Covid-19. I morti nelle case di “riposo eterno” prevedibili… e non conteggiati da quelli che danno i numeri alle 18.00

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Condivido – ogni commento è superfluo – l’articolo dell’amico e collega Renata Farina, sul caso delle case di riposo, una dei tanti grandissimi scandali in questa immane tragedia che stiamo vivendo. Faccio seguire ulteriori informazioni.

La strage nelle case di riposo eterno
Una strage prevedibile. Morti prevedibili
In Italia 700 ospizi con 300mila ospiti: lì dentro il morbo ha trovato terreno fertile con gli anziani. Lì il morbo ha colpito duro. Centinaia di morti. Ma si guarda solo a Milano per accusare il centrodestra
di Renato Farina
Libero, 9 aprile 2020
Poco dopo mezzanotte, canale 510 del satellite, Telenorba, un medico imbavagliato fuori da una casa di riposo Fontanella di Soleto, nel Salento, Lecce. È accorso lì. Avevano segnalato che erano scappati tutti, lasciando lì i sopravvissuti. È incalzato dalla cronista. “È vero che quando siete arrivati gli anziani erano abbandonati nel letto?”. Il medico conferma. Insiste la giornalista del “Graffio”: “Alcuni potrebbero essere morti per fame piuttosto che per il Covid? Può essere?”. Il sanitario ha da fare. Deve visitare, controllare, decidere dove trasferire i vecchi. Poi sibila piano: “Sì”. I parenti raccontano di telefonate, di persone che non si rintracciano e poi sono morte. Piangono. Lì ci sono stati dieci morti.
Ma questo è un fiore di gramigna tra i tanti che abbiamo letto in questi giorni di Coronavirus, deviando possibilmente lo sguardo, o cercando colpevoli, mancanze, crudeltà. Com’è facile oggi accorgersi dell’evidenza di un pericolo che in fondo non ci riguardava, e che i famigliari dei degenti non hanno mai pensato di risolvere portandosi i loro genitori in casa. Non ne facciamo una colpa, li capiamo. Ma quando a febbraio tutti sapevamo che questo morbo era contagiatissimo, bastava uno starnuto dieci metri lontano, un contatto casuale, e si era contagiati; e sapevamo tutti che i grandi anziani (una volta chiamati con maggior vicinanza umana “vecchioni”) erano le vittime più appetite dalla bestia. Perché non siamo corsi a tenerli ritirati in casa nostra, metterci noi su un divano, e lasciare loro il posto che la Bibbia ordina con il quarto comandamento: onora il padre e la madre, e bene avrai?
Ora tutti a puntare il dito, le procure a mobilitarsi per ogni dove in Italia (e in tutta l’Europa occidentale). Giusto. Ma ci dimentichiamo un particolare. È stata una decisione corale, universale, che per una volta ha unito istituzioni e popolo, élite e plebe, senza bisogno di nessun referendum confermativo o abrogativo quella che negli ultimi decenni ha stabilito per decreto asintomatico, quasi una clausola top secret del contratto sociale, un comma sbianchettato ma vigente della Dichiarazione dei diritti umani che: 1) dopo una certa età, specie quando rompono i coglioni, è bene che gli anziani siano trasferiti in isolamento dentro appositi padiglioni, di prima, seconda, terza classe. Qualche volta persino non classificati e clandestini, ma tollerati. In parte si attinge alle pensioni, se bastano. In casi sporadici si aggiunge una quota tra gli eredi. E ci si sente a posto. Nessun dubbio, è una consuetudine ormai trasformatasi nell’affare del futuro. Gli investimenti sicuri sono destinati dai fondi internazionali a queste opere di cosiddetto bene.
