Card. Hollerich per la costruzione di una Europa solidale

Parole come Natale, Maria o Giovanni fuori dall'Unione europea
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La video conferenza dei 27 leader dei Paesi europei ha dato il via libera di principio al Fondo di ripresa e la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen è stata incaricata dai leader di mettere a punto una proposta per un Fondo che sia ‘di sufficienti dimensioni, mirata verso i settori e le parti geografiche dell’Europa più colpite’ dalla pandemia.

Quindi cresce la consapevolezza delle drammatiche prospettive dell’Europa, in quanto la presidente Bce Christine Lagarde ha parlato di una possibile contrazione del Pil dell’Eurozona che va da uno scenario più moderato di -5%, a uno intermedio di -9% fino a quello più drammatico di -15%: “Attenti a non fare troppo poco troppo tardi un fondo di ripresa deve essere veloce, saldo e flessibile. Dobbiamo assicurare tutti insieme che tutti gli Stati membri possano prendere le necessarie misure di bilancio per superare la crisi”.

In questo quadro drammatico l’arcivescovo di Lussemburgo e presidente della Comece (Commissione delle Conferenze episcopali della Comunità europea), card. Jean-Claude Hollerich, ha scritto sul quaderno 4076 di ‘Civiltà Cattolica’ un saggio sull’Europa ai tempi del coronavirus:

“La mortalità era lontana da noi, i disastri erano altrove, distanti dal nostro mondo che sembrava darci sicurezza. La morte c’era, ma il mondo del consumo e del piacere riusciva a reprimere la paura della morte nei nostri cuori. Un’intera generazione in Europa è cresciuta in questo mondo superficiale, e non ne conosce altri. Certo, la crisi economica a volte si è mangiata la nostra sicurezza, ma uscire la sera, viaggiare, consumare il nostro corpo e il nostro cuore hanno eclissato i nostri interrogativi e hanno eclissato anche i nostri dubbi”.

Però con il virus è cambiata la percezione della realtà e della morte: “Tutto questo adesso è cambiato. La morte, che aveva un ruolo secondario, lontano da noi, dietro le quinte, è tornata al centro del palcoscenico. La morte, la finitezza della nostra esistenza sollevano radicalmente la questione del senso della nostra vita. L’isolamento e la solitudine ci permettono di approfondire questi interrogativi e di giungere a una vera conversione”.

Ma con il virus, secondo il cardinale, è mutata anche la pratica religiosa, costruita intorno al consumismo: “La nostra pratica religiosa era a immagine delle nostre società: il ‘consumo’ della religione non ci rende ancora donne e uomini di Dio. E’ l’ascolto della Parola, la sua meditazione nei nostri cuori che ci fa volgere verso Dio. Non è il divino, inteso come prodotto religioso da consumare, a darci un senso di felicità, ma il Padre, che ci ama oltre la nostra fine, oltre la nostra morte”.

Per questo ha sottolineato la necessità di una conversione degli stili di vita: “E una vera e sincera conversione ci porta sempre verso gli esseri umani creati da Dio e da lui amati. Una vera conversione non si limita a trasformare il nostro cuore, ma cambia anche il nostro modo di vivere, le nostre azioni.

La crisi che stiamo attraversando dimostra che i nostri modelli economici devono cambiare. La globalizzazione è spesso accusata di questo. Per molti anni abbiamo pensato al significato dell’espressione glocal, una combinazione delle parole ‘globale’ e ‘locale’.

Purtroppo questo concetto è rimasto appannaggio di poche élite, l’economia ha imboccato la strada del liberismo sfrenato, dove l’unica cosa che conta è la massimizzazione del profitto. Se vogliamo condizioni migliori nelle prossime crisi, e l’economia ha bisogno di una sua conversione ‘glocale’, che include il rimedio a tante ingiustizie in cui il Nord si approfitta del Sud”.

Uno stile di vita imperniato sulle relazioni umane: “La crisi attuale ci mostra anche la necessità di relazioni umane e di reti di solidarietà. Scuole e asili nido chiusi e lavoro da casa ci mostrano l’importanza della famiglia come prima cellula di solidarietà.

Le nostre politiche hanno minato le reti familiari, favorendo l’individualismo, frutto delle nostre preferenze economiche. Mi rivolgo ai politici affinché facciano tutto il possibile per rafforzare le famiglie, i primi nuclei di solidarietà; invito tutti a tornare al buon vicinato che favorisce l’aiuto reciproco”.

Questa è una grande opportunità per ritessere una nuova immagine di Europa: “. Nell’anniversario dell’accordo di Schengen, vediamo le nostre frontiere chiuse, senza possibilità di dialogo reale, senza accordo reciproco. La crisi sembra favorire l’individualismo delle nazioni…

L’Europa non può essere costruita senza un’idea di Europa, senza ideali. Il fatto che l’Unione Europea si chiuda ai rifugiati, le immagini del sovraffollato campo profughi di Moria sull’isola di Lesbo, le migliaia di naufraghi nel Mediterraneo hanno inflitto profonde ferite all’ideale europeo. La mancanza di solidarietà durante la crisi causata dal coronavirus può diventare la ferita mortale”.

Ed ha proposto una solidarietà per la ricostruzione dei tessuti socio economici dei Paesi europei: “Il rischio è che, senza aiuti economici e finanziari, i Paesi poveri diventino più poveri. Questa è l’ultima chanche data al progetto europeo. Spero con tutto il cuore che i Paesi del Nord realizzino un progetto di solidarietà con i Paesi del Sud Europa, non sotto ricatto, ma facendo ogni sforzo possibile, in un grande gesto di solidarietà europea.

Altrimenti, non sarà soltanto l’idea europea a essere a rischio. E’ la mappa del mondo che cambierà dopo questa crisi. L’Europa potrebbe uscirne più debole, e il ritorno al nazionalismo potrebbe indebolire gli stessi Stati-nazione.

La crisi è una cesura: può indebolirci o farci affrontare nuove sfide. La crisi causata dal coronavirus ci presenta sfide personali, esistenziali e religiose. Ci presenta anche sfide sociali e sfide politiche per l’Europa. In quanto cristiani, ci permette di meditare su tutte queste sfide, associandole al mistero pasquale, alla morte e risurrezione di Gesù Cristo, nostro Signore e fratello”.

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