Per il “ritorno” di Silvia Romano, niente “distanziamento sociale”… e tant’altro

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“Silvia è tornata, bene ma è stato come vedere tornare un prigioniero dei campi di concentramento orgogliosamente vestito da nazista. Non capisco, non capirò mai” (Alessandro Sallusti, 10 maggio 2020).

Luciano D’Andrea, Instagram.

“Ieri i tg celebravano il trionfo del governo che aveva liberato l’ostaggio. “Siamo orgoiosi” ripeteva Di Maio. Poi si è saputo il conto: fior di milioni ai terroristi, la rapita elogia i carcerieri e si converte alla loro religione. No, noi non siamo orgogliosi” (Marcello Veneziani, 10 maggio 2020).

“In effetti è risaputo che Al Shabaab non sia il nome di una pericolosa e sanguinaria rete terroristica che ha ucciso migliaia di cristiani in Africa. Lo sanno tutti! È il nome di un noto resort, recensito divinamente su TripAdvisor, che dà il benvenuto ai suoi ospiti con ostriche e champagne, fornendo ai prigionieri occidentali tutto ciò di cui hanno bisogno. Contento per la liberazione di Silvia, contento per la sua famiglia, ma per favore, a prescindere dalla conversione indotta da lavaggio del cervello o realmente voluta, non ci venga a dire che lì era tutto meraviglioso. Lo faccia anche solo per rispetto di tutte le vittime torturate, fucilate e crocifisse” (Fabio Marchese Ragona, 11 maggio 2020).

Sul “ritorno” della cooperante convertita all’islam, nell’odiato Occidente, è stato scritto – e commentato – già tanto, anche in assenza di informazioni certe. Lascio la parola a Marco Tosatti, a Agostino Nobile e a Padre Giulio Albanese, senza aggiungere altro di mio, che certamente ne so molto meno di loro.

Silvia Romano, gli Al Shabaab, la Mafia e Mattarella
di Marco Tosatti
Stilum Curiae, 11 maggio 2020

Proviamo a fare un giochino. Tutti avete visto le fotografie in cui il nostro presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, sorridono felici con in mezzo una ragazza intabarrata, con i capelli coperti dal velo, e per la cui liberazione sono stati pagati molti soldi: da un milione e mezzo di euro secondo alcuni – a quattro milioni secondo altri.

Distanziamento sociale”… quella sconosciuta ai potenti e strafottenti. “Stattene lontano… – Tanto ch’adesso, quanno l’aricconta, ancora ce se mozzica le mano!” (Trilussa, L’onestà de mi’ nonna).

Il giochino consiste in questo. Immaginatevi al posto di Conte e Di Maio altre persone. Che avrebbero appena pagato un riscatto a dei criminali con le mani lorde di sangue, e che grazie a quel riscatto potranno spargere altra morte e violenza.
Immaginatevi per esempio Erdogan o Macron, Trump o Putin, Netanyahu o Merkel. Avrebbero pagato? Avrebbero festeggiato un cedimento criminale a dei criminali come se fosse una vittoria? Non si renderebbero conto di aver appena firmato, con quel cedimento, la condanna di molti altri italiani, sparsi nel mondo, e diventati, grazie a quel gesto, bersagli potenziali di chiunque sia abbastanza criminale da compiere un gesto analogo?

Se la ragazza fosse stata rapita dalla mafia, o dalla ‘ndrangheta, o dalla camorra – come è stato: solo sotto altri cieli, con altro nome e in altre lingue – la sinistra, dai Civati ai Saviano festeggerebbe? E l’inquilino del Quirinale non avrebbe niente da dire? Lui, il cui fratello è stato ucciso da un’organizzazione criminale quali sono gli Al Shabaab? Non possiamo credere che un’operazione del genere sia stata compiuta senza che ne fosse informato. Sarebbe gravissimo il contrario. E lui, magistrato, avrebbe acconsentito a ciò che in Italia è stato proibito molti anni fa, con il blocco dei beni dei sequestrati?
Ma pensate davvero che, salvo che in questo sciagurato Paese, ci sarebbero trombe e fanfare perché lo Stato, nelle sue massime autorità, ha ceduto, ha pagato il pizzo, a dei criminali? Come possono le autorità ora chiedere ai cittadini di avere comportamenti eroici, di denuncia, verso chi li taglieggia? O pagare il pizzo si può, ma solo all’estero, perché è più elegante ed esotico?

Nobile: Silvia Romano, conversione (?) su lavagna vuota…
di Marco Tosatti
Stilum Curiae, 11 maggio 2020


A tamburo battente – questa notte – Agostino Nobile ci ha scritto un commento molto interessante, provocatorio e documentato sulla storia di Silvia Romano, la cooperante riscattata a suon di milioni dal governo italiano dopo molti mesi di prigionia presso un gruppo di terroristi islamici, Al Shabaab, responsabili di una lunga serie di crimini efferati in nome dell’islam.

