P. Storgato: ‘Se esplode il coronavirus, in Bangladesh sarà un disastro!’

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In Bangladesh il virus covid 19 ha colpito molte persone e c’è ancora il rischio che il virus possa aggravare pesantemente la situazione: “Scuole e fabbriche sono chiuse, le attività sospese. Il traffico è bloccato e gli spostamenti vietati. I giornali non escono, ufficialmente perché non possono essere consegnati agli abbonati (qui non ci sono ‘edicole’); ma è ammissibile un sospetto di controllo sull’informazione. Non è possibile verificare il reale stato della situazione virale nel Paese”.

Così scriveva qualche settimana fa il saveriano padre Marcello Storgato, che ha trascorso 21 anni nel Paese, dal 1972 al 1993, e dal 2016 a Jessore ed ora a Khulna: come è la realtà in Bangladesh?

“Avrebbe dovuto finire il 5 maggio, il lockdown del Paese, imposto il 26 marzo scorso; è stato prolungato di altri 10 giorni, fino al 15 maggio, forse fino al 25, a includere la grande festa dell’Eid, in cui i musulmani si abbracciano e offrono elemosina ai poveri… Milioni di persone e famiglie che non riescono a lavorare e neppure a mangiare. Marta, una donna del quartiere, non ce la fa più.

Il figlio barbiere, l’unico a mantenere la famiglia, da marzo è forzatamente disoccupato, con i bimbi da sfamare e il papà infermo. ‘Ho fatto debiti, ma ora non ce la faccio più; speravamo di riprendere il lavoro, invece siamo ancora fermi!’. La prima vittima è deceduta il 18 marzo.

All’11 maggio, i casi ‘ufficiali’ confermati sono 15.691 (rispetto a domenica 10, +1.034); di cui curati 2.902 (+252) e i morti 239 (+11); per un totale di casi attivi di 12.550 (+771) persone…  Mentre sono solo 122.657 le persone sottoposte al test. Su 5000/6000 test al giorno che si riesce a fare,  risultano circa 600/700 infetti.

Tra i il personale medico circa 200 sono infetti (2 dottori deceduti), mentre tra le Forze dell’ordine gli infetti sono 1.200 circa. La ‘zona rossa’ è sempre Dhaka e dintorni, l’area metropolitana più sovrappopolata e movimentata del Bangladesh”.

Come è arrivato il virus nel Paese?

“Il virus è arrivato in Bangladesh il 7 marzo con due bangladeshi tornati dall’Italia, che hanno contaminato le famiglie; poi tanti altri, a cui era stata concessa la quarantena in famiglia … Generalmente gli emigrati portano soldi e regali; questa volta, invece … Anche questo è uno degli effetti della globalizzazione.

Sono molti i bengalesi che lavorano all’estero, nei Paesi contaminati. E sono circa 200 le vittime bengalesi solo negli USA! C’è da rilevare che la quarantena in famiglia -il cosiddetto ‘Io sto a casa’- non è efficace nella situazione generale del Bangladesh anzi, è impossibile, perché spesso una famiglia vive in una sola stanza, chi ha una casa. Molto peggio per coloro che vivono nelle baraccopoli delle città. Occorrono centri appositi per una quarantena seria, sia per i migranti sia per i residenti”.

Qual è la risposta della Chiesa nell’aiuto a chi è colpito dal coronavirus?

“Alla comparsa del virus la chiesa locale è stata ‘silente e obbediente’. Le chiese sono state chiuse, come le moschee e i templi, anche per il solenne Triduo Pasquale. I pastori (vescovi e preti) si sono subito rassegnati allo slogan ‘io sto a casa’, chiudendo ogni servizio religioso e ogni assistenza spirituale.

Anche di fronte alla sofferenza di tanta gente, specialmente nelle città, il silenzio è stato totale. Qualche aiuto è stato dato attraverso le Caritas diocesane, saltuariamente. Tutto il personale della Caritas è in ‘agiata quarantena’ in casa propria… E’ il caso di dire: ‘Il gregge muore e i pastori entrano in isolamento, per salvare la propria vita’.

