Mons. Beschi: la Chiesa vicino alla popolazione

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Venerdì 27 marzo i vescovi italiani hanno pregato in un Cimitero della propria Diocesi per un momento di raccoglimento, veglia di preghiera e benedizione. A Bergamo mons. Francesco Beschi, ha pregato così: “Ascolta il silenzio di questo dolore: il silenzio di chi è morto e di chi è vivo. Non gridiamo. Il silenzio è la preghiera dello strazio. Ascolta le nostre parole che fanno eco di dolori nascosti nel cuore e nelle case, compressi da distanze che ci rubano carezze, sorrisi ed abbracci.

Ora che i nostri morti se ne vanno soli, avvertiamo che non possono essere solo nostri, sono di tutti, sono di una famiglia più grande: la nostra città, i nostri paesi, le nostre comunità.

Ascolta la speranza, per molti indicibile, che tutto non sia consumato, che il ricordo non sia l’unica eredità, che la vita di chi abbiamo amato e tanto ci ha amato non diventi solo polvere di un universo impassibile. La prova è grande, non è misurabile. Fatichiamo a sentirti, a vederti: ma noi crediamo in Te”.

Nella solennità dell’Annunciazione ha invitato alla preghiera: “L’Ave Maria che si ripete è come una specie di eco, da una prima Ave Maria si legano le altre, annunciando i misteri (così li chiamiamo) cioè gli eventi fondamentali della vita di Gesù. Nel Rosario noi sbricioliamo il Vangelo, quasi volessimo guardare alla vita di Gesù con gli occhi con cui l’ha guardato la persona a lui più vicino, sua madre Maria”.

Però l’emergenza Coronavirus a Bergamo resta altissima: ci sono stati 385 morti e 8600 positivi; per questo motivo la Diocesi con ‘L’Eco di Bergamo’ e Confindustria Bergamo hanno deciso di unire le forze nell’iniziativa ‘Abitare la cura’ per sollevare le strutture sanitarie e le famiglie in alcune delle fasi più delicate della cura dei malati.

Al vescovo di Bergamo abbiamo chiesto di illustrarci l’iniziativa ‘Abitare la cura’: “In questo momento, nell’abisso del dolore, c’è bisogno di vicinanza. Ma non basta. L’urgenza ha fatto scattare una solidarietà generosamente impressionante. La solidarietà ha poi fatto nascere il senso di prossimità: questo è per la nostra diocesi abitare la cura. Starci dentro con la prossimità del samaritano del Vangelo.

Ho riconsegnato alla comunità cristiana il grande dono che ha ogni cristiano per grazia del Battesimo di essere portatore di benedizione: un padre può benedire i suoi figli, una madre può benedire i suoi cari, i nonni possono benedire i loro nipoti, ma è importante soprattutto nel caso della sofferenza che anche i figli e i nipoti possano benedire i loro cari.

E l’ho chiesto con delicatezza e rispetto anche a medici e infermieri: spessissimo in questi giorni nelle corsie vedono morire gente da sola, se percepissero un desiderio sarebbe un dono prezioso che le loro mani potessero offrire anche la benedizione del Signore.

Che dal 6 marzo al 28 marzo 24 preti siano morti, è un triste dato che però dice pure grande prossimità alla gente. E ce ne sono una ventina ricoverati, alcuni gravi. Ringraziamo anche il Signore per qualcuno che è stato dimesso e sta meglio. Stiamo vivendo questa pena condividendola con quella delle nostre comunità insieme al numero dei contagiati, dei malati e un elevato numero di morti. Non siamo separati dalla nostra comunità nemmeno nel passaggio della morte.

C’è poi un impegno della diocesi per ospitare in alcune strutture persone che vengono dimesse dagli ospedali e necessitano di quarantena che però non possono vivere nelle loro case perché non hanno spazi adatti, essendo che tutti sono costretti a stare nelle abitazioni anche i bambini essendo chiuse scuole e attività.