La conversione all’islam di Silvia Romano. Sindrome di Stoccolma o ignoranza?
di Agostino Nobile

A Stoccolma, nell’agosto del 1973, due rapinatori tennero in ostaggio per 131 ore quattro impiegati nella camera di sicurezza della Sveriges Kreditbank. Una delle vittime sviluppò un forte legame sentimentale con uno dei rapitori, che durò anche dopo l’antefatto. Nonostante durante il sequestro la loro vita fosse stata continuamente in pericolo, al processo la ragazza e alcuni degli ostaggi testimoniarono in favore dei sequestratori. In seguito alla vicenda l’agente speciale dell’FBI Conrad Hassel, utilizzò per la prima volta il termine sindrome di Stoccolma. Ma, come sappiamo, fatti analoghi non mancano nella cronaca, nella letteratura e nella storia.
Gran parte degli strizza cervelli sono convinti che questo atteggiamento non faccia parte di quello che possiamo definire ordinaria follia, ma di meccanismi mentali guidati dall’istinto di sopravvivenza. Ciò accade perché la vittima sente la propria vita nelle mani di un possibile carnefice. Così, cercando di evitare la morte e nella speranza che l’aguzzino possa impietosirsi, sviluppa un meccanismo psicologico di totale attaccamento verso di lui.

È forse il caso di Silvia Romano, la cooperante rapita in Kenya nel novembre 2018 e rilasciata lo scorso 9 di maggio in Somalia? I quotidiani riportano un suo commento che, oggettivamente, lascia alquanto perplessi: «È vero, mi sono convertita all’Islam. Ma è stata una mia libera scelta, non c’è stata nessuna costrizione da parte dei rapitori, che mi hanno trattato sempre con umanità. Non è vero, invece, che sono stata costretta a sposarmi, non ho avuto costrizioni fisiche, né violenze».
Dando un’occhiata al sito Africa Milele, la Onlus per la quale lavora la giovane Romano, si legge: “Significa soprattutto rispettare e valorizzare le diversità insite in ogni tradizione ed in ogni essere umano, per conferire a qualsiasi forma di vita la dignità e la posizione che merita all’interno della propria esistenza. Per attuare tutto ciò il nostro operato seguirà sempre valori quali Rispetto, Libertà ed Uguaglianza, per avere, appunto, la Possibilità di vivere concretamente in un mondo moralmente accettabile”. Parole che non fanno dubitare sul radicale laicismo dell’Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale (solo gli ingenui credono che le Onlus siano non lucrative). A questo punto la conversione di Silvia non crea nessuna meraviglia.
L’amico Piero Gheddo diceva che su una lavagna vuota chiunque può scriverci quello che vuole. Fosse anche un aguzzino, aggiungo. Infatti le coscienze di milioni di giovani rappresentano lavagne vuote, non solo per l’aspetto religioso. Dagli anni Sessanta la scuola, i media e la Chiesa sono diventate cose che appartengono alla santa Moda. Una lavagna nera.
Tornando alla giovane Silvia, pare ovvio che della dottrina cristiana e islamica sa poco o niente. Se poi, come sembra aver affermato, lei stessa ha chiesto di leggere il Corano, ci chiediamo: era un testo in italiano o in inglese? Una traduzione addolcita per gli occidentali o quella originale? Forse le hanno detto che dev’essere interpretato? O forse le hanno raccontato le malefatte degli occidentali, nascondendo quelle musulmane protratte per mille e quattrocento anni. O forse è costretta a presentarsi come musulmana per salvare qualcuno che si trova ancora nelle mani degli islamisti? Al momento non lo sappiamo. Siamo tuttavia sicuri che la conversione di Silvia ha galvanizzato milioni di musulmani e stimolato molti giovani occidentali senza arte né parte a farci un pensierino. Non solo. Dato che i soldi per il riscatto vengono dalle tasche dei contribuenti, la ragazza ha dato simbolicamente un calcio in faccia ai cristiani, dimostrando fiducia ai rapitori musulmani (che hanno eseguito alla lettera il Corano) e non a chi gli ha salvato la vita.
A questo punto permettetemi di riportare alcuni versetti del Corano relativi alla donna.
Sura LXXVIII: 31-34: Ma per gli osservanti [in paradiso] ci sarà il successo! Parchi e vigne, vergini dal seno turgido, coetanee, e calici ricolmi. [E per le donne? Boh!]
Sura IV:15: Se ci sono femmine vostre che si rendono colpevoli di scandalo, cercate fra voi quattro testimoni contro esse. Se in realtà la loro testimonianza è vera, tappatele in casa, nei recessi segreti, fino a che morte non sopravvenga, o che il Dio porga loro una via di uscita.
Maschietti misogini, non montatevi la testa, ce n’è anche per voi.
Sura IV:16: Se si tratta di due maschi, sotto con la tortura!
Sura LXVI: 5: S’egli vi darà il libello del ripudio [secondo la sharia il marito può ripudiare la moglie quando e come vuole privandola di tutti i diritti] è molto probabile che il Signore lo faccia innamorare di altre donne, certamente migliori di voi. Saranno musulmane, piene di fede, devote, col cuore pentito.
Sura IV:11: Riguardo ai vostri figli Iddio vi raccomanda di lasciare al maschio la parte di due femmine: se i figli sono solo femmine e più di due, loro spettano i due terzi dell’eredità.
Oltre a 15 spose, il Profeta ebbe a una ventina di concubine. Dopo la morte della prima moglie Khadigia, ricca commerciante con più anni di Maometto, sposò la piccola A’isha. Lo storico e devoto Salhi Muslim, nel Libro 8 numero 3310, a tal proposito scrive: “A’isha (che Allah sia compiaciuto di lei) ha riportato: l’Apostolo di Allah (che la pace sia su di lui) mi ha sposata quando avevo sei anni, e sono stata ammessa in casa sua quando ne avevo nove”.
Sahid Bukhari, Volume 7, Libro 62, Numero 88: “Narrato da ‘Ursa: Il Profeta scrisse (il contratto di matrimonio) con A’isha quando lei aveva sei anni e consumò il suo matrimonio con lei quando ne aveva nove e lei rimase con lui per nove anni (fino alla morte del Profeta)”.
Beh, dirà qualcuno, nell’AT troviamo fatti analoghi. Ma se in Israele non troviamo ombra (grazie anche ai cristiani) delle usanze tribali dei loro antenati, nei paesi musulmani le cose vanno diversamente. Per gli esegeti del Corano il testo sacro non può essere interpretato ma accolto alla lettera, e il Profeta rappresenta il modello di vita da seguire. Capita così che oggi, secondo l’Unicef, nel mondo musulmano le spose bambine sono oltre 60milioni. Ma di questo parleremo in un prossimo articolo.