Logico che il virus corresse da loro come le formichine verso la mollica. I luoghi chiusi, ma che per ovvie ragioni hanno contatti con l’esterno (personale di sorveglianza, infermieri, pulizie, visite), e la promiscuità fa il resto. I carcerati, che sono più giovani, e hanno i muscoli, si sono arrampicati sui tetti, hanno chiesto di essere liberati. In tutto il mondo, meno che in Italia, si è proceduto a scarcerazioni mirate per eliminare i più a rischio e limitare il sovraffollamento. Abbiamo partecipato a questa campagna, ritengo l’indulto assolutamente un fatto di civiltà. Ma perché non ci sono stati comitati per liberare i vecchi e portarseli a casa? Di certo loro a salire sui tetti avevano qualche problema…
Tra autosufficienti e non, “sono 300mila i nonni ospitati in 7mila strutture da nord a sud dell’Italia e proprio queste strutture sono uno degli epicentri dell’attacco del virus” ha scritto Riccardo Bonacina sul settimanale Vita che si occupa di sociale. E aveva raccolto il grido di allarme degli operatori che si sentivano abbandonati da tutti già in marzo, specie in Lombardia: “Dopo una settimana aggiorna riferendo una telefonata: “In 33 giorni nella casa di riposo di Villa d’Adda (Bergamo) ci sono stati 59 decessi, i dipendenti hanno famiglia e genitori e nessun tampone in vista”. In tutta la Bergamasca, scrive Avvenire, i morti in ospizio sono 600. Ovvio che la Lombardia sia al centro di indagini di ogni tipo. Qui il virus si è manifestato prima e con la sua massima potenza di uragano. Soprattutto però il governo della Regione è del centrodestra. Accendi Rai 1, la Vita in Diretta, ed ecco: “Siamo in collegamento con il “Pio Albergo Trivulzio”, casa di riposo di Milano, dove c’è Luca Forlani”. Ma certo. Il Pio Albergo Trivulzio, la Baggina del mito milanese. C’è una denuncia, si parla di 70 morti, il ministero manda ispezioni. Si bombarda sul fianco sensibile con tutta la batteria di cannoni.
Val d’Aosta. “Gli occhi sono puntati su alcune ‘micro-comunità’ della media Valle, tra cui quella di Pontey, paese isolato, Valtournenche, Antey e Verrès. Ma c’è soprattutto molta preoccupazione per l’Ospizio Père Laurent di Aosta con 120 degenti, dove si sta registrando un’impennata di decessi e in cui si attendono gli esiti dei tamponi già fatti. Sull’emergenza in questa struttura privata la procura di Aosta ha aperto un’indagine” (Ansa).
Piemonte. “A Grugliasco, esposto ai Nas dopo oltre 20 decessi in tre settimane, si muove la Procura. Gli allarmi a Brusasco tre morti ieri in tutto 12, e a Trofarello, dove i morti sono 11. A Bosconero nella casa di riposo gestita dall’ente morale parrocchia di San Giovanni Battista? Qui i decessi sono cinque” (La Stampa, 4 aprile).
Friuli Venezia Giulia. “Saliti a sei i decessi alla Rovere Bianchi, a Mortegliano” (Messaggero Veneto, 18 marzo).
Toscana. I sindaci di Carmignano e Poggio a Caiano (Prato), protestano con la Regione, niente tamponi, e sette anziani sono morti nella locale Residenza. “Prima o poi si dovranno individuare anche le responsabilità di quello che è successo”.
Campania. Nulla o quasi si sa. Secondo il riformista la maggior parte dei vecchi sono ricoverati in ospizi privati, di cui non c’è censimento e che l’Asl non controlla, perché dovrebbero essere sottoposti a controlli comunali. Figuriamoci. “A Benevento, Sala Consilina e Sant’Anastasia le Asl intervengono quando diventa incontrollabile un ‘focolaio’ di Coronavirus”.
E il bengodi del virus non è solo italiano.
Spagna: “L’esercito spagnolo, che da qualche giorno è stato schierato dal governo iberico per dare una mano nell’arginare la diffusione dell’epidemia, ha trovato alcuni pazienti delle case di riposo già morti nei loro letti. La magistratura ha deciso di aprire un’indagine” (T.p.i. 24 marzo).
Francia: “Le morti negli ospizi sono state oltre tremila su un totale di diecimila” (Huffington Post). Case di riposo eterno, civiltà europea? Ha ragione il Papa: abbiamo trattato gli anziani come uno scarto. Non facciamo i santarellini facendo gli indignati dopo averli abbandonati.

Aggiungo. Reggio Emilia: “Sono 600 gli anziani positivi al Covid-19 nelle case di riposo. Gli ospiti deceduti dall’inizio dell’epidemia nel Reggiano sono oltre 150 I posti letto accreditati nelle Cra sono 1.940 e i ricoverati hanno 85 anni in media” (Gazzetta di Reggio, 8 aprile 2020).

