Le “pinzette eucaristiche” in tempo di coronavirus. Uno sguardo alla storia degli “utensili eucaristici”
Alcuni giorni fa, un tweet di Propaganda Live (“Marco Alici ha realizzato la pinza disegnata da @makkox e l’ha inviata a Don Dino Pirri che l’ha testata”) dell’8 maggio 2020 ha provocato come al solito un’interminabile serie di commenti irripetibili da parte di non credenti e miscredenti, ignoranti incalliti.
Saremo curioso di sapere se Don Pirri – che cura anche una rubrica su TV2000, che dice di se stesso: “Sono un prete felice!” – è rimasto anche felice come prete, leggendo le parodie blasfeme.
Siamo alle solite. Coloro che si considerano “moderni” e “precursori-che-leggono-i-segni-dei-tempi” e si inorridiscono a sentire soltanto la parola “tradizione”, sono degli ignoranti stratosferici e degli analfabeti funzionali sempliciotti. Sì, perché la possibilità di utilizzare le “pinzette eucaristiche” non è una “trovata” originale da baraccone, “inventata” da Makkox, “realizzata” da Alici, “testata” da Pirri e trasmessa da “Propaganda Live”, perché appartiene alla storia e alla tradizione della Chiesa e si trova nel rituale della comunione o “Ordo amministratori sacram comunionem”.
Accanto ad un significato liturgico, queste pinzette, nel corso della storia della Chiesa, svolgono un’importante funzione di prevenzione sanitaria nei periodi di pestilenza, di lebbra, di epidemia. Per evitare il contagio e, al contempo, non far mancare ai fedeli la consolazione dell’eucarestia, nascono pinze e cucchiai eucaristici di varie lunghezze. Un utilizzo, quest’ultimo, dettato da esigenze di natura sanitaria, che rappresenta una soluzione anche per la soddisfazione dei bisogni spirituale in questa attuale pandemia da coronavirus. Quindi, riproducendo oggi la “pinzetta eucaristica” si vuole raccogliere dall’eredità della storia l’insegnamento di un importante utensile liturgico per le emergenze sanitarie del tempo presente.
Ritornando al Protocollo circa la ripresa delle celebrazioni liturgiche, sottoscritto tra Governo e Conferenza Episcopale Italiana il 7 maggio 2020 – senza voler entrare in merito, di cui abbiamo già scritto [Protocollo circa ripresa celebrazioni con il popolo. Rischio di una vera e propria spaccatura nella Chiesa in Italia – 8 maggio 2020] – al paragrafo 3.4. si legge la necessità che, durante il rito di comunione, la particola consacrata sia dal celebrante o dall’eventuale ministro straordinario offerta “senza venire a contatto con le mani dei fedeli”.
Nel documento di lavoro della Chiesa ambrosiana, firmato da Don Mario Antonelli, Vicario episcopale per l’Educazione e la celebrazione della fede, in vista della Fase 2, dopo la grande quarantena, è presentata una serie di ipotesi sulle quali è in corso un confronto inter-ecclesiastico, tra i quali di “distribuire la comunione con una pinzetta”.
Nell’intervista “L’unione con Cristo non cancella la nostra umanità in tutta la sua forma, comprese le nostre fragilità”, rilasciata il 5 marzo 2020 per il sito del Patriarcato Latino di Gerusalemme, Mons. Pierbattista Pizzaballa, Amministratore apostolico di Gerusalemme dei Latini, già Custode di Terra Santa. Egli rispondendo alla domanda di Saher Kawas: “Cosa direbbe alle persone che dicono che cambiare la pratica liturgica di ricevere la Comunione sulla lingua, anche se è permessa in certe condizioni, come lo scoppio di un virus, è un segno di mancanza di fede?”, ha risposto: “Nel museo della Custodia di Terra Santa sono ancora visibili le pinze usate dal sacerdote durante le pestilenze per dare la comunione agli appestati. Questo costituisce una mancanza di fede? Certo che no. Si è trattato di prudenza, un mezzo per non contaminare gli altri. La fede non sostituisce la ragione. Dio ci ha dato un cervello, un’intelligenza da usare e sviluppare, per conservare la nostra vita e quella degli altri che ci sono stati affidati. Usare la nostra intelligenza non è contro la fede. La fede senza ragione è come un’anima senza corpo. Abbiamo bisogno di entrambi”.
Dando una sguardo alla storia, si scopre che la Chiesa, da sempre, in tempi di pestilenza si è avvalsa di pinzette e strumenti eucaristici similari. Inoltre, una semplice ricerca su Google, rivela che vengono prodotti ancora oggi, per far fronte all’emergenza di natura sanitaria provocato da Covid-19.
Per esempio, la “pinzetta eucaristica” viene proposta dall’azienda leader nella produzione di arredi liturgici e paramenti sacri Desta Industria S.r.l. di Settingiano in provincia di Catanzaro (con showroom a Roma in via Plauto 15).
Il quadro di Caruana rappresenta una scena della peste bubbonica che ha devastato le isole maltesi dall’aprile 1813 al gennaio 1814, uccidendo oltre 4.500 persone su una popolazione di 100.000. Nella scena centrale, un prete amministra la Santa Comunione ad una ragazza morente usando un paio di tenaglie o tenaglie a pelo lungo, un ricordo tangibile della peste.
