Estrema solitudine, per chi è in quarantena e chi sta in casa da solo, per malati e moribondi

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Il dati sulla pandemia in Italia: 35.713 i contagiati (+4.207), 28.710 malati (+2.648), 2.978 vittime (+475; letalità al 5,8%, età media dei decessi 79,4 anni), 4.025 guariti (+1.084, +37%). Dei 28.710 malati complessivi, 14.363 sono poi ricoverati con sintomi di cui 2.257 in terapia intensiva (+197) e 12.090 in isolamento domiciliare.
Non si arresta ancora la corsa, ma con i dati del 18 marzo si iniziano a cogliere alcuni segnali positivi perché l’incremento percentuale dei casi totali è discendente. Nei prossimi giorni potremmo iniziare a vedere anche una riduzione delle nuove infezioni giornaliere, ma occorrerà insistere con le misure di contenimento. Soprattutto perché restano sotto pressione le terapie intensive, in questo momento con 2.257 pazienti, che risentono non solo dei nuovi arrivi ma anche della lunga permanenza (circa 3 settimane) dei già ricoverati. Il Presidente della Regione Lombardia ha parlato esplicitamente di misure più dure in arrivo se i cittadini continueranno a uscire di casa: oltre il 40%, come risulta dalle celle telefoniche, si muove oltre i 300 metri dall’abitazione.
La stima è di 92mila contagi complessivi in Italia – numeri tra l’altro simili a quelli cinesi – fino a fine aprile e oltre 360mila in quarantena. Una previsione che tiene conto delle ultime misure più stringenti adottate nei giorni scorsi dal Governo che hanno trasformato l’Italia in una zona rossa e che produrranno i loro effetti – come dicono tutti gli epidemiologi – dopo circa 7-10 giorni.

Un appello a Papa Francesco da “Il sismografo”
Stasera apro con un appello dell’aggregatore para-vaticano “Il sismografo” (certamente non un sito “della galassia arci-conservatore, ultra-tradizionalista e anti-bergogliona”, con una definizione che tanto piace a un certa professionista da “doppia spunta blu” delle narrazione-comunicazione che non comunica).
Non fa una piega.
Spero che il Santo Padre lo legga, lo medita, ci rifletta e agisca di conseguenza.
E sarebbe proprio il massimo se finalmente approdasse sull’isola sicura di Castel Gandolfo… e seguire anche li le raccomandazione dell’OMS, come la Regina del Regno Unito e il Principe di Monaco. Per il bene dell’umanità.

Caro Papa Francesco: un nostro umile piccolo pensiero…
È meglio evitare troppa presenza mediatica…
È davvero una richiesta del cuore
Caro Santo Padre,
ogni istante vediamo quanto fa per l’umanità tutta, in una situazione inattesa molto delicata e incerta, lacerata da un angolo all’altro della terra da dolori, lutti, incertezze e paure…
Per l’umanità la sua presenza e il suo amore sono essenziali, indispensabili e impagabili. Le sue parole sono vita e coraggio, speranza e futuro.
Proprio perché è così preghiamo per evitare una sua presenza mediatica fuori posto, inflazionata e iperbolica. Sarebbe un danno per tutti, per Lei caro Santo Padre e per l’umanità stessa che la guarda ogni istante.
Da Lei tutti vogliamo sapere e capire che è vicino a ciascuno, in particolare a chi soffre. Non occorrono interviste o comportamenti simili a dismisura.
Vedere e sentire Francesco, pastore universale, ogni mattina nel corso della Messa a Santa Marta, leggere o ascoltare le sue meditazioni quotidiane, seguire il suo supremo magistero e ministero con discrezione religiosa e amore filiale, ci dà a tutti coraggio e voglia di lottare.
Non vogliamo vedere quotidiani stampati e siti web che vendono le sue interviste.
Caro Santo Padre,
la vogliamo accanto a noi con amore, discrezione e affetto, come ha fatto sempre.
Preghi per noi caro Papa. Noi continueremo a pregare per Lei, ora più che mai.
Il sismografo
18 marzo 2020, ore 11:17

Questa mattina ho dato la notizia che tra le ore 09.30 e le 10.00 la salma di Daigoro Todini sarebbe passato sotto la casa di sua mamma Clara Colelli, per raggiungere il cimitero di Prima Porta di Roma [Preghiamo per Daigoro e la sua mamma Clara – 18.03.2020].
Stringendoci in un forte abbraccio con mamma Clara, famigliari e amici di Daigoro, avevo condiviso una sua supplica, rivolta alle massime autorità dello Stato, di Governo e di Roma [Il male si vince con l’amore. Supplica di mamma Clara a poter dare l’ultimo saluto al suo figlio Daigoro, almeno dall’alto – 13 marzo 2020], che oggi ha avuto esito “positivo”.
Almeno questo.
Secondo le disposizioni del Dpcm in vigore per l’emergenza Sars-CoV-2, la famiglia non è potuto andare all’obitorio ne benedire la salma ne celebrare il funerale. E il figlio è stato portato al cimitero da solo.
Il passaggio della salma di Daigoro Todini, autorizzato dalle autorità competenti, ha avuto luogo alle ore 10.00 circa, sotto la finestra di mamma Clara Colelli, nella zona di Porta Pertusa, adiacente alle Mura vaticane. L’auto con il feretro ha proseguito fino al cimitero di Prima Porta dove Daigoro troverà riposo.

