Papa Francesco ha pregato per i medici e i sacerdoti morti per coronavirus

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Nella Messa di questa mattina a Santa Marta papa Francesco ha ringraziato i medici, gli infermieri e i sacerdoti impegnati nell’assistenza ai malati di Covid-19, additandoli come esempio di eroismo, in quanto rischiano la vita. Infatti fino ad oggi sono 24 i medici morti nella loro attività accanto a quanti sono stati colpiti dal Covid-19 e quasi 5000 gli operatori sanitari contagiati; mentre sono circa 50 i sacerdoti deceduti a causa di questa epidemia:

“Ho avuto la notizia che in questi giorni sono venuti a mancare alcuni medici, sacerdoti, non so se qualche infermiere, ma si sono contagiati, hanno preso il male perché erano al servizio degli ammalati. Preghiamo per loro, per le loro famiglie, e ringrazio Dio per l’esempio di eroicità che ci danno nel curare gli ammalati”.

Nell’omelia papa Francesco, commentando il Vangelo di san Giovanni in cui Gesù guarisce un malato presso la piscina di Betzatà, ha sottolineato la pericolosità di un peccato particolare, che è l’accidia, cioè l’indifferenza, partendo dal valore dell’acqua come simbolo di salvezza:

“La liturgia di oggi ci fa riflettere sull’acqua, l’acqua come simbolo di salvezza, perché è un mezzo di salvezza, ma l’acqua è anche un mezzo di distruzione: pensiamo al Diluvio … Ma in queste letture, l’acqua è per la salvezza. Nella prima lettura, quell’acqua che porta alla vita, che risana le acque del mare, un’acqua nuova che risana”.

Nel Vangelo odierno si narra l’episodio di un malato che attende la propria guarigione, ma non chiede aiuto e si lamenta solamente, perché è indifferente alla sua malattia: “Ci fa pensare, l’atteggiamento di quest’uomo. Era malato? Sì, forse, qualche paralisi aveva, ma sembra che poteva camminare un po’.

Ma era malato nel cuore, era malato nell’anima, era malato di pessimismo, era malato di tristezza, era malato di accidia… La risposta all’offerta di Gesù per guarire è una lamentela contro gli altri. E così, 38 anni lamentandosi degli altri. E non facendo nulla per guarire”.

Inoltre il papa ha sottolineato un altro passaggio significativo nell’ordine di Gesù, quello di non peccare più; inoltre il gesto è compiuto nel giorno di sabato: “Era un sabato: abbiamo sentito cosa hanno fatto i dottori della Legge. Ma la chiave è l’incontro con Gesù, dopo. Lo trovò nel Tempio…

Quell’uomo era in peccato, ma non era lì perché ne aveva fatta una grossa, no. Il peccato di sopravvivere e lamentarsi della vita degli altri: il peccato della tristezza che è il seme del diavolo, di quella incapacità di prendere una decisione sulla propria vita, ma sì, guardare la vita degli altri per lamentarsi. Non per criticarli: per lamentarsi”.

A questo punto il papa ha sottolineato che la lamentela è un peccato pericoloso, invitando a leggere il capitolo 5 del vangelo giovanneo: “Mi fa pensare a tanti di noi, a tanti cristiani che vivono questo stato di accidia, incapaci di fare qualcosa ma lamentandosi di tutto. E l’accidia è un veleno, è una nebbia che circonda l’anima e non la fa vivere. E anche, è una droga perché se tu l’assaggi spesso, piace… E questo è un peccato abbastanza abituale tra noi: la tristezza, l’accidia, non dico la malinconia ma si avvicina… Una vita grigia, ma grigia di questo cattivo spirito che è l’accidia, la tristezza, la malinconia”.

Ed ha concluso l’omelia, invitando a pensare che l’accidia è un peccato ‘neutrale’, che può essere sconfitto dall’acqua battesimale: “Pensiamo all’acqua, a quell’acqua che è simbolo della nostra forza, della nostra vita, l’acqua che Gesù ha usato per rigenerarci, il battesimo.

E pensiamo anche a noi, se qualcuno di noi ha il pericolo di scivolare su questa accidia, su questo peccato neutrale: il peccato del neutro è questo, né bianco né nero, non si sa cosa sia. E questo è un peccato che il diavolo può usare per annientare la nostra vita spirituale e anche la nostra vita di persone. Che il Signore ci aiuti a capire quanto brutto e quanto maligno è questo peccato”.

Infine, il papa ha terminato la celebrazione con l’adorazione e la benedizione eucaristica, invitando a fare la Comunione spirituale: “Gesù mio, credo che sei realmente presente nel Santissimo Sacramento dell’altare.

Ti amo sopra ogni cosa e ti desidero nell’anima mia. Poiché ora non posso riceverti sacramentalmente, vieni almeno spiritualmente nel mio cuore. Come già venuto, io Ti abbraccio e tutto mi unisco a Te. Non permettere che abbia mai a separarmi da Te”.

Ed oggi la Chiesa celebra la 28^ Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri, dal titolo ‘Innamorati e vivi’, come ha spiegato la Fondazione Missio, organismo pastorale della CEI: “Un messaggio che custodisce in sé due significati. Il primo descrive appieno coloro che ardenti di amore per Dio Padre e le Sue creature hanno investito la totalità del loro tempo per prendersene cura.

Il secondo è un vero e proprio imperativo, l’eredità che i martiri hanno ricevuto da nostro Signore trasmettendola a noi, oggi. Solo chi si innamora è disposto ad abbandonare il superfluo per cogliere al fine l’essenza della vita. Questa promessa non è solo speranza per l’avvenire ma prima di tutto garanzia per il presente”.

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