I missionari hanno fatto meglio, ma non in modo organizzato e coordinato: ognuno secondo la sensibilità personale, con iniziative che testimoniano eroismo e qualche grado di incoscienza. Con le dovute precauzioni, certo, ma non si può essere prigionieri dell’isolamento solo per paura di essere contagiati.

Alcuni esempi: Giuà ha creato una ‘Tavola di solidarietà’, dove la gente al mattino depone riso, cipolle, legumi, olio… e al pomeriggio altra gente bisognosa viene a ritirare la merce; Jorge ogni giorno porta una decina di porzioni di cibo nei pressi della stazione, nutrendo altrettante persone affamate; Lorenzo aiuta le vedove e i malati a procurarsi il necessario; Gabry ogni giovedì distribuisce ‘un’elemosina’ agli handicappati e alle vedove in difficoltà; Alfonso e il laico Polash provvedono cibo e cure mediche a centinaia di ‘barboni’ attorno alla Stazione e al Porto fluviale di Dhaka; altri preparano ‘borsoni’ con generi alimentari da donare ai baraccati di periferia; altri ancora distribuiscono soldi a coloro che hanno perso il lavoro per lo shutdown (barbieri, operai, ristoratori, tassisti di rikshò, donne di servizio …) per tirare avanti la famiglia”.

Quale impatto economico sta avendo il virus nel Paese?

“Il guardiano della Scuola Tecnica commenta: ‘I poveri sono aumentati a dismisura; i ricchi hanno fatto provviste per i prossimi 6 mesi; peggio stanno quelli del ceto medio, che si vergognano di tendere la mano’. La Banca Asiatica per lo Sviluppo stima che la perdita solo nel tessile si aggiri sui $ 13.300.000.000. Le perdite avvengono per tre motivi: 1) merce già consegnata, ma non ritirata né pagata; 2) merce in viaggio e ora ferma per lockdown nei porti di consegna; 3) materiale in lavorazione interrotta.

Il governo ha promesso una somma di 300 milioni di Euro come fondo per prestiti agevolati ai gruppi con basso reddito. Non è molto. Si tenga presente che le ‘rimesse’ da parte degli emigrati in aprile sono calate del 34%, paragonate all’aprile 2019. Sono coinvolti 4.000.000 di impiegati e operai, uomini e soprattutto donne, di cui si stima 1.500.000 di posti persi.

Questa è una realtà veramente dura per la gente di questo Paese, dove il 20% (32.000.000) vive sotto la linea di povertà, l’11% (17.000.000) vive in povertà estrema e il 20% della popolazione urbana vive in baraccopoli. Nell’ultima settimana di aprile sono iniziate le rivendicazioni.

Queste le richieste: 1) ricevere i salari pregressi; 2) non perdere il lavoro; 3) avere norme di sicurezza garantite. Ci si rende conto quanto siano estreme le conseguenze della globalizzazione economica in tempo di crisi epidemica mondiale.

Oltre a questi grandi numeri, c’è la gente impegnata nell’economia ‘informale’, come le miriadi di piccole attività di commercio o di servizio nei bazar o ai lati della strada o nel recinto di casa… Tutta questa gente è a forte rischio di vita, se non per il Corona virus, per stenti e fame, come effetto collaterale del prolungato lockdown. Lamenti arrivano anche dalle moschee: le cassette delle offerte sono vuote!”.

Quale ‘sfida’ comporta questa pandemia per la fede?

“Crediamo o no, tutti ci poniamo la stessa domanda: ‘Perché Dio permette queste cose che distruggono l’umanità?’. Le risposte sono diverse, a seconda del proprio sentimento religioso. Di fatto, la fede non ci dà una risposta chiara e convincente, ma ci mette in ricerca per trovare una soluzione che deve coinvolgere tutti, a prescindere, nel segno del dialogo umile e genuino e per amore dell’intera umanità.

Per noi che crediamo e viviamo nel Regno di Dio, una cosa è certa: il quieto isolamento in cui troppi ‘pastori’ si sono rinchiusi, mentre il ‘gregge’ soffre nell’anima e nella mente più ancora che nel fisico e nell’economia, è una contro-testimonianza, una sfida persa”.

(Tratto da Aci Stampa)

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