi e a quale scopo), a parlare di holding estere e di cordate, manco fossimo sull’Adamello con Pertini e Woityła. Giornalisti riciclati economisti, che a scuola per matematica venivano rimandati a settembre e che oggi parlano di trading finanziario, come fosse un opuscolo da mettere nello zaino del pellegrino della GMG, in un agosto romano del 2000, mai dimenticato.

Ricordiamo che San Giovanni Paolo II ha detto che dovremmo essere pronti a “pagare anche di persona se necessario”. Quando si è giornalista da doppia spunta blu e si scrive un articolo, lo si deve fare dicendo la verità sulle malefatte di regime e non per dare solo lezioni di economia e finanza societaria, parlando del nulla solo per riempire una pagina web e distribuire un link. Di giornalisti da GMG, che scrivono del nulla ne è piena la storia e le redazioni.

Giornalisti che si dicono vicini a San Giovanni Paolo II dovrebbero essere giornalisti scomodi e dovrebbero fare inchieste serie, correndo il rischio di essere visti male dal Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede e da chi lo gestisce pro tempore. Burattinaio da camicia asciutta e sorriso beffardo, approdato al Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, come Armstrong approdò sulla luna, come il miglior falso d’autore arrivato nei musei. Che dirige il Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede manco fosse la Costa Concordia arenata al Giglio condotta da Schettino, con l’unica differenza che la Costa Concordia si è arenata per incapacità del suo comandante, mentre la comunicazione istituzionale della Santa Sede è stata mandata alla deriva e non a caso. Sarebbe più rispettoso farsi da parte, invece di fare ospitate in emittenti amiche con la scusa di parlare di San Giovanni Paolo II, mentre è evidente che lo scopo è solo quello di fare una comparsata da sottopancia pontificia, per farsi bello. Come è bello il nipote di un cardinale raccomandato alla Santa Sede nella comunicazione di regime, che poi di comunicazione della Santa Sede nella sua vita non ha mai saputo nulla.
Il nostro pensiero è sempre rivolto ai giovano, bravi, attenti, preparati funzionari della Sala Stampa della Santa Sede, che hanno un burattinaio da camicia bianca e asciutta a gestirli, a imbavagliarli per bene e a legarli in modo accurato, affinché non si possano liberare. Burattinaio col sorriso beffardo da camicia bianca e asciutta, senza mai una goccia di sudore versato per una comunicazione istituzionale degna di nota.
Come ci si sente ad essere all’apice della montagna del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede e di far emettere bollettini come un topolino partorito da una montagna? Ai futuri Prefetti del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede l’ardua sentenza…
Noi abbiamo messo la nostra lente al posto giusto e da oggi faremo di ogni segno una tacca.

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