1^ Maggio: lavoro e sostenibilità in tempo di Covid-19

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“La quantità, qualità e dignità del lavoro è la grande sfida dei prossimi anni per la nostra società nello scenario di un sistema economico che mette al centro consumi e profitto e finisce per schiacciare le esigenze del lavoro”: così scrivono i vescovi italiani nel Messaggio della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace per la festa del 1° maggio, partendo dal discorso di papa Francesco all’Ilva di Genova, pronunciato il 27 maggio 2017, laddove il papa aveva esortato a ritrovare ‘una cultura che stima la fatica e il sudore’, senza la quale “non ritroveremo un nuovo rapporto col lavoro e continueremo a sognare il consumo di puro piacere. Il lavoro è il centro di ogni patto sociale: non è un mezzo per poter consumare”.

E proprio dal deprezzamento economico del lavoratore prende le mosse il testo per denunciare una situazione critica e paradossale: “Se un tempo il lavoratore povero era una contraddizione in termini oggi l’indebolimento della qualità e della dignità del lavoro porta al paradosso che avere lavoro (che molte volte rischia di essere un lavoretto saltuario) non è più condizione sufficiente per l’uscita dalla condizione di povertà”.

Al Direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei, don Bruno Bignami, abbiamo chiesto di spiegarci come sarà il lavoro in un’economia sostenibile: “Il lavoro è un’esperienza umana fondamentale. Nel corso della storia ha conosciuto stagioni differenti. Nell’antichità greca e romana era per lo più affidato agli schiavi, con una visione negativa: la fatica era cosa per addetti ai lavori… E’ stato merito del monachesimo benedettino aver rivisitato il lavoro in termini positivi, coerenti con l’insegnamento biblico di Genesi 2,15: coltivare e custodire.

I monaci hanno visto il lavoro come gesto di liberazione e non più di schiavitù. Una delle rivoluzioni della storia. Oggi si tratta di vivere all’altezza di questo messaggio. L’enciclica ‘Laudato sì’ al n^ 128 ricorda:  ‘Il lavoro è una necessità, è parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale’.

Non possiamo fare a meno del lavoro, perché ne va della nostra dignità e della vocazione umana. Ecco perché il lavoro costruisce un’economia sostenibile. L’autentica opera umana è un prendersi cura: la sostenibilità è un modo di tenere insieme le relazioni sociali e quelle ambientali. La crisi virale di questo tempo ci ricorda come l’economia per poter funzionare ha bisogno di un solido sistema sanitario: se questo non regge, salta tutto. La sostenibilità ci dice che tutto è connesso. L’uomo è centrale per risolvere i problemi della complessità”. 

In quale modo bisogna custodire il giardino di Eden?

“Papa Francesco ama spesso contrapporre  due atteggiamenti  etici:  quello  della  cura e  quello dello scarto. Custodire la creazione significa assumere la cura come gesto di responsabilità verso la creazione e verso gli altri. La cura è atto positivo, attivo e contesta la tentazione di chi intende dare all’uomo un ruolo di semplice spettatore davanti al mondo.

Anzi, c’è persino chi ritiene che l’uomo debba ritrarsi, perché la sua presenza è nociva. Questa prospettiva è errata. Il problema non è se l’uomo possa o debba fare qualcosa. La questione invece è antropologica, di modello di umanità. L’uomo «despota», arrogante, violento e inquinatore, è pericoloso. Genera la cultura dello scarto. Si rafforza con la mentalità dell’ ‘usa e getta’: mette a tutto una data di scadenza e non riesce a gestire il ‘fine vita’ delle cose.

Il problema è che questa mentalità strumentale, che riduce tutto a oggetto, si è trasferita dalle cose alle persone. Così si finisce per ricacciare lontano chi è più povero o fragile. Alcuni ragionamenti recenti sull’immunità di gregge, le proposte di una sanità legata all’assicurazione, la chiusura dei porti ai migranti, l’eutanasia per chi soffre… sono facce di una stessa medaglia. E’ l’impero della cultura dello scarto”.

Quale significato assumono in questo tempo di coronavirus la solidarietà e la capacità di ‘fare squadra’?

“La solidarietà è l’unica risposta possibile. Significa prendersi carico delle persone per quello che sono, a partire dalle più fragili. Devono sentirsi parte di un progetto di comunità. Nessuno si salva da solo, a dispetto della predicazione più individualistica che ci ha tempestato per anni. Stiamo attenti, però, che quello che invochiamo per noi non debba poi valere anche per gli altri. Con che faccia chi ha seminato sovranismo e nazionalismo può presentarsi a chiedere solidarietà in Europa? Un minimo di coerenza, suvvia! Chi semina vento, raccoglie tempesta”.

Nel cammino verso la Settimana Sociale di Taranto a quali sfide è chiamato il mondo del lavoro?

​“La Settimana Sociale di Taranto sarà il primo grande evento ecclesiale italiano dopo la pandemia. Proprio per questo risulta difficile prevedere quali sfide dovrà affrontare. Di sicuro dovrà mettere al centro una riflessione sulla sostenibilità economica, sul lavoro e le nuove povertà, sul rapporto tra economia e salute… Molte cose stanno cambiando in pochissimo tempo e l’agenda è tutta da costruire. Serve discernimento e profezia. Cose non scontate anche per la Chiesa! Per fortuna possiamo contare sulla guida sicura di papa Francesco…”.

(Tratto da Aci Stampa)

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