Dove comanda la mafia, i posti nelle Istituzioni vengono tendenzialmente affidati a dei cretini: l’insegnamento di Coppola e Falcone

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Nel suo libro “La convergenza. Mafia e politica nella seconda Repubblica” (Melampo Editore 2010) Nando dalla Chiesa – Professore di Sociologia della criminalità organizzata dell’Università statale di Milano, Presidente onorario della Associazione Libera, Presidente della Scuola di formazione politica “Antonino Caponnetto”, Editorialista de il Fatto Quotidiano e di Europa – racconta le convergenze tra Cosa Nostra e politica e spiega come, dove comandano le organizzazioni mafiose, i posti di potere siano “affidati a dei cretini”, che “fanno spontaneamente ciò di cui la mafia ha bisogno”.

Se la mafia prospera grazie alla “disponibilità di cretini”
Tratto da “La convergenza. Mafia e politica nella seconda Repubblica”
di Nando dalla Chiesa

La forza della mafia sta fuori dalla mafia. È impossibile capire la lunga storia dei rapporti tra Stato e mafia, società e mafia se non si assume questa tesi come propria (e prima) bussola mentale. Saranno molte in questo libro le pagine ispirate al concetto di convergenza, che ne costituisce – come detto – l’architrave intellettuale. E che permette di comprendere gran parte del cammino compiuto dalle organizzazioni mafiose nella vita del Paese. Ma prima di dedicarsi all’analisi della straordinaria convergenza di progetti, di interessi e di culture che si è prodotta in Italia tra ciò che è mafia e ciò che non lo è, è necessario partire da un apologo. Un apologo raccontato alla giornalista Marcelle Padovani da Giovanni Falcone, il giudice che aprì alle istituzioni la via di nuovi e rigorosi modelli di indagine oltre che di nuovi principi legislativi e di organizzazione giudiziaria nella lotta contro la mafia.

“Uno dei miei colleghi romani”, racconta Falcone, “nel 1980 va a trovare Frank Coppola, appena arrestato, e lo provoca: ‘Signor Coppola, che cosa è la mafia?’. Il vecchio, che non è nato ieri, ci pensa su e poi ribatte: ‘Signor giudice, tre magistrati vorrebbero oggi diventare procuratore della Repubblica. Uno è intelligentissimo, il secondo gode dell’appoggio dei partiti di governo, il terzo è un cretino, ma proprio lui otterrà il posto. Questa è la mafia…”

Il bisogno e la disponibilità di cretini. Qui sta la chiave di tutto, prima ancora che nelle complicità intenzionali o nelle affinità morali. Che in termini sociologici può essere così tematizzata: quale rapporto esiste tra la mafia e l’ampiezza della (multiforme) comunità dei cretini. O, riprendendo la nota, felice espressione letteraria di Fruttero e Lucentini, tra la mafia e “la prevalenza del cretino”. È curioso come alcuni insegnamenti e metafore di Falcone abbiano avuto una diffusa fortuna nella letteratura o nella memoria civile successive. E come questo non vi trovi invece mai spazio. Eppure abbiamo un vecchio, saggio e prestigioso capomafia che decide di spiegare, sia pure allegoricamente, a un magistrato che cosa sia la mafia, ben prima che arrivino i racconti di Tommaso Buscetta. E poi uno dei più grandi magistrati di sempre, maestro della lotta alla mafia, che raccoglie quell’apologo e ne fa a sua volta un criterio descrittivo di che cosa sia la mafia.

Frank Coppola e Giovanni Falcone dicono a chi voglia ascoltarli una cosa di una straordinaria semplicità didascalica: che dove comanda la mafia i posti nelle istituzioni vengono tendenzialmente affidati a dei cretini. E che dunque una società che abbia, anche nei suoi ceti colti e professionali, delle buone riserve di cretini è assolutamente funzionale ai disegni e alle ambizioni delle organizzazioni mafiose.

“Cretino”. I dizionari non aiutano molto perché spiegano la parola rinviando ad altre: stupido, imbecille, deficiente, idiota. Sennonché però è proprio quest’ultima a potere offrire la chiave più utile per entrare nello spirito dell’apologo, grazie alla sua limpida etimologia greca. Idiota: “uomo inetto a partecipare alla cosa pubblica”. Ma che vi diventa adatto e prende anzi a parteciparvi, anche ai livelli più alti, appunto per assecondare (o con l’effetto di assecondare) le esigenze della mafia.

Si apre qui un campo di riflessioni del tutto nuovo e praticamente sterminato. Perché, infatti, la mafia preferisce, fra le tre ipotesi prospettate da Coppola, quella del giudice cretino?

