Il mondo cattolico festeggia il lavoro

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“Non ci può essere Repubblica senza lavoro, come afferma solennemente il primo articolo della nostra Costituzione. Il lavoro è stato motore di crescita sociale, economica, nei diritti, in questi settantaquattro anni di Repubblica. Perché il lavoro è condizione di libertà, di dignità e di autonomia per le persone. Consente a ciascuno di costruire il proprio futuro e di rendere l’intera comunità più intensamente unita. Va ribadito con determinazione nella attuale situazione, in cui la diffusione del virus ha colpito duramente il nostro popolo,costringendoci, a un temporaneo congelamento delle attività. In Italia, come in tutto il mondo, le conseguenze della pandemia mettono a rischio tanti posti di lavoro”.

Così il messaggio del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nella giornata della festa del lavoro, sottolineando che ora i sacrifici affrontati non possono essere vanificati: “La ripresa è possibile perché nei quasi due mesi precedenti siamo riusciti ad attenuare molto la pericolosità dell’epidemia. Dobbiamo difendere questo risultato a tutela della nostra salute.

Non vanno resi vani i sacrifici fatti sin qui se vogliamo assieme riconquistare, senza essere costretti a passi indietro, condizioni di crescente serenità. Non va dimenticata l’angoscia delle settimane precedenti, sotto la violenta e veloce aggressione del virus, né che abbiamo superato i 200.000 contagi e che ogni giorno dobbiamo piangere alcune centinaia di vittime.

Questo richiede un responsabile clima di leale collaborazione tra le istituzioni e nelle istituzioni. So che possiamo fare affidamento sul senso di responsabilità dei nostri concittadini (manifestato, in questo periodo, in misura ammirevole dalla loro quasi totalità) perché, nelle nuove condizioni, ci si continui a comportare con la necessaria prudenza”.

In questa occasione Tommaso Marino, segretario nazionale del Movimento Lavoratori di Azione Cattolica (Mlac), ha sottolineato la necessità di un lavoro che rigenera la comunità civile: “Occorre avviare una fase di progettazione sociale, di lettura del territorio e dei suoi bisogni. Occorre avere la capacità di avviare processi in grado di coinvolgere gli attori che agiscono localmente, gli enti, le associazioni.

L’idea altruista dell’indossare la mascherina per difendere gli altri e se stessi, può diventare un paradigma sociale di crescita e di sviluppo per tutti. Al distanziamento sociale imposto in questi tempi potremo affiancare una vicinanza personale attraverso gli strumenti che la tecnologia ci mette a disposizione.

Più in generale, per contrastare la dominante cultura dello scarto dobbiamo convertirci ad una maggiore solidarietà, alla compassione nei confronti degli ultimi, di coloro che vivono una situazione difficile. Una comunità in grado di leggere la situazione che sta vivendo, in grado di capirne le potenzialità inespresse, potrà ri-progettare la tessitura di una socialità nuova, basata sulla partecipazione e sull’inclusione.

Per questo, sarà necessario camminare uniti, assieme agli ultimi. I fratelli immigrati non possono rappresentare solamente una forma quasi unica di manovalanza, in condizioni di lavoro non dignitose in molte aree del Paese. Parimenti, il tempo del riposo e della festa deve coinvolgere pienamente anche il mondo del lavoro e della famiglia”.

Anche il presidente nazionale delle Acli, Roberto Rossini, ha evidenziato l’emergenza del lavoro in Italia in questo particolare momento: “Dobbiamo contemporaneamente intervenire sull’emergenza e progettare il futuro del Paese, gettando le basi per un nuovo piano di crescita e sviluppo. Va fatto un investimento vero sulla scuola e sulla formazione, perché lavoreremo in un contesto mutato e ancora condizionato dall’esistenza del virus.

Il mercato del lavoro sta cambiando, proiettato sempre di più verso nuove forme, tra cui lo smart working, come dimostra l’esperienza di questi mesi, e in generale il ruolo della tecnologia, come dimostrano le applicazioni dell’Industria 4.0. In questo contesto dovremo monitorare con attenzione i più deboli e i più fragili. Il distanziamento fisico rischia di trasformarsi in distanziamento economico, poi sociale e infine umano”.

Ed ha ricordato l’istituzione da parte della Chiesa della festa di san Giuseppe lavoratore, voluta da san Pio XII nel 1955: “Nel 65^ dell’istituzione della Festa di san Giuseppe vogliamo riappropriarci della sacralità del lavoro, facendo nostre le parole di papa Francesco: il lavoro ci unge di dignità, ci rende simili a Dio, che ha lavorato e lavora, agisce sempre; dà la capacità di mantenere sé stessi, la propria famiglia, di contribuire alla crescita della propria Nazione. Solo attraverso il lavoro potremo riallacciare i legami delle nostre comunità, rifondare il patto sociale e far ripartire l’Italia”.

E proprio nella messa mattutina a Santa Marta papa Francesco ha pregato davanti alla statua di san Giuseppe, che solitamente è posizionata all’ingresso della sede nazionale di palazzo Grandi a Roma: è stata realizzata dalle ACLI e nel 1956 fu trasportata in elicottero da piazza del Duomo, a Milano, a piazza San Pietro in occasione della festa cristiana del lavoro intitolata a san Giuseppe lavoratore”.

Infatti davanti a 200.000 aclisti san Pio XII aveva ricordato di aver messo, fin dalle origini, le ACLI sotto il patrocinio di san Giuseppe: “Quante volte noi abbiamo affermato e spiegato l’amore della Chiesa verso gli operai! Eppure si propaga largamente l’atroce calunnia che la chiesa è alleata del capitalismo contro i lavoratori…  Si, diletti lavoratori; il Papa e la Chiesa non possono sottrarsi alla divina missione di guidare, proteggere, amare soprattutto i sofferenti, tanto più cari, quanto più bisognosi di difesa e di aiuto, siano essi operai o altri figli del popolo. 

Questo dovere ed Impegno Noi, Vicario di Cristo, desideriamo di altamente riaffermare, qui, in questo giorno del primo maggio, che il mondo del lavoro ha aggiudicato a sé come propria festa, con l’intento che da tutti si riconosca la dignità del lavoro e che questa ispiri la vita sociale e le leggi, fondate sull’equa ripartizione di diritti e di doveri.

In tal modo, accolto dai lavoratori cristiani, e quasi ricevendo il crisma cristiano, il primo maggio, ben lungi dall’essere risveglio di discordie, di odio e di violenza è, e sarà, un ricorrente invito alla moderna società per compiere ciò che ancora manca alla pace sociale. Festa cristiana, dunque, cioè giorno di giubilo per il concreto e progressivo trionfo degli ideali cristiani nella grande famiglia del lavoro”.

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