Alessandro Zaccuri: la letteratura sollievo nel tempo del coronavirus

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“Era in quel giorno morta di peste, tra gli altri, un’intera famiglia. Nell’ora del maggior concorso, in mezzo alle carrozze, i cadaveri di quella famiglia furono, d’ordine della Sanità, condotti al cimitero suddetto, sur un carro, ignudi, affinché la folla potesse vedere in essi il marchio manifesto della pestilenza. Un grido di ribrezzo, di terrore, s’alzava per tutto dove passava il carro; un lungo mormorìo regnava dove era passato; un altro mormorìo lo precorreva. La peste fu più creduta: ma del resto andava acquistandosi fede da sé, ogni giorno di più; e quella riunione medesima non dové servir poco a propagarla…”.

Così inizia il capitolo XXXI de ‘I promessi sposi’, che Alessandro Manzoni dedica al racconto della peste di Milano, avvenuta dall’autunno 1629 al maggio 1630, proseguito nel capitolo XXXII (forse troppo prolissi per  tutti gli studenti). In questi capitoli Manzoni compie un accurato lavoro di ricostruzione storica.

L’attenzione dell’autore non si concentra tanto sulla peste come ‘castigo divino’, quanto sull’incredibile negligenza e incuria delle autorità di Milano, che sottovalutano la minaccia dell’epidemia. In questa prospettiva lo scrittore milanese rovescia come al solito la prospettiva della storiografia ufficiale, più interessata ai fatti salienti e ai singoli personaggi che non alle vicende dei popoli e degli umili.

Richiamato da questa reminiscenza scolastica ho chiesto allo scrittore Alessandro Zaccuri di raccontare in quale modo la letteratura può essere sollievo in questo periodo di coronavirus: “Nel modo in cui fa sempre, ossia restituendoci l’esperienza di chi, prima di noi, ha vissuto la fatica, il dolore, lo smarrimento, e ha trovato le parole per uscire dalla solitudine che ogni prova comporta. In questa ricerca dell’altro, nell’invocazione al ‘tu’ che è caratteristica della letteratura, è già presente un fortissimo elemento di speranza”.

Il pensiero ricorre alla ‘peste’ manzoniana: che cosa ci può dire oggi Manzoni?

“Che anche la peste va interpretata, perché nulla di quello che accade sfugge alla responsabilità umana dell’interpretare, del riconoscere i segni, del discernere. Nei Promessi Sposi la peste si manifesta attraverso una pluralità di indizi e non mai è la stessa: c’è il contagio fantomatico degli untori, c’è la presunzione di don Ferrante, c’è la meschinità criminale dei monatti, c’è la redenzione di don Rodrigo attraverso la malattia e c’è, più che altro, il perdono di Renzo. Ogni lettore è chiamato a scegliere la sua peste o, meglio, è invitato a capire in quale personaggio si sta identificando”.

Papa Francesco ha invitato i sacerdoti a non essere ‘don Abbondio’: il card. Borromeo può essere ‘faro’ in questo momento?

“Sì, anche per la delicatezza con la quale, dopo l’incontro decisivo con l’Innominato, si fa carico della debolezza di don Abbondio, lo redarguisce senza condannarlo, cerca di capirne la fragilità e nello stesso tempo gli offre la possibilità di riscattarsi come sacerdote e come uomo.

Manzoni ha lavorato moltissimo sulla naturalezza e sulla credibilità dei dialoghi e, a mio parere, uno dei risultati più alto si vede proprio nella voce di Federigo, che, pur essendo un personaggio storico, riesce a parlarci da vicino:  come un padre, come un uomo di Dio capace di praticare la giustizia e di infondere speranza.

Anche nei capitoli della peste il cardinale rimane un modello di equilibrio e di saggezza, per esempio nella sua iniziale reticenza ad autorizzare la processione con le reliquie di san Carlo. Come si vedrà più avanti, il suo timore che un assembramento di folla possa favorire ulteriormente il diffondersi del contagio è, purtroppo, più che fondato”.

La ‘Storia della Colonna infame’ può essere una lettura contro la paura del prossimo?

“Sì, senz’altro, e anche contro il rischio che ciascuno di noi diventi giudice ingiusto dell’altro. La paura, in una certa misura, è da mettere in conto, non va ignorata ma affrontata, altrimenti cresce a dismisura e ha la meglio su di noi. Quando diamo per scontata la paura, finiamo per accontentarci di soluzioni semplicisitiche, che portano ad individuare un colpevole sul quale scaricare la funzione del capro espiatorio.

Nella ‘Storia della Colonna infame’ si riconosce l’educazione illuminista di Manzoni, nel  solco di quell’illuminismo lombardo che, a differenza di quello francese, ha saputo evitare le scorciatoie dell’ideologia ed è andato in cerca di una razionalità affidabile”.

Ne ‘I Promessi Sposi alla prova’ Giovanni Testori, altro grande scrittore milanese contemporaneo, parla della grazia invitando a superare le paure: come si può vivere il mistero dell’Incarnazione?

“In forme insospettabili, la grazia agisce sempre, perfino in letteratura. L’Incarnazione, poi, è l’evento centrale nell’opera di Testori: mistero della nascita e della morte, testimonianza della Passione e attesa della Risurrezione. Se ci pensiamo bene, quella che  stiamo per vivere è una Pasqua davvero incarnata, non solo nella sofferenza di molti, ma anche e specialmente nell’attesa della Risurrezione, di una rinascita che ci accomuna tutti”.

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