Da Bacau (Romania), tra le soste in diverse comunità rumene a Spoleto per arrivare in Valle D’Aosta. Don Marian racconta la sua avventura

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L’ambiente nel quale sono nato e cresciuto, a Bacau, periferia di una grossa città di 170.000 abitanti, era semplice. I miei nonni erano dei contadini. Il nonno materno Gyorgy ha fatto la guerra e per due anni è stato prigioniero dei russi in Crimea. Tornato a casa ha sposato Anna, una donna che diceva tre rosari al giorno e non mancava mai la Messa feriale.

Il nonno, dopo qualche anno di matrimonio, venne incarcerato dai comunisti poiché amava ascoltare radio occidentali e fu liberato prima della caduta del Muro di Berlino, ma portò fino alla fine della sua vita gli orrori vissuti durante la detenzione. “Scegliete qualsiasi cosa nella vita ma mai far parte del Partito dei comunisti, vi faranno perdere l’identità”: fu il suo consiglio prima di morire per noi suoi nipoti; l’ateismo e il nuovo ordine imposto dagli occupanti sovietici non erano per lui.

Gli altri nonni, Janos e Catalina, si sono rifiutati di far parte del Partito Comunista rumeno ma sono stati meno combattenti e non davano fastidio al regime. Mia mamma Bernadetta, donna di grande fede, ha dovuto lavorare come falegname in una grossa ditta negli anni ’80. Dopo il 1996 invece è venuta in Piemonte e per 14 anni ha assistito degli anziani come badante, sostenendo così la famiglia e mandando a scuola noi figli.

Il papà, anche lui un semplice operaio, per 40 anni ha lavorato in una fabbrica di pezzi di ricambio per macchine industriali. Io e mio fratello Ciprian eravamo due ragazzi come tanti. La cosa che nella mia infanzia è rimasta come un punto luminoso e che, ancora oggi, tutte le volte che ci ripenso, mi commuove, è quando per la prima volta ho pensato di farmi prete.

Quando frequentavo la scuola elementare mia mamma ci portava a messa, non tutti i giorni però perché la chiesa era lontana. Eravamo 30.000 cattolici in quella città, c’erano solo due chiese e i comunisti non ci lasciavano costruire altri edifici di culto: non bisognava pregare, secondo loro.

Io salivo sopra l’altare in una sorta di cantoria dismessa e guardavo il parroco mentre ‘giocava’ con un libro e delle ostie ed il calice pieno di vino bianco: ero affascinato da quello che faceva, fino a che decisi di diventare come lui. Don Stefano affrontava con il coraggio i comunisti e loro avevano paura di lui perché la gente lo difendeva.

Ricordo che a volte con i miei cugini, in campagna, giocavamo a dire la messa e il ruolo del prete lo prendevo sempre io. Questo è stato il primo sogno, così forte per cui mi sono deciso a lasciare la famiglia e ad andare a studiare nel piccolo seminario in città all’età di 15 anni.

La vita quotidiana in seminario, prima in quello con il liceo classico e poi nel Grande a Iasi (140 km. da casa), è stata intessuta di preghiera e studio insieme a 130 seminaristi. Fu un periodo di grande fervore. Una nostra grande passione era anche il calcio: tutti i pomeriggi sul campetto della struttura.

Alcuni miei compagni di Teologia divennero segretari di nunzi apostolici per le vie di questo mondo, qualcuno segretario di un vescovo, altri missionari in Africa e altri ancora fidei donum in Austria, Francia e Italia e tra questi ci sono io, un piccolo vice e poi parroco e non di più. Venimmo ordinati sacerdoti il 24 giugno 2007 nella cattedrale che era ancora in costruzione, Santa Maria Regina a Iasi: 30 neosacerdoti.

A quell’evento parteciparono 4 vescovi poiché il nostro mons. Pietro, che ora si è ritirato, non riusciva da solo. Ricordo grande gioia e tanta emozione, due ore mezza di celebrazione in una cattedrale gremita. So che dopo la Messa non ho fatto in tempo salutare i miei perché ho dovuto fare la mia prima intervista per Radio Vaticano.

Dopo un’ora sono riuscito ad abbracciare la mia mamma: era felice anche lei, che era la nipote del vecchio vicario finito in carcere perché chiedeva pane e libertà per la sua gente. Una volta terminata la prigionia gli furono rotte le dita per essere sicuri che questo prete ‘venduto al Vaticano ed agli americani’ non potesse più celebrare la Messa. Ma lui, anche in quelle condizioni, la celebrò fino alla morte.

(Prima parte)

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