Il significato di malattia in Benedetto XVI

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Benedetto XVI ha compiuto 93 anni e ‘sta bene’ ma, considerata la situazione legata all’emergenza coronavirus, ha festeggiato il compleanno ‘senza visite’, come ha riferito il segretario, mons. Georg Gaenswein: “Grazie a Dio, stiamo tutti bene nel Monastero Mater Ecclesiae. Tenendo conto della situazione attuale non ci saranno visite. Anche il fratello non c’è. Ma certamente sarà così che la giornata del compleanno del Papa emerito riceverà una veste più festiva e solenne”.

Inoltre mons. Gaenswein ha riferito che il papa emerito è costantemente informato dell’evolversi della pandemia e prega quotidianamente per i malati e quanti soffrono a causa del virus: “E’ stato anche particolarmente colpito dai tanti sacerdoti, medici e infermieri morti, in particolare nel Nord Italia, nello svolgimento del proprio servizio per i malati di Coronavirus”.

Durante il suo pontificato papa Benedetto XVI ha messo in relazione molte volte la guarigione operata da Gesù con la malattia come quella durante l’Angelus di domenica 8 febbraio 2008: “L’esperienza della guarigione dei malati ha occupato buona parte della missione pubblica di Cristo e ci invita a riflettere sul senso e sul valore della malattia in ogni situazione in cui l’essere umano possa trovarsi.

Nonostante che la malattia faccia parte dell’esperienza umana, ad essa non riusciamo ad abituarci, non solo perché a volte diventa veramente pesante e grave, ma essenzialmente perché siamo fatti per la vita, per la vita completa. Giustamente il nostro istinto interiore ci fa pensare a Dio come pienezza di vita, anzi come Vita eterna e perfetta. Quando siamo provati dal male e le nostre preghiere sembrano risultare vane, sorge allora in noi il dubbio ed angosciati ci domandiamo: qual è la volontà di Dio?”.

E concludeva con l’affermazione che l’opera di guarigione di Gesù continua nella Chiesa: “Grazie all’azione dello Spirito Santo, l’opera di Gesù si prolunga nella missione della Chiesa. Mediante i Sacramenti è Cristo che comunica la sua vita a moltitudini di fratelli e sorelle, mentre risana e conforta innumerevoli malati attraverso le tante attività di assistenza sanitaria che le comunità cristiane promuovono con carità fraterna e mostrano così il vero volto di Dio, il suo amore.

E’ vero: quanti cristiani (sacerdoti, religiosi e laici) hanno prestato e continuano a prestare in ogni parte del mondo le loro mani, i loro occhi e i loro cuori a Cristo, vero medico dei corpi e delle anime! Preghiamo per tutti i malati, specialmente per quelli più gravi, che non possono in alcun modo provvedere a se stessi, ma sono totalmente dipendenti dalle cure altrui: possa ciascuno di loro sperimentare, nella sollecitudine di chi gli è accanto, la potenza dell’amore di Dio e la ricchezza della sua grazia che salva”.

Nell’enciclica ‘Spe Salvi’ il papa emerito ha scritto che la sofferenza è parte dell’esistenza umana: “Come l’agire, anche la sofferenza fa parte dell’esistenza umana. Essa deriva, da una parte, dalla nostra finitezza, dall’altra, dalla massa di colpa che, nel corso della storia, si è accumulata e anche nel presente cresce in modo inarrestabile.

Certamente bisogna fare tutto il possibile per diminuire la sofferenza: impedire, per quanto possibile, la sofferenza degli innocenti; calmare i dolori; aiutare a superare le sofferenze psichiche. Sono tutti doveri sia della giustizia che dell’amore che rientrano nelle esigenze fondamentali dell’esistenza cristiana e di ogni vita veramente umana.

Nella lotta contro il dolore fisico si è riusciti a fare grandi progressi; la sofferenza degli innocenti e anche le sofferenze psichiche sono piuttosto aumentate nel corso degli ultimi decenni. Sì, dobbiamo fare di tutto per superare la sofferenza, ma eliminarla completamente dal mondo non sta nelle nostre possibilità, semplicemente perché non possiamo scuoterci di dosso la nostra finitezza e perché nessuno di noi è in grado di eliminare il potere del male, della colpa che è continuamente fonte di sofferenza.

Questo potrebbe realizzarlo solo Dio: solo un Dio che personalmente entra nella storia facendosi uomo e soffre in essa. Noi sappiamo che questo Dio c’è e che perciò questo potere che ‘toglie il peccato del mondo’ è presente nel mondo. Con la fede nell’esistenza di questo potere, è emersa nella storia la speranza della guarigione del mondo.

Ma si tratta, appunto, di speranza e non ancora di compimento; speranza che ci dà il coraggio di metterci dalla parte del bene anche là dove la cosa sembra senza speranza, nella consapevolezza che, stando allo svolgimento della storia così come appare all’esterno, il potere della colpa rimane anche nel futuro una presenza terribile”.

Però la sofferenza ha un compimento nell’Amore di Dio: “Questo vale per il singolo come per la società. Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la com-passione a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente è una società crudele e disumana. La società, però, non può accettare i sofferenti e sostenerli nella loro sofferenza, se i singoli non sono essi stessi capaci di ciò e, d’altra parte, il singolo non può accettare la sofferenza dell’altro se egli personalmente non riesce a trovare nella sofferenza un senso, un cammino di purificazione e di maturazione, un cammino di speranza.

Accettare l’altro che soffre significa, infatti, assumere in qualche modo la sua sofferenza, cosicché essa diventa anche mia. Ma proprio perché ora è divenuta sofferenza condivisa, nella quale c’è la presenza di un altro, questa sofferenza è penetrata dalla luce dell’amore. La parola latina con-solatio, consolazione, lo esprime in maniera molto bella suggerendo un essere-con nella solitudine, che allora non è più solitudine.

Ma anche la capacità di accettare la sofferenza per amore del bene, della verità e della giustizia è costitutiva per la misura dell’umanità, perché se, in definitiva, il mio benessere, la mia incolumità è più importante della verità e della giustizia, allora vige il dominio del più forte; allora regnano la violenza e la menzogna.

La verità e la giustizia devono stare al di sopra della mia comodità ed incolumità fisica, altrimenti la mia stessa vita diventa menzogna. E infine, anche il ‘sì’ all’amore è fonte di sofferenza, perché l’amore esige sempre espropriazioni del mio io, nelle quali mi lascio potare e ferire. L’amore non può affatto esistere senza questa rinuncia anche dolorosa a me stesso, altrimenti diventa puro egoismo e, con ciò, annulla se stesso come tale”.

Inoltre recentemente è stato editato un ebook con alcuni pensiero del papa emerito sul rapporto tra malattia e fede, in cui è riportato un pensiero, che oggi è molto valido, durante l’Angelus di domenica 1 febbraio 2009: “Siamone certi: nessuna lacrima, né di chi soffre, né di chi gli sta vicino, va perduta davanti a Dio”.

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