Il ritorno alle cose essenziali: vivere al tempo del Coronavirus. Riflessioni di un prete di montagna

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Don Marian Benchea è il giovane parroco di Lillianes, Fontainemore, Issime e Gaby in Val d’Aosta, precisamente nella Valle del Lys (il nome ha origine dal torrente che l’attraversa) che è ancora molto legata alle proprie tradizioni walser. L’incarico, su mandato del vescovo d’Aosta, mons. Franco Lovignana, è iniziato nel settembre 2019 e i primi mesi sono trascorsi all’insegna della conoscenza delle comunità.

Ad un tratto, a causa dell’epidemia di Covid-19, la vita quotidiana e pastorale anche nella valle (così come in tutta Italia e nel mondo), ha subito un drastico cambiamento. Tutto è stato stravolto e don Marian, che ogni mattina condivide sui social con i parrocchiani un messaggio audio con il buongiorno e il commento alla Parola, offre alcune riflessioni su questa Quaresima al tempo del Coronavirus:

“Dal punto di vista pastorale, questo forzato digiuno eucaristico ci sta portando a riscoprire la Messa come momento essenziale. Se prima la partecipazione poteva essere vissuta come un semplice adempimento o abitudine (lo dico anche per me come sacerdote impegnato ogni giorno con Gesù nell’Eucarestia), adesso non poter essere presenti ci aiuta a capirne l’importanza perché abbiamo necessità di stare con lui, nel riposo domenicale”.

Proprio di domenica, per far vivere il giorno del Signore ai suoi parrocchiani ed esprimere loro vicinanza, prima di pranzo don Marian mette l’ostensorio con il Santissimo in auto, ben ancorato con la cintura di sicurezza al posto del passeggero posteriore, e percorre le strade dei paesi per benedire la gente.

Sente forte il desiderio di vedere e parlare con le persone delle sue parrocchie che ora intravede solo dalla finestra. Il modo di comunicare è mutato, ora le raggiunge via telefono e messaggio. “La vita dei contadini, tuttavia, con i loro greggi non è cambiata, sono sempre puntuali e presenti al loro dovere – spiega don Marian – So che per loro e per tutti noi ‘Tutto andrà bene, con l’aiuto di Dio’”. 

Il sacerdote riflette sull’inscindibile legame tra il pastore e il suo gregge e sul proprio servizio: “Un elemento positivo che vedo emergere in questi giorni è l’avanzare di nuovi modi per esprimere l’amore”, afferma don Marian, che dedica tempo ad ascoltare al telefono i collaboratori.

Lo sguardo abbraccia inevitabilmente anche tutta la realtà che ci viene raccontata dai media: “Seguendo le notizie ci si rende conto di quanti medici e operatori sanitari fanno sacrifici enormi per stare accanto ai malati. Loro diventano il simbolo della generosità in un mondo che oggi è tendenzialmente egoista”.

L’emergenza ha dettato nuovi ritmi e fatto sorgere domande portando a considerazioni che toccano l’io e il noi: “Questo #iorestoacasa mi ha permesso di dedicarmi più ampiamente a cose per le quali il tempo prima mancava, come la lettura e la musica.

Ho riaperto soprattutto il capitolo della preghiera personale, essenziale per la vita di un sacerdote – conclude don Marian – Questa situazione ci interpella. In un periodo di trionfo dell’autonomia, dell’autosufficienza e della tecnologia, si affaccia un limite: siamo fragili e bisogna avere ancora la percezione sapiente che non siamo eterni”.

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