Acli Milanesi e Lombarde: le politiche sanitarie della Lombardia sono naufragate

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Nei giorni scorsi il presidente delle Acli milanesi ha presentato il documento delle Acli milanesi e lombarde sul fallimento delle politiche sanitarie in Lombardia esplose durante l’emergenza sanitaria da Covid-19, che ha messo in evidenza i nodi e le criticità del Servizio Sanitario Nazionale, che negli ultimi 10 anni ha subito una grave riduzione dei posti letto ospedalieri, senza nessun incremento dei servizi territoriali:

“Le Acli Milanesi hanno svolto un’analisi seria e accurata del sistema sanitario italiano e lombardo alla luce della pandemia che ha colto il mondo impreparato. Sono emersi rilievi critici molto importanti e segnalati molto puntualmente nel documento, che denunciano carenze che abbiamo già rilevato in passato e diverse scelte sbagliate fatte in questo periodo.

Come Acli, oltre a suggerire la strada di alcune scelte e di alcune riforme riteniamo che sarebbe opportuno che chi ha compiuto scelte sbagliate traesse le conseguenze politiche dei propri atti. Chiediamo un cambio di rotta che riaffermi il principio costituzionale della universalità del diritto alla salute. Non sono più tollerabili politiche sanitarie che rispondano a esigenze del mercato e del profitto che prevalgono su quelle del bene comune”.

Il documento si apre con un’attenta analisi della storia del sistema sanitario italiano, dalla riforma del 1978 che istituisce il Servizio Sanitario Nazionale ad opera di Tina Anselmi fino alla modifica dell’articolo 117 della Costituzione italiana:

“In altre parole la riforma del Titolo V che, delegando a Regioni e Province autonome l’organizzazione e la gestione dei servizi sanitari, puntava ad un federalismo solidale, ha finito per generare una deriva regionalista, un differente sistema sanitario per ogni Regione dove l’accesso a servizi e prestazioni sanitarie è profondamente diversificato e iniquo.

A fronte di un diritto costituzionale che garantisce ‘universalità ed equità di accesso a tutte le persone’ e alla L. 833/78 che conferma la ‘globalità di copertura in base alle necessità assistenziali dei cittadini’, i dati smentiscono continuamente i principi fondamentali su cui si basa il SSN”.

Analizzando il sistema sanitario della Lombardia il documento ha evidenziato che in questa regione le principali riforme sono state caratterizzate da due caposaldi del modello riformista, consistente nella: “libertà per il cittadino di scegliere l’erogatore e per gli erogatori di intraprendere le attività; netta separazione tra funzione di Programmazione/Acquisto/Controllo, affidata alle ASL, e funzione di produzione di servizi, affidata agli erogatori accreditati pubblici (Aziende Ospedaliere – AO) e privati, paritetici e in competizione”.

Tale sistema sanitario ha consistito in un sistema incentrato nell’ospedale, che ha influito nell’approccio alla pandemia: “Sulla base di tale impostazione in Lombardia, di fatto si è consolidato un sistema centrato sull’ospedale, con erogatori sia privati, che hanno scelto le materie in cui operare, in progressivo miglioramento, soprattutto agli occhi del cittadino, sia Aziende Ospedaliere pubbliche che, a fronte di una tradizione anche secolare di buona amministrazione e di una eccellente e riconosciuta qualificazione scientifica, hanno migliorato sì i loro standard, ma più lentamente”.

Inoltre con la legge regionale 23/2015 si è persa l’organicità della struttura sanitaria: “Purtroppo, a quasi cinque anni dall’approvazione di quella legge, ci tocca constatare che non solo quella auspicata integrazione e sinergia tra i due livelli (ospedale e territorio) non c’è stata, ma si è assistito in molte aree della Regione a significativi arretramenti dei servizi territoriali pubblici.

Infatti, a fronte dei principi enunciati circa la necessità di spostare l’attenzione dall’ospedale al territorio, la riforma non ha definito gli strumenti di governo ‘periferici’. I distretti perdono la funzione di coordinamento della rete dei servizi e diventano molto grandi.

Accanto alla evidente crisi dei Medici di Medicina Generale (MMG, i medici di Famiglia) e del settore infermieristico si assiste ad un arretramento dei servizi pubblici per le tossicodipendenze, dei Consultori e alle gravi difficoltà della psichiatria oltre all’assenza di una rete reale per il decadimento senile e di un investimento concreto sulle politiche di prevenzione; la collaborazione con i Comuni e la valorizzazione delle comunità locali appare marginalizzata; risulta fortemente penalizzato il ruolo del Terzo Settore come interlocutore delle politiche regionali”.

Per le Acli milanesi e lombarde la salute non può riguardare solo il cittadino, ma soprattutto la comunità: “Alla luce delle considerazioni precedenti si comprendono ampiamente le criticità che sono emerse durante l’attuale evento pandemico.

Preliminarmente occorre sottolineare che (a giudizio unanime) l’emergenza coronavirus ha mostrato quanto la questione della salute non sia un tema legato al singolo individuo, ma di fatto sia un tema di comunità e di territorio, in buona sostanza una questione pubblica.

L’aver gradualmente spostato, in questo ultimo ventennio, il tema della salute da questione pubblica a soluzione individuale, è probabilmente uno dei motivi, certamente non il solo, per cui la Lombardia si è rivelata particolarmente vulnerabile nella gestione dell’emergenza sanitaria determinata dal Covid-19. Il sistema sanitario è stato costruito intorno al concetto di assistenza centrata sul paziente, ma un’epidemia richiede un cambiamento di prospettiva verso un concetto di assistenza centrata sulla comunità”.

Altro errore evidenziato nel documento è la gestione nelle RSA con la delibera la n. 3018 del 30 marzo scorso, disponeva ‘in caso di età avanzata – ultra75enni e presenza di situazione di precedente fragilità… è opportuno che le cure vengano prestate nella stessa struttura’:

“Pensare di mantenere la persona ultrasettantacinquenne fragile, all’interno della struttura, non trasferendola in ospedale, una volta che l’infezione da Covid fosse sintomatica significa ritenere la persona anziana non oggetto di tutela al pari di una persona non anziana.

Ad onor del vero la delibera ipotizzava di raggiungere tale finalità mediante la collaborazione ospedaliera con le strutture sociosanitarie, peccato però che tale collaborazione ancora oggi stenta a realizzarsi. Infatti l’integrazione con il mondo sanitario non si è verificata con l’intensità sperata, né verso la rete ospedaliera né verso quella territoriale dei medici di medicina generale”.

Il documento si conclude con l’invito a ripensare il Sistema sanitario nazionale e regionale in una visione antropologica del bene comune: “Questa lezione dovrà servirci per il futuro o avremo repliche ancora più drammatiche non solo da un punto di vista sanitario ma anche dei conseguenti impatti sul sistema economico, del lavoro e sociale.

La salute di ogni individuo è funzione di alcune variabili, di cui la sanità è la prima, ma dobbiamo considerare anche gli stili di vita, le condizioni lavorative, l’ambiente ecologico, la famiglia. Non dobbiamo commettere l’errore di pensare che la nostra salute dipenda unicamente dalle strutture sanitarie, ma anche dal senso di isolamento sociale che deriverebbe da una eventuale grave e lunga recessione economica”.

(Foto: assistenzafamiglia.it)

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