Il ringraziamento di mamma Clara va a chi gli è vicina in questo particolare momento di dolore e a chi ha acconsentito di permettergli un ultimo saluto a suo figlio, prima della sepoltura.

In tempo di Sars-CoV-2 si continua a morire anche per cause non connesse con il nuovo coronavirus, ma per causa naturale, per malattia diversa, per motivi violenti o per incidenti.

E anche se Daigoro è morto in un incidente stradale, anche lui, la sua mamma, i suoi famigliari e i suoi amici sono stati colpiti “per estensione” dagli effetti laterali dell’emergenza Sars-CoV-2.

Gran parte degli Italiani – che non devono uscire da casa se non per “comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità, motivi di saluti o per rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza”, non considerando gli incoscienti e penalmente perseguibili, che uscendo da casa per motivi futili procurano gravissimi danni alla popolazione tutta – oggi vivono sulla propria pelle la solitudine e le sue conseguenze.

E il minimo che può succedere è di essere bloccati in cabina su una nave di crociera (come succede ad una coppia, raccontato da Davide Tamiello su Il Gazzettino di oggi e che ho riportato nel mio pezzo di questa mattina La Città del Vaticano come un porto di mare #ilviruseugualepertutti #ilvirusnonperdona #soloinsiemecelofaremo).

Però, coloro che non hanno contratto il COVID-19, non avendo avuto un incontro ravvicinato di tipo pericolosissimo con Sars-CoV-2, devono pensare ai malati e ai morti (per riflettere sul “dovere di pensare”, condivido l’articolo del collega e amico Renato Farina su Libero di questa mattina), di Mauro Faverzani su Corrispondenza Romana e di Francesco Ognibene su Avvenire.
E devono pensare anche ai “guariti” (per illustrare il “dovere di pensare”, condivo un articolo dalla rubrica Medicina e Ricerca di La Repubblica, sui primi risultati della ricerca scientifica sulle conseguenze del nuovo coronavirus).

Comunque, è ovvio che non è ancora chiaro a tutti la gravità di questa emergenza e quindi le disposizioni delle autorità diventano man mano essere più incisivi, restringenti, limitativi (condivido al riguardo la nuova ordinanza della Regione Lazio). Perché il Sars-CoV-2 si vincerà, ma solo con la collaborazione responsabile di tutti e ingenti sforzi del mondo sanitario (con la speranza di vedere una luce nel tunnel fra sei mesi) e con la ricerca scientifica per trovare cure efficace e un vacina per la prevenzione (se tutto va bene fra un anno). Ne ho scritto ieri: #ilviruseugualepertutti – I numeri – Storie di responsabilità e incoscienza nella guerra contro un nemico molto pericoloso e invisibile #takecare. E ripeto quanto scritto ieri: “Ci sono punti da affrontare, come gli asintomatici (i più pericolosi perché non li riconosci) e i casi di recidiva, che sono pericolosissimi, ma purtroppo non se ne parla abbastanza. Fin’ora, solo il Presidente Zaia in Veneto ha chiesto il tampone per tutti i veneti”.

Il Papa cerca rimedi
Per i moribondi in corsia neppure il conforto dell’estrema unzione
di Renato Farina
Libero, 18 marzo 2020
Il Coronavirus impone la solitudine più estrema per i malati. I medici e gli infermieri, con le massime protezioni, sono gli unici che possono accostarsi a chi giace sul lettino con il respiratore. Nessuna carezza dai propri cari. La domanda che molti, e non per forza praticanti o credenti, si fanno è: nemmeno il prete? No, neppure il cappellano dell’ospedale può entrare, dare l’estrema unzione, soccorrere i moribondi assolvendo dai peccati e offrendo il viatico (l’eucaristia).
I meravigliosi sacerdoti che percorrono le corsie del Policlinico di Milano hanno confessato questa condizione ad Avvenire. Ci sono, eccome, ma non possono essere una presenza fisica agli occhi dei contagiati. Don Marco Gianola: «In questo tempo d’emergenza non possiamo avvicinare gli ammalati, né quelli di Covid-19 né gli altri, per non essere vettori del virus. Così ci dedichiamo ai medici e agli infermieri, sottoposti a carichi di lavoro, ansie e stress che è difficile immaginare. Come preti cerchiamo di essere un segno di speranza e di prossimità nella fatica e nell’angoscia». Don Giuseppe Scalvini: «Quello che diamo sono cose semplici: un sorriso, un saluto, un po’ di ascolto. Io vedo persone che lavorano mettendo in gioco tutta la propria umanità. Un’infermiera che mi diceva di non essere molto religiosa mi ha raccontato, in lacrime, di essere entrata in chiesa, dopo turni di lavoro massacranti, giorni e notti senza riposo, e di aver affidato tutto alla Madonna. È stato come riscoprire qualcosa – Qualcuno? – che si portava dentro fin da bambina. Il dolore, a volte, può allontanarci da Dio, altre volte ci avvicina».
Il Papa cosa intendeva dire allora, nei giorni scorsi, quando ha invitato i sacerdoti a portare l’eucarestia, a non essere don Abbondio, ritirandosi al sicuro, quando esporsi significa togliere sicurezza al prossimo