Finanze Vaticane. La storia scritta da Benny Lai

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“Se il Vaticano mi domandasse in piena sovranità un territorio grande come un francobollo (e certamente me ne domanderebbe uno più grande) io non glielo darei”. Furono parole pronunciate da Giovanni Giolitti, in casa sua, e riferite al cardinal Gasparri, segretario di Stato vaticano. Era il 1921. E questo fece sì che crebbe l’attenzione nei confronti di Mussolini. Il quale, da semplice deputato, aveva dichiarato come il fascismo non predicasse e non praticasse l’anticlericalismo. Comincia dalle radici della Conciliazione il libro di Benny Lai “Finanze Vaticane. Da Pio XI a Benedetto XVI”. Il volume, edito da Rubbettino, è da oggi in libreria. Racconta una storia nella quale pochi si sono avventurati, perché richiede una pazienza ed una specializzazione non comune. C’è , di questo libro, un prequel: “Finanze e finanzieri vaticani. Da Pio IX a Benedetto XV”, edito da Mondadori negli anni Settanta unitamente a un libro di documenti raccolti dallo stesso Benny Lai. Un volume ormai quasi introvabile. Da lì, prende le mosse la seconda parte della storia economica del Vaticano scritta dal decano dei vaticanisti. Ed è forse la parte che più interessa il lettore di oggi. Benny Lai, con una certa pignoleria, cita fonti, riporta colloqui da lui avuti personalmente con alcuni dei protagonisti della vicenda (ultimo in ordine di tempo, Angelo Caloia, presidente del Consiglio di Sovrintendenza dello IOR dal 1991 al 2009); mette insieme i tasselli di storie delle quali si parla sempre, ma spesso in maniera vaga. Passano, nella pagine del libro, il caso IOR/Ambrosiano, ma anche i rapporti della Santa Sede con il banchiere Michele Sindona, la storia di mons. Paul Marcinkus, presidente dello IOR ai tempi del caso Ambrosiano, e quella del prelato dello IOR Donato de Bonis.

 

Se ogni parte del libro meriterebbe un approfondimento, è nelle pagine iniziali, dove si tratteggiano le trattative della Conciliazione, che si trova forse la chiave per capire quello che è lo Stato vaticano, e cosa significa per la Santa Sede. Benny Lai tratteggia Pio XI come un uomo ben diverso dal “pacioso ecclesiastico tra i libri come, giorno dietro giorno, per circa un sessantennio, avevano imparato a conoscerlo nel palazzo vaticano. Sul suo volto dai tratti armoniosi e dalla fronte vasta, dove spiccavano gli occhi grigi velati dagli occhiali d’oro, nascondeva una dose notevole di intransigenza”. Inoltre, “l’abitudine allo studio lo portava ad agire con estrema cautela e a rimandare le decisioni fin tanto che non avesse esaminato il problema in tutti quanti gli aspetti. Ma quando prendeva una decisione, nessuno intorno a lui osava contrastarlo”. E forse non è azzardato rileggere in questa descrizione qualcosa di Benedetto XVI

È Pio XI in persona a trattare con Mussolini delle questioni economiche della Conciliazione. È lui a trovare l’accordo, per un Vaticano che aveva vissuto fino ad allora con i resti del patrimonio posseduto prima della breccia di Porta Pia, con le tasse ecclesiastiche (di gettito scarso), i lasciti e la raccolta dell’Obolo di San Pietro, divenuto – a partire di Pio IX esiliato a Castel Sant’Angelo – un segno distintivo dei cattolici in soccorso al Papa.

Ed è sempre Pio XI a “dirigere” la costruzione dello stesso Stato di Città del Vaticano. Sale fin sul tamburo della cupola di San Pietro, guarda dall’alto quello che sarà lo stato, dispone cosa e dove costruire (un terzo del rimborso della Conciliazione sarà da lui destinato proprio a costruire la Città a partire da quello che fino ad allora era stato un palazzo con giardino); manda fondi per restaurare le nunziature, praticamente cadenti, segnando un ritorno di protagonismo della diplomazia della Santa Sede che non si era mai spenta, ma che risultava essere – durante il periodo in cui non poteva contare sullo Stato di Città del Vaticano, ovvero quel “piccolo pezzo di terra che serve fare la nostra missione” – a volte troppo in balia della situazione degli Stati in cui si trovava ad operare; e affida a Bernardino Nogara, proveniente dalla Banca Commerciale Italiana, l’incarico di gestire i fondi della Convenzione Finanziaria. Cominciano così a strutturarsi le finanze vaticane.

E non sorprende come, prima della guerra, Pio XI parli a lungo con i collaboratori della crisi economica mondiale, di cui si dice preoccupatissimo. E nel frattempo l’Amministrazione delle Opere di Religione diventa un luogo in cui è più comodo, per gli economi delle Congregazioni religiose e anche per i dicasteri, depositare il denaro e farlo fruttare.

“La mattina del 10 febbraio 1939, ventiquattrore dopo la morte di Papa Ratti, un monsignore, il genovese Angelo Pomata, che portava tra le mani un fazzoletto colmo di soldi, si presentò dinanzi ad uno sportello delle Opere di Religione gestito come cassiere da Massimo Spada. Il monsignore era stato inviato dal cardinale Eugenio Pacelli, che con la scomparsa del Papa aveva assunto l’autorità di Camerlengo, perché depositasse il denaro trovato nel cassetto della scrivania del Papa, in lire e in dollari. Spada aprì sotto la dizione Segreteria di Stato-Obolo nuovi conti correnti”.

Finisce così il capitolo sulle finanze vaticane sotto Pio XI. La Conciliazione è conclusa, la Seconda Guerra Mondiale sta per venire. E anche le Opere di Religione daranno il loro contributo alla pace, inviando denaro per canali sicuri nelle varie nazioni a quanti si impegnano per la pace. Lo racconta, con dovizia di particolari, Benny Lai.

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