Lattanzi: nell’era digitale il papa invita a raccontare storie

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“Nella confusione delle voci e dei messaggi che ci circondano, abbiamo bisogno di una narrazione umana, che ci parli di noi e del bello che ci abita. Una narrazione che sappia guardare il mondo e gli eventi con tenerezza; che racconti il nostro essere parte di un tessuto vivo; che riveli l’intreccio dei fili coi quali siamo collegati gli uni agli altri. L’uomo è un essere narrante. Fin da piccoli abbiamo fame di storie come abbiamo fame di cibo”: così inizia il messaggio di papa Francesco per la 54ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, che si celebra oggi, tratto da un passo del libro dell’Esodo, ‘Perché tu possa raccontare e fissare nella memoria. La vita si fa storia’.

Per comprendere meglio il messaggio del papa abbiamo intervistato Lorenzo Lattanzi, vice presidente nazionale dell’Aiart (Associazione Italiana Ascoltatori Radio e TV) ed autore del libro ‘Non è mai troppo presto… Per ripensare l’educazione nell’era digitale’, che nella recensione su Avvenire Luigi Rancilio ha definito ‘una delle guide più importanti’:

“Nel 2017 ho conseguito il dottorato di ricerca all’Università Cattolica di Milano con tesi dal titolo ‘Ripensare l’educazione nell’Era Digitale’, si tratta della pubblicazione ridotta e riadattata di quel lavoro. Ho voluto proporre una visione d’insieme sui temi dell’Educazione Digitale a partire dalle scienze cognitive con le più recenti conquiste delle neuroscienze, passando per i principali studi sui media di massa e personal, fino ad approdare alla proposta di piste educative praticabili da scuola e famiglia, seguendo l’esempio e invertendo la prospettiva del mio illustre collega Alberto Manzi”.

Come educare al digitale i genitori?

“Il prof. Pier Cesare Rivoltella nella sua prefazione al mio testo sottolinea che ‘i media oggi non sono un’opzione ma un destino, nel bene e nel male’. L’orizzontalità della rete e la disponibilità costante di contenuti ‘on demand’ fruibili in maniera individuale hanno rivoluzionato i paradigmi dell’educazione. Per questo motivo accontentarsi di liquidare la questione educativa all’interno di cornici definitorie come ‘nativi digitali’, ‘millenials’… non soltanto è inutile, ma anche deresponsabilizzante per il mondo adulto.

I ragazzi sono certamente bravi a ‘smanettare’ ma, ad esempio, conoscono poco o per niente le logiche del marketing su cui si basano gli algoritmi che decidono quali contenuti dobbiamo vedere per primi o ci vengono consigliati. Un tempo c’erano gli editori orientati politicamente o con ideologie facilmente identificabili, mentre oggi, come ha intuito Bauman, tutto è molto più liquido”.

Dopo il coronavirus la didattica è all’altezza del digitale?

“Non ancora. L’emergenza COVID-19 ha costretto il mondo della scuola a buttarsi nel digitale, ma con molte criticità, perché la formazione dei docenti è stata quasi sempre orientata all’aspetto tecnico-strumentale. E’ mancato uno sguardo critico sull’attuale contesto mediale. E’ chiaro che scaricare sugli alunni valanghe di materiale da stampare o pretendere di realizzare lezioni a distanza con le stesse modalità e gli stessi tempi di quelle in presenza non significa fare Didattica a distanza”.

Nel messaggio per la giornata delle comunicazioni sociali il papa ha invitato a tessere le storie: come raccontare una storia bella?

“Il papa nel suo messaggio ad un certo punto scrive ‘nessuno è una comparsa nella scena del mondo e la storia di ognuno è aperta a un possibile cambiamento’. Credo che scuola e famiglia stiano perdendo il piacere di raccontarsi e di ascoltarsi. Nella mia ricerca ho constatato che molti bambini e ragazzi ignorano la storia d’amore dei loro genitori. Anzi, alcuni conoscono molto bene i motivi di eventuali separazioni o divorzi, ma nessuno ha raccontato loro la scintilla che ha innescato la relazione da cui sono stati generati”.

In quale modo discernere una storia bella da una cattiva?

“Sembrano molto più interessanti le narrazioni mediali artefatte rispetto a quelle reali di vita vissuta. Il racconto dei nonni, ad esempio, è un tesoro che le giovani generazioni rischiano di non saper apprezzare più, perché meno accattivante del racconto di uno youtuber. I ragazzi hanno bisogno di essere ascoltati per essere educati all’ascolto. Non è necessario il lieto fine, ma un sano principio di realtà. Infatti sono convinto, come scrivo nel mio libro, che ‘il nostro futuro non dipenderà tanto dalla correttezza delle nostre risposte, quanto dalla qualità delle nostre domande’”.

(Tratto da Aci Stampa)

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