Abbiamo costruito poi anche un servizio telefonico ‘un cuore che ascolta’ come servizio di consolazione spirituale e di supporto psicologico, con una settantina tra sacerdoti, religiosi e religiose, laici tra cui psicologi, per sostenere tutte le persone che in famiglia stanno vivendo particolari situazioni di dolore per la malattia e la morte, ma anche infermieri, medici, coloro che in diverso modo si stanno adoperando donando eroicamente le loro forze. E abbiamo pensato ai poveri tra i poveri, riorganizzando strutture dove senzatetto e migranti possono vivere in modo sicuro.

La diocesi conta 400 parrocchie circa e veramente sto vedendo manifestazioni le più disparate, fantasiose, nuove, per promuovere questa vicinanza. La stessa diocesi ha del materiale in supporto sul sito www.diocesibg.it e www.oratoribg.it. Inoltre questo ha fatto nascere fantasia di vicinanza dei preti riscoprendo i social, lo streaming, le app, le chat, le videochat, le radio, per offrire iniziative ai ragazzi a casa, riflessioni per gli adulti via chat, pillole audio con storie o canti per fare compagnia agli anziani”.

Lei ha affermato che il cristianesimo non è la religione del dolore: perchè?

“Il cristianesimo non è la religione del dolore, ma certamente è la religione che si fa carico del dolore dell’uomo. Gesù non si è sottratto. Per riscattare l’uomo e manifestare tutta la grandezza dell’amore di Dio, si è caricato del dolore degli uomini. Maria, l’Addolorata, partecipa di questa passione, non per il dolore, ma per un amore che non si sottrae al dolore. I cristiani di ogni tempo hanno avvertito questa grandezza di cuore che non ha paura di affrontare anche il dolore per amore di coloro che si amano”.

Ha senso affidarsi al rosario?

“Il Rosario è la possibilità di sbriciolare il Vangelo e il ripetere le Ave Maria porta alla cadenza del passo del pellegrino e della supplica insistente. Tra i tanti ricordi mi sovviene una persona, un papà che ha subito un tragico intervento. Mi chiama e passo tutta la notte con lui. Quell’uomo che sembrava lontano da Dio non ha smesso, per tutta la notte, di ripetere queste due parole, ininterrottamente, altro che rosario: Mamma, Ave Maria; Mamma, Ave Maria.

Per grazia e intercessione di Maria poi è guarito. Si chiama coronavirus questo morbo che così intensamente sta affliggendoci. Alla luce del Santo Rosario non abbiamo un antidoto spirituale: è proprio la Corona, la corona di rose, la corona del Rosario. Noi confidiamo, non in maniera magica, ma sapendo quanto ancora l’impegno deve essere volto per creare le condizioni di guarigione e di sicurezza. Noi sappiamo che una forza spirituale e morale ci viene da questa corona, la corona del Rosario e ci auguriamo che questa corona contribuisca alla vittoria sulla corona del virus”.

Come vivere la Pasqua in questo tempo?

“Questi giorni allungano ombre di morte sulla nostra vita comune e sulle nostre famiglie e, nello stesso tempo, non possiamo fare a meno di riconoscere i segni della primavera. La risurrezione è il fiore che sboccia e che anticipa la gioia di poterne gustare un giorno il frutto. E’ la gemma che sta fiorendo. La nostra vita e la storia degli uomini è fatta (e lo sappiamo bene) da infinite morti e risurrezioni.

Ma non è semplicemente un succedersi di vicende liete e di vicende tristi. Morire come Cristo e con Cristo, nelle vicende della nostra vita, è far abitare nelle nostre morti la forza dell’amore. Noi non abbiamo la forza dell’amore di Cristo ma Lui ce la comunica. Nelle infinite morti della nostra esistenza noi possiamo risorgere come Lui, non semplicemente perché la morte passa (‘ha da passà a’ nuttata!’, direbbe la famosa espressione) ma perché nella morte, e quindi nella prova e nella malattia, nella passione che non vede i risultati attesi, abita l’amore e dall’amore sempre nasce una vita nuova. E se questo amore è l’amore di Dio, nasce la vita nuova di Dio!”

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