La strage di anziani
Nemmeno l’Istituto Superiore di Sanità sa quanti sono i morti nelle case di cura
Negli ospizi a pochissimi è stato fatto il tampone, nelle strutture mancano personale e dispositivi di protezione. La situazione è drammatica soprattutto in Lombardia. Proviamo a fare chiarezza
di Irene Dominioni
Linkiesta.it, 9 aprile 2020
Anziani, spesso con diverse patologie e non autosufficienti, ricoverati in strutture al massimo della loro capienza, con familiari e visitatori che entrano ed escono dall’edificio tutti i giorni. Gli elementi per rendere le Residenze sanitarie assistenziali (Rsa) dei moltiplicatori del contagio c’erano tutti. Ora una indagine nazionale sul contagio COVID-19 nelle strutture residenziali e sociosanitarie realizzata dall’Istituto Superiore di Sanità, in collaborazione con il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, fotografa la situazione all’interno delle strutture. Su un totale di 4629 Rsa in Italia, di cui 2166 contattate dall’Iss, 577 hanno risposto alle domande, il 24% sul totale delle strutture nel Paese.
Secondo la ricerca, su 44.457 residenti (in 572 strutture, al 1° febbraio 2020) fino alla data di compilazione del questionario (tra il 26 marzo e il 6 aprile) i morti sono 3.859, l’8,4% (nel calcolo del tasso di mortalità sono stati compresi i nuovi ingressi dall’uno di marzo). La Lombardia, con 1.822 decessi calcolati da febbraio, è in assoluto la regione che ha registrato più morti nelle residenze, a grande distanza da tutte le altre regioni. Il Veneto è seconda per numero di morti (760). La Lombardia è anche la regione che in Italia presenta la maggiore concentrazione di case di cura per anziani (677), seguita sempre dal Veneto, che ne ha 521.
La percentuale di decessi sugli ospiti delle strutture in Lombardia è del 47.2%, quella del Veneto del 19.7%. A livello nazionale, dei 3.859 soggetti deceduti, 133 erano risultati positivi al tampone e 1.310 presentavano sintomi simil-influenzali. Il 37.4% dei morti aveva i sintomi del Covid-19. Il tasso di mortalità fra i residenti, considerando i decessi legati al Covid-19, è del 3.1% a livello nazionale, ma sale fino al 6.8% in Lombardia. «Da un ulteriore approfondimento, risulta che in Lombardia e in Liguria circa un quarto delle strutture (rispettivamente il 23% e il 25%), presenta un tasso di mortalità maggiore o uguale al 10%», spiega il rapporto.
Il caso Lombardia
In Lombardia, il 51.3% di coloro che erano positivi al Covid-19 e che presentavano sintomi, è morto. Al 6 aprile, in Lombardia risultano ancora 163 positivi al Covid-19 (risultati da tampone) nelle strutture del territorio. Non è chiaro quanti tamponi siano stati fatti: Linkiesta ha contattato le 8 ATS (Agenzie di tutela della salute, ndr) della Lombardia senza avere risposta.
Nella regione, il 49,7% dei deceduti è morto tra il 16 e il 31 marzo. L’assessore alla Sanità della Regione Lombardia, Giulio Gallera, in conferenza stampa ha dichiarato di aver diffuso un primo documento di linee guida destinate alle Rsa del territorio il 23 febbraio, indicando alle strutture di limitare fortemente gli accessi dei visitatori esterni, seguita da una seconda comunicazione l’8 marzo, per bloccare totalmente le visite dei parenti e prescrivere che tutti coloro che avevano una sindrome simil-influenzale fossero isolati, a prescindere dal tampone. In alcune strutture la chiusura però è arrivata tardi: il quotidiano di Pavia La Provincia Pavese scriveva il 21 marzo «chiuse da oggi le Rsa Pertusati e Santa Croce».
A Milano sta facendo discutere il caso del Pio Albergo Trivulzio, la più grande residenza sanitaria assistenziale d’Italia, dove secondo un’inchiesta di Repubblica si è registrato un numero di morti anomale e i contagi non sono stati comunicati. Il Trivulzio in una nota si è giustificato dicendo che su un totale di 1.012 persone all’interno della struttura, a marzo si sono registrati 70 decessi, in linea con quelli dell’anno precedente. La procura di Milano ha aperto un’inchiesta mentre il viceministro alla Sanità Pierpaolo Sileri ha annunciato di avere mandato gli ispettori. Anche la direzione regionale ha voluto istituire una commissione esterna di controllo, annunciata all’inizio di questa settimana.
