Martina Pastorelli racconta #lachiesachecè ai tempi del coronavirus

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La Chiesa è presente più che mai in questo momento di privazioni, limitazioni e grande dolore provocato dalla pandemia di coronavirus. L’impossibilità, per motivi di salute pubblica, di celebrare i riti con il popolo di Dio, non impedisce al clero e ai laici di offrire aiuto materiale e una prossimità spirituale con una creatività che si sviluppa in numerose iniziative di ogni tipo.

Lo sforzo economico delle diocesi e delle Caritas; l’ascolto e il sostegno delle fragilità, nel rispetto delle disposizioni di sicurezza; i momenti di preghiera e di catechesi portati avanti grazie all’utilizzo di tutti i mezzi della comunicazione digitale sono solo parte dell’impegno messo in campo dalla Chiesa in tutto il mondo. Particolarmente significativa la presenza dei consacrati negli ospedali e nelle strutture sanitarie che fronteggiano in prima linea l’emergenza. Non meno importante il ruolo del personale sanitario credente che offre segni di misericordia, conforto e speranza ai malati che lottano contro il virus e ai paranti che non possono recarsi ai capezzali dei loro cari.

Quindi dalla ‘crisi’ che impone il coronavirus, #lachiesachecè  ha realizzato una serie di video, iniziata domenica 29 marzo, con il vescovo di Trieste, mons. Giampaolo Crepaldi, il quale ha tratto sei ‘occasioni’ per il futuro della comunità umana alla luce della Dottrina sociale della Chiesa, prendendo spunto dalla riflessione ‘Coronavirus, l’oggi e il domani’, pubblicato dall’Osservatorio card. Van Thuan, su un’emergenza che non è solo sanitaria, che vuole dare un contributo culturale in un’ottica cristiana sulla riflessione sulla pandemia attraverso questi temi: naturalismo, la fine di una ideologia; una salute morale da ricompattare; la riscoperta del bene comune; qualificare moralmente la sussidiarietà; globalizzazione e sovranità da ripensare; la morte per conoravirus dell’Unione Europeo; un nuovo rapporto tra Stato e Chiesa.

Quindi per cogliere il bene che emerge da questa situazione di enorme sacrificio, la giornalista fondatrice di ‘Nel Dialogo’ e curatrice su youtube con Michelangelo Nasca e don Salvatore Lazzara, di ‘Rastrelli feriali’, rubrica quotidiana che contiene una rassegna dall’Italia e dall’estero sulla presenza cristiana nella crisi coronavirus, Martina Pastorelli, ha lanciato la pagina facebook #lachiesachecè, raccogliendo le testimonianze che arrivano dal territorio, dalle parrocchie, dalle comunità di fede e dai presuli per mostrare come la Chiesa non ci lascia mai soli.

A lei ho chiesto di raccontare come è sorta questa iniziativa:      

“E’ nata per mostrare che anche senza poter celebrare le Messe pubbliche, tema su cui il dibattito cattolico rischiava di arenarsi, la Chiesa c’è e trova tanti modi di farsi ‘prossimo’ alla società in sofferenza. Io che ho il ‘pallino’ di smarcare la Chiesa dalle cornici che impediscono di vedere il bene che è e che fa, ho voluto mostrare l’altra storia: che la Chiesa c’è. Ed è nata così una pagina facebook, un hastag per i social, proprio per raccogliere dalle persone, che questa storia la stanno sperimentando concretamente, immagini, notizie, segnalazioni, iniziative sui molti modi in cui la Chiesa si fa prossima e non ci lascia soli”.

Quale contributo offre la Chiesa di fronte a questa pandemia?     

“Di vario tipo: materiale – pensiamo alla Caritas che non chiude mai, ai fondi stanziati dalla Cei per sostenere le strutture sanitarie, alle attività di volontariato di parrocchie e diocesi sul territorio. Poi c’è ovviamente il contributo spirituale: penso a suore e sacerdoti che nelle corsie degli ospedali stanno al fianco dei malati e del personale sanitario.

In tanti mettono a rischio la propria vita per aiutare I fratelli, dare conforto ai moribondi, e il sacrificio dei 67 preti morti per coronavirus dice proprio questa vicinanza concreta della Chiesa. Poi c’è anche un contributo culturale: aiutare la società a costruire il dopo, che come dice papa Francesco è già adesso, perché sia migliore”.

Quale ‘occasione’ può nascere per il futuro?           

“Più di una, specialmente se sapremo cogliere questa crisi per ridare a Dio il suo ‘posto nel mondo’. Come diceva papa Benedetto XVI la crisi si obbliga a riprogettare il cammino, a darci nuove regole e nuove forme di impegno. In questo senso la crisi diventa occasione di discernimento e nuova progettualità su tutta una serie di questioni cruciali per la convivenza umana”.

Come ripensare la vita sociale?       

“Innanzitutto recuperando ed estendendo il concetto di bene comune: in questo l’epidemia ha contraddetto tutti coloro che pensano che il bene comune come fine morale non esiste perché al contrario ha messo in evidenza che ad esso si richiamano il senso del dovere nel restare a casa, dover restare a casa, l’impegno di tante persone per altre,  la tutela della salute pubblica. 

Poi c’è il tema del rapporto uomo-natura, la solidarietà, la sussidiarietà, che va moralmente qualificata: l’erogazione del credito per supportare le famiglie e le imprese ad esempio dovrà seguire criteri etici e non solo tecnico finanziari. Come ha ricordato in queste ore il Papa: la persona viene prima di tutto”.

Quale ‘sfida’ comporta questa pandemia per la fede?        

“Decisamente quella di recuperare il ruolo che le spetta: non soltanto privato e intimo, ma comunitario. Il cristianesimo ha dimensione pubblica e storica, illumina il concetto di persona e la stessa politica (che altrimenti risponde agli interessi di parte) ed è fondamentale per realizzare quello sviluppo umano intergale e solidale di cui la pandemia ci ha mostrato l’importanza. In questo senso quel patrimonio di fede e ragione che è la Dottrina Sociale della Chiesa, può dare un grande aiuto in vista del dopo-coronavirus: serve quello sguardo di insieme, coerenza e sintesi che viene proprio dalla fede cattolica”.

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