Padre Giulio Albanese sulla conversione di Silvia Romano all’Islam
Intervista al Corriere della Sera, 11 maggio 2020

“Bisogna capire che cos’è successo. L’Islam fanatico ti spinge a uno scambio: la tua conversione in cambio della tua vita. Ne ho conosciuti tanti, di ‘convertiti’. Ho scritto anche un libro sui bambini costretti a combattere, sul lavaggio del cervello che subiscono. Ho visto il sorriso di Silvia, all’aeroporto di Ciampino. Ma quel sorriso non mi dice nulla. Non mi convince. C’è sotto qualcosa di molto più complesso. Io una volta sono stato sequestrato solo pochi giorni, e mi sono bastati per capire come si esca con le ossa rotte, da quelle esperienze”. Utilizza parole fortissime Padre Giulio Albanese, 61 anni, missionario comboniano, giornalista, esperto di Africa, nel commentare la liberazione di Silvia Romano. Nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera, Padre Giulio Albanese frena i giudizi sul rilascio della cooperante italiana e sulla sua conversione all’Islam. Lui che conosce bene quel mondo. “Ci si dovrebbe rendere conto di che cosa significhi finire nelle mani di Al Shabaab. È l’equivalente di Boko Haram in Nigeria. Gente che te ne fa di cotte e di crude”, afferma il missionario. “Non sappiamo quali siano le condizioni spirituali e mentali di una giovane che sopravvive a un anno e mezzo con gente che ti può far fuori. Non sappiamo quanto sia stata libera. Leggo che si parla di sindrome di Stoccolma. Ma è prematuro. Chi spara giudizi con tanta leggerezza, non sa che cosa sia vivere in Somalia. Un Paese che dal 1991 è in uno stato spaventoso”, continua Padre Giulio Albanese. “Ti puntano il fucile: o ti converti, o ti ammazzi. Non è una vacanza alle Maldive. Lo choc psicologico scava a lungo. Ricordiamo tutti le ragazze rapite da Boko Haram in Nigeria. Ce ne siamo fregati, perché tanto non erano europee. Ma erano tutte cristiane o animiste, costrette a convertirsi”, spiega l’esperto. Padre Giulio Albanese risponde anche alle polemiche mosse sull’attività di volontariato di Silvia Romano: “Preferiamo i giovani pieni d’alcol e di droga che si schiantano in macchina il sabato sera o questi ragazzi che fanno una scelta di volontariato? So anch’io che le Ong andrebbero meglio in una rete di network, che ci vuole senso di responsabilità, forse questa ragazza non doveva stare sola nella savana, che molto va rivisto… Ma serve moderazione. Attenzione a non buttare il bambino con l’acqua sporca. Non criminalizziamo chi, come i missionari o i volontari, fa una scelta di generosità e di gratuità. Chi sta a Sud del mondo e si sporca le mani. Questo è il valore aggiunto delle nostre società. Un deposito di valori. Ce lo dovremmo tenere stretto”. E alla domanda sul presunto riscatto pagato dallo Stato italiano per la liberazione di Silvia Romano risponde: “Non so se sia vero. Però eviterei una certa ipocrisia, quando si dice che si sono finanziati gli Shabaab. E sottolineerei che l’Italia è leader nell’esportazione di armi proprio nei Paesi in cui ci sono questi gruppi terroristici”.

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