La “pinzetta eucaristica” ha innanzitutto un significato liturgico, da rintracciare nella dignità del sacramento. Dalla voce “Utensili liturgici” di M. Di Berardo in Treccani.it si apprende:
Fra gli utensili liturgici mancano invece attualmente di riscontri oggettuali noti [a questo ha rimediato il coronavirus, V.v.B.), per il periodo medievale, le pinze eucaristiche (lat. forcipes, tenacula, furcheta), il cui impiego – corrispondente in senso lato a quello della fistola (Braun, 1932, p. 265) – dovette probabilmente entrare nell’uso solo in epoca tarda ed essere circoscritto a celebrazioni solenni o alla stessa liturgia pontificale: il ricorso a pinze “ad recipiendum hostiam in calice” (Hoberg, 1944, p. 475) ritorna infatti più volte sia negli elenchi dei tesori papali del periodo avignonese – con varianti terminologiche o distinzioni relative ai materiali, come per es. nel caso di tenacula de argento dell’inventario del 1315-1316 sotto Clemente V (1305-1314; ivi, p. 22) o delle “furchete de auro pro recipienda ostia” dell’elenco del 1353 relativo a Innocenzo VI (1352-1362; ivi, p. 215) – sia, in ambito romano nel Liber de caeremoniis Sanctae Romanae Ecclesiae, della seconda metà del sec. 14̊, nel quale è specificamente documentato da parte del suo autore Pierre Ameil (m. nel 1401) l’uso di servire “cum tenaculis de auro hostias consecratas” (PL, LXXVIII, col. 1332).
Sul sito Liturgicalartsjournal.com si trova un’interessante articolo con delle foto di particolari oggetti liturgici destinati all’amministrazione della Santa Comunione: la fistula, il cucchiaio e le pinze.
Mentre viviamo l’odierna pestilenza del XXI secolo con crescenti preoccupazioni riguardo alla trasmissione di malattie attraverso le specie della Santa Comunione, è interessante esaminare le diverse forme di ricezione della Santa Comunione con gli utensili che la Chiesa latina ha impiegato nel corso dei secoli. Mentre il loro aspetto era dovuto agli scrupoli durante la manipolazione del Santissimo Sacramento e acquisivano un carattere cerimoniale, dimostrarono praticità per l’amministrazione della Santa Comunione ai fedeli durante i periodi di pestilenza o quando questi non erano in grado di consumare l’ostia.
La cannuccia liturgica o fistula, variamente chiamata calamo, cannula, arundo, calamus, pipa, pugillaris, sipho o sumptorium è l’unico utensile sopravvissuto nell’uso cerimoniale fino al XX secolo. L’uso della fistola sembra aver avuto origine nella tarda antichità nella corte papale, dove era in uso almeno dal tempo di Papa San Gregorio Magno. È esplicitamente menzionato nelle rubriche dell’Ordo Romanus del VII secolo, dove il vescovo comunica con esso il Sacro Sangue. L’uso di questo strumento si estese durante il periodo carolingio in Italia, Francia, Germania, Inghilterra e Polonia, nonché per gli ordini cistercense e certosino. Divenne il metodo prevalente per amministrare il Sangue del Signore ai fedeli fino al XIII secolo, quando l’usanza che le persone che ricevessero entrambe le specie fu interrotta. È interessante notare che è anche menzionata nell’edizione del 1970 dell’Ordinamento Generale del Messale Romano nello stabilire che il Sangue Prezioso possa essere sorbito direttamente dal calice oppure usando un cucchiaio o un tubetto. La fistula potrebbe anche essere usata come una pipetta in modo che, anziché aspirare il Sangue del Signore, esso possa essere lasciato cadere nella bocca del comunicante nei casi in cui questi non potesse essere in grado di deglutire altro che liquidi. Anche Papa Paolo VI si è comunicato mediante la fistula.
Il cucchiaio eucaristico fa la sua apparizione probabilmente un po’ più tardi rispetto alla fistula, intorno all’VIII secolo. I riferimenti storici al suo uso sono più scarsi, ma è stato chiaramente impiegato, come lo è oggi nei riti orientali, per la Comunione per ‘intenzione. Il cocleare non deve essere confuso con il cucchiaino, che serve per aggiungere l’acqua al vino all’Offertorio. Mentre il suo uso durante la Messa è sbiadito contemporaneamente alla pratica della comunione sotto entrambe le specie (conservato invece nelle Chiese ortodosse), è stato conservato per l’amministrazione del Viatico, comunemente sotto forma di un Ostia o di una particella disciolta nell’acqua. Mentre la maggior parte delle volte il prete potrebbe usare un cucchiaio della casa, alcuni esempi di cucchiai realizzati per questo scopo specifico sono sopravvissuti. Erano, come gli altri vasi, fatti di argento e la tazza del cucchiaio era dorata.
Probabilmente i più oscuri di questi utensili, le pinze eucaristiche sono state inizialmente utilizzate per immergere particelle di Ostia nel calice. Mentre la loro origine è probabilmente antica, vediamo che diventa comune nella corte papale di Avignone durante il XIV secolo, probabilmente limitato alle celebrazioni più solenni. Fonti contemporanee, tra cui il Liber de Cæremoniis, le chiamano anche tenacula o furcheta e dichiarano chiaramente il loro uso eucaristico. L’uso liturgico delle pinze non sembra essere passato a Roma dopo lo scisma d’Occidente, ma erano ancora usati per dare la Santa Comunione ai lebbrosi od appestati. Allo stesso modo, altri strumenti sono stati creati per i periodi di pestilenza. Un utensile comune era il cucchiaio da ostia (manche à Hostie, Hostienloffel) costituito da una lunga asta con un piccolo disco piatto all’estremità. François Ranchin, un prestigioso medico francese del XVII secolo, specifica che avrebbe dovuto essere una bacchetta di metallo lunga almeno 20 pollici, con una lunetta alla fine, dove sarebbe stata collocata l’ostia.