Tamponi e mascherine: le Rsa senza protezioni
Secondo l’Istituto superiore di sanità, le Residenze sanitarie assistenziali «sono strutture importanti e fragili nella dinamica di questa epidemia. Oltre alle misure in essere è molto importante adottare una speciale attenzione nella prevenzione e controllo». Ma i problemi sono molti, in Lombardia e non solo. Secondo la ricerca dell’Iss, a livello nazionale (547 Rsa rispondenti) l’85.9% delle strutture ha riportato la mancanza di Dispositivi di Protezione Individuale, mentre il 17.7% ha riportato una scarsità di informazioni ricevute circa le procedure da svolgere per contenere l’infezione. L’11.9% segnala una carenza di farmaci, il 35.1% l’assenza di personale sanitario e l’11.3% difficoltà nel trasferire i residenti affetti da COVID-19 in strutture ospedaliere.
«Non potevano essere preparate a gestire l’emergenza, le Rsa sono luoghi dove si accolgono persone anziane non autosufficienti e pluripatologiche, non sono ospedali. Pensare che il Covid-19 non potesse entrare lì è stato l’errore più grave. Bisognava cominciare a preparare molto prima i gestori su cosa fare quando il contagio sarebbe arrivato. Ma fino a una settimana fa lo sguardo di Regione Lombardia è andato solo in direzione degli ospedali, dopo quasi un mese e mezzo che il contagio era avviato», dice a Linkiesta Valeria Negrini, presidente di Confcooperative-Federsolidarietà, l’ente che unisce 1200 cooperative che svolgono servizi nel terzo settore, tra cui l’ambito delle Rsa, nel territorio lombardo.
Nelle Rsa della cerchia di Confcooperative-Federsolidarietà, i problemi ricalcano quelli sollevati dall’Istituto superiore di sanità. «Le consegne di mascherine e dispositivi di protezione stanno migliorando, ma non in maniera sufficiente. I tamponi sono ancora limitati, ci si è concentrati sui casi sintomatici e non c’è stato tracciamento dei potenziali positivi. Solo quattro giorni fa si è iniziato con le ATS che hanno iniziato a chiedere alle strutture quanti tamponi avessero bisogno per avviare un primo screening di casi sintomatici, paucisintomatici e di contatti a rischio di queste persone», spiega Negrini.
Anche per il personale sanitario si riscontrano problemi simili a quelli degli ospedali. «Non è così chiaro se il test sia estendibile a tutti gli operatori», dice Negrini. «Le ATS chiedono la lista dei paucisintomatici da tamponare, ma ufficialmente solo il personale che rientra dalla quarantena va tamponato per essere sicuri che non sia più contagioso». Secondo il sondaggio Iss, su 560 strutture sul territorio nazionale, il 17,3% ha dichiarato una positività per SARS-CoV-2 del personale della struttura. In Lombardia questa percentuale sale al 34.6%.
Anche l’isolamento costituisce un problema per molte strutture: se a livello nazionale il 47% delle Rsa dichiara di poter disporre di una stanza singola per i residenti con infezione confermata o sospetta, o stanze dove poter mettere più di una persona (30%), il 24.9% dichiara di avere difficoltà nell’isolamento dei residenti affetti da Covid-19. L’operazione è difficile soprattutto per le strutture più piccole (a livello nazionale, la media è di 80 posti letto a struttura). «Nelle strutture con 40 o 50 posti spesso non ci sono gli spazi per riorganizzare», spiega Negrini. Linkiesta ha cercato di mettersi in contatto con l’assessorato alla Sanità lombardo per sapere se sia stata almeno considerata la possibilità di comunicare alle famiglie che ne hanno i mezzi di portare i pazienti meno problematici in isolamento a casa, ma senza successo.
Negrini denuncia inoltre come non sia stato fornito il personale medico adeguato a trattare i casi di Covid. «Pneumologi e infettivologi sono figure fondamentali. La Regione deve dire alle ASST (Aziende socio sanitarie territoriali, ndr) di fornire consulenza specialistica e personale specifico alle Rsa, e deve stabilire che vada fatta per tutto il territorio lombardo». Nell’indagine dell’Iss, su 568 strutture che hanno risposto alla domanda, il 63.9% dice di non aver ricevuto una consulenza ad hoc per la gestione clinica e/o di prevenzione e controllo per COVID 19.
