Giuliana Chiorrini invita a seguire l’esempio di Carlo Urbani

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Si è chiusa con la somma di € 30.000 l’iniziativa di raccolta fondi organizzata a favore dell’Ospedale di Jesi dall’Associazione Italiana Carlo Urbani Onlus. Entro il mese di maggio, grazie alla cifra raccolta, saranno donati e installati nel nosocomio jesino due letti bariatrici da terapia intensiva per pazienti obesi con sollevamento motorizzato fino a 400 kilogrammi, come ha dichiarato il presidente dell’Aicu, Tommaso Urbani, figlio di Carlo:

“L’Associazione ha voluto manifestare, in questa situazione di emergenza, il proprio supporto alla comunità medica e al personale sanitario dell’Ospedale Carlo Urbani impegnato, ogni giorno in prima linea, a fronteggiare l’epidemia. A tutti loro va il nostro riconoscimento. Colgo l’occasione per ringraziare le molte realtà locali e i tantissimi privati che, uniti in un obiettivo comune, hanno contribuito al risultato in linea con una delle finalità costitutive dell’Associazione; garantire l’accesso alle cure e alla salute per tutti”.

E nei giorni scorsi, nello stesso contesto territoriale, l’Aicu ha donato 30 saturimetri ai medici dell’Unità Speciale di Continuità Assistenziale istituita a Jesi e in Vallesina, per permettere un più esteso controllo a domicilio delle condizioni sanitarie dei soggetti Covid positivi o sospetti Covid e il monitoraggio costante delle loro condizioni di salute.

Carlo Urbani nasce a Castelplanio, in provincia di Ancona, il 19 Ottobre 1956. Già da giovane si dedica ai più bisognosi ed è una presenza costante nell’ambito parrocchiale: collabora a raccogliere le medicine per Mani Tese, promuove un gruppo di solidarietà che organizza vacanze per i disabili, entra a fare parte del Consiglio Pastorale parrocchiale.

Il desiderio di prendersi cura delle persone sofferenti lo porta a scegliere gli studi di Medicina e la specializzazione in malattie infettive. Nel 1996 entra a fare parte dell’organizzazione ‘Médecins Sans Frontières’ e parte insieme alla sua famiglia per la Cambogia, dove si impegna in un progetto per il controllo della schistosomiasi, una malattia parassitaria intestinale.

Anche qui rileva le forti ragioni sociali ed economiche del diffondersi delle malattie e della mancanza di cure: si muore di diarrea e di Aids, ma i farmaci per curare la infezione e le complicanze sono introvabili. Dopo la Cambogia, il suo impegno lo porta nel Laos, e quindi in Vietnam. Nelle ultime settimane di vita si dedica con coraggio alla cura e alle ricerche sulla Sars, la terribile malattia respiratoria che minaccia il mondo intero.

E’ perfettamente conscio dei rischi che corre, tuttavia, parlandone con la moglie, Giuliana Chiorrini, osserva: ‘Non dobbiamo essere egoisti, io devo pensare agli altri’. Ricoverato in ospedale a Bangkok avverte la moglie di far tornare in Italia i figli, che vengono subito fatti partire. La moglie gli resta vicina, ma nessun incontro diretto è più possibile. Dopo avere ricevuto i sacramenti, Carlo Urbani muore il 29 marzo 2003.

Alla fondatrice dell’associazione e moglie del medico marchigiano, Giuliana Chiorrini, abbiamo chiesto di spiegarci perché,a distanza di tanti anni dalla sua morte, è così difficile  seguire l’esempio di Carlo Urbani?

“Credo che se pochi avessero seguito l’esempio di Carlo, questa pandemia avrebbe avuto esiti catastrofici. Oggi è successo quello che era già successo 17 anni fa, quando mio marito, dopo avere individuato il virus, si è dovuto battere a tutti i livelli affinché le autorità capissero quello che era necessario fare: isolamento delle persone e chiusura dei traffici commerciali. E quando ha convinto le istituzioni, ai massimi livelli, in quei paesi, c’è stato un duro braccio di ferro con le lobbies economico-finanziarie, che da questo blocco avevano tutto da rimetterci”.

Per quale motivo si è sottovalutato il rischio di contagio?

“Non so se il rischio sia stato sottovalutato. L’impressione è che questa pandemia fosse attesa, anche conosciuta. Da un lato, l’impressione è che, non solo in Italia, si sia avuto paura a imporre le misure necessarie, perché avrebbero provocato reazioni forti o imprevedibili. Ma dopo, queste misure si sono rivelate comunque necessarie.

Dall’altro, esattamente come 17 anni fa, anche in questa occasione molto statisti hanno ritenuto che nulla potesse intaccare quanto il progresso aveva creato. Si sono, tuttavia, dovuti ricredere, in ritardo. Questo ritardo ha creato decine di migliaia di vittime. Credo, però, che tanti, soprattutto giovani, abbiano capito la lezione. In fondo, è quello che il papà, uno dei pochi profeti, sta dicendo: abbiamo per troppo tempo maltrattato la terra, che adesso si sta ribellando”.

Cosa fa oggi l’Aicu in Italia nella ‘battaglia’ contro il coronavirus?

“L’AICU ha lanciato una raccolta fondi da destinare all’Ospedale Carlo Urbani di Jesi per acquistare materiale necessario per la risposta all’emergenza. La campagna si è conclusa il 3 aprile e sono stati raccolti 30,000 EURO. Con questa somma sono stati acquistati 2 letti bariatrici per terapia intensiva che saranno donati all’ospedale di Jesi e 30 saturimetri consegnati ai medici dell’USCA per supportare i pazienti seguiti a domicilio”.

Urbani è stato ribattezzato ‘medico per il mondo’: quale è l’attività dell’Aicu per garantire i farmaci essenziali nella cura e prevenzione delle malattie infettive parassitarie che colpiscono le popolazioni di Paesi in via di sviluppo?

“L’Associazione è da sempre molto attiva e ci sono varie collaborazioni che nel corso degli anni hanno portato risultati importanti. Abbiamo sia supportato dei progetti in varie zone del mondo, su tutte una collaborazione con l’OMS per una campagna di sverminazione in Vietnam e una lungo partenariato con una organizzazione in Madagascar per il controllo e lo studio di malattie parassitarie, ma ci siamo anche concentrati molto sulla formazione di personale sanitario.

Per citare alcune attività , sin dall’inizio abbiamo avuto una stretta collaborazione con la Fondazione ‘Ivo de Carneri’, organizzando corsi di formazione su malattie neglette in Tanzania e da alcuni anni abbiamo anche lanciato il Premio Carlo Urbani, borse di studio per studenti che vogliono approfondire i loro studi in contesti dove le malattie infettive sono presenti.

Il Premio attualmente in corso è stato suddiviso in 3 borse: la prima supporta due medici in Senegal che lavorano negli ambulatori di alcuni villaggi in zone remote, la seconda, in collaborazione con Unicam, uno stage nel laboratorio di ricerca della Fondazione de Carneri, in Tanzania, e la terza un altro stage per supportare l’ambulatorio popolare di Intersos a Roma”.

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