La prima ipotesi, quella del giudice “intelligentissimo”, ha alcuni seri inconvenienti. Se è anche onesto – e magari pure coraggioso –, infatti, egli sarà per la mafia un nemico pericoloso, che richiederà comunque un impiego considerevole di energie per contrastarlo. O per farlo trasferire, o per delegittimarlo, o per eliminarlo fisicamente. In tutti i casi dovendo allestire alleanze ed elaborare strategie dall’esito incerto, ossia dovendo entrare in complessi meccanismi di scambio di utilità. E con prezzi da pagare, specie nel caso dell’eliminazione fisica. Se invece il giudice è intelligentissimo ma non è onesto, egli metterà le proprie qualità intellettuali al servizio di sue strategie personali. La mafia dovrà esporsi, contrattare, fare commettere comunque dai propri esponenti reati corruttivi, con in più i rischi che derivano dall’atto stesso di manifestarsi con persone, volti, profferte.

La seconda ipotesi, quella del magistrato che “gode dell’appoggio dei partiti di governo”, presenta a sua volta altri inconvenienti. Se è onesto (caso ampiamente possibile), i partiti dovranno intervenire su di lui con un’opera di persuasione che non potrà superare certi limiti. Non solo, proprio i partiti di governo (così accadde con Falcone, d’altronde) potrebbero essere convinti da un tale magistrato ad adottare comportamenti più rigorosi o intelligenti nei confronti della mafia. Il suo rapporto di fiducia con la classe di governo, cioè, potrebbe in certe circostanze rivolgersi contro gli interessi mafiosi. Viceversa, se si tratterà di un giudice di princìpi più “duttili”, potrà ben essere convinto dai propri superiori a operare in senso meno ostile a quegli interessi. Ma di nuovo sarà necessario attivare una rete di pressioni che obbligheranno a uscire allo scoperto, ad aprire un canale di scambio che non sempre può essere già oliato alla perfezione (gli uomini politici di riferimento cambiano spesso incarico dentro le istituzioni…).

La terza ipotesi invece non è solo la più desiderabile. È quella perfetta. Il cretino farà spontaneamente, spesso in buona fede, ciò di cui la mafia ha bisogno. Di più: lo farà gratis. E se ci sarà da omettere, ometterà. Più in generale: se bisognerà non capire, lui non capirà. Anzi, porterà a sostegno delle azioni od omissioni desiderate dai clan nuove e insospettabili argomentazioni. Talora con entusiasmo da neofita. Userà parole che i clan, o gli ambienti a essi vicini, non avrebbero saputo inventare o rendere credibili. La mafia dunque, una volta ottenuto che il cretino ricopra l’incarico giusto, non dovrà più fare nulla, se non guidarlo o farlo guidare ogni tanto da lontano. Non avrà bisogno di uscire allo scoperto. Non dovrà commettere reati corruttivi o intimidatori. Non dovrà entrare ogni volta in un circuito di scambi. Avrà sempre quel che le serve. Immagine immacolata e totale sintonia operativa: ecco il giudice ideale. Per questo avrà il posto, giurava sardonico dall’alto della sua esperienza Frank Coppola.

A questo punto occorre però procedere ad alcune specificazioni, che riguardano proprio il concetto di “cretino”. Che non necessariamente implica – questo è un passaggio mentale decisivo – un basso livello intellettuale o professionale della persona considerata. Se infatti attribuiamo al termine il significato su visto di “idiota”, ossia di “inetto a partecipare alla vita pubblica”, dobbiamo precisare che questa inettitudine va riferita alla vita pubblica in un contesto determinato: quello dominato o aggredito da una presenza mafiosa. Certo un giudice non corrotto che si riveli funzionale alla mafia in un contesto dove essa prosperi o sia comunque presente, sarà in genere, proprio per le specificità attitudinali richieste dal ruolo, effettivamente (molto o un po’) cretino nel senso più stretto del termine. Ma il problema è che la mafia riceve continuamente favori, e nelle forme più varie, da intellettuali, giornalisti, avvocati, imprenditori, esponenti di associazioni, amministratori o politici di grande valore. I quali non sono in assoluto inetti alla vita pubblica (anzi), ma lo sono in relazione al contesto in cui operano. Un contesto, cioè, dove le organizzazioni mafiose ammodernano e realizzano senza sosta le proprie strategie di aggressione alla vita democratica e civile. L’inettitudine di queste persone è dunque relativa, nel senso che esse non vedono, o non sanno misurare, sulla base delle loro priorità culturali, il pericolo mafioso. E pensano e agiscono di conseguenza. Il fatto è che tale campo di inettitudine (assolutamente decisivo) è veramente vasto. E va dai livelli più alti del potere al generalissimo livello degli elettori. Qui ha radici l’Eden mafioso: la società ideale, quella che vede la mafia solo nei suoi scoppi criminali più eclatanti, e ne circoscrive comunque la presenza ad alcune regioni “tipiche”. La società in cui la mafia viene umoralmente e maldestramente confusa con ogni forma di clientelismo o criminalità comune, meglio se straniera. Dove ogni interesse di parte o egoistico, economico o politico, diventa naturalmente più importante della lotta alle organizzazioni mafiose.

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