Negrini: «La Regione ha sbagliato a usare le Rsa per i pazienti Covid»
Negrini definisce inaccettabile la richiesta da parte di Regione Lombardia alle Rsa di accogliere pazienti Covid-19 per alleggerire la pressione sugli ospedali, una questione sollevata anche dal vicepresidente del consiglio regionale lombardo Carlo Borghetti e dal capodelegazione Pd in commissione sanità Gian Antonio Girelli. L’assessore Gallera, in conferenza stampa il 7 aprile, ha detto che il numero di pazienti Covid positivi trasferiti in Rsa è stato «limitatissimo», 150 pazienti spostati in 15 strutture, che le persone sono state collocate in palazzine e padiglioni separati, con personale dedicato e solo su disponibilità delle singole Rsa, e che questa scelta «ha salvato delle vite». Ma per Negrini «la richiesta in sé aveva una logica sbagliata. Qualche Rsa si è contagiata per aver accolto pazienti Covid». Regione Lombardia, peraltro, ha chiesto disponibilità alle Rsa ad accogliere pazienti non classificati come Covid (ma potenzialmente positivi, provenendo dall’ospedale), il che potrebbe rappresentare un’ulteriore fonte di contagio all’interno delle strutture.
La situazione è ancora critica. «Il tampone viene fatto solo in alcuni casi. Le morti sono attribuite al coronavirus solo se risulta un tampone positivo. Che ci sia una sottostima nel numero di morti è indubbio», ha detto Giovanni Rezza dell’Iss.
Linkiesta ha raggiunto al telefono G.V., un infermiere in una residenza privata convenzionata, parte di una catena con diverse Rsa, a Cinisello Balsamo. Racconta che un intero piano della Rsa in cui lavora è diventato un reparto Covid. Ci lavorano 6 infermieri, un medico e operatori assistenziali (OSS e ASA), per 109 ospiti. G.V. racconta che hanno cominciato a fare i tamponi ai pazienti soltanto a partire da questa settimana. Per il momento ne sono stati selezionati 8, nonostante il numero dei sospetti sia molto superiore. Tutti sono risultati positivi, e quattro di questi sono già morti.
I dpi inizialmente erano «inesistenti», dice G.V. Avevano solo mascherine chirurgiche usa e getta che hanno tenuto per due giorni di fila. Ogni settimana muoiono 3-4 persone, ma nessuno è ancora stato portato in ospedale, in parte perché i familiari si sono opposti, in parte perché la direzione sanitaria ha ritenuto che intubarli fosse inutile. Lo stesso G.V. ha probabilmente contratto il Covid una decina di giorni fa. Con la febbre a 37,5, è stato mandato a casa e messo in isolamento fiduciario per 14 giorni. Nel frattempo, un’altra sua collega si è ammalata. Facevano già turni da 12 ore. Lui dovrebbe tornare al lavoro alla fine di questa settimana: sarà tra i primi a cui viene fatto il tampone. Nel frattempo, la struttura è stata segnalata all’ATS. «A questo punto, al rientro mi aspetto di tutto», dice.

Covid 19: le ”morti nascoste” tra gli anziani nelle case di cura in Europa
di Stefania De Michele
Euronews, 7 aprile 2020
Si parla di ”morti nascoste”, anziani lasciati morire nei loro letti o occultati alle statistiche ufficiali dei decessi. L’ultimo caso in Lombardia, al Pio Albergo Trivulzio, finito sotto i riflettori per una mattanza senza precedenti.
Il caso del Trivulzio e del picco dei decessi
Le cifre sono controverse, ma il dubbio che il picco di morti tra gli anziani nella residenza socio sanitaria dipenda dalla carenza di presidi medici e cautele ha portato all’istituzione di una Commissione di verifica, ad opera del governo regionale.
Al PAT nel mese di marzo sono morte 70 persone, da inizio di aprile sono già 30.
Il Trivulzio contesta però le cifre : “Il dato del primo trimestre 2020, che tiene conto anche dei decessi di ospiti trasferiti al Pronto Soccorso, è in linea con i decessi nel corrispondente trimestre 2019 (170 contro 165)”.
La verifica della Commissione segue l’inchiesta aperta dalla procura di Milano per capire cosa sia successo e se le innumerevoli denunce sulle morti nascoste abbiano un fondamento.
Gli anziani fuori dalle statistiche: dati approssimati
Le evidenze fotografano il fatto che il Covid-19 si accanisca più facilmente tra gli ottantenni, già affette da altri problemi di salute.
La richiesta, che accomuna i diversi Paesi, è quella di avviare una campagna capillare di test, almeno nelle case di riposo e nelle strutture sanitarie.
In Spagna i controlli delle forze di Polizia hanno fatto emergere scenari choc con anziani abbandonati a loro stessi nelle case di riposo. Lo ha denunciato il ministero della Difesa. I pubblici ministeri spagnoli hanno avviato un’indagine per accertare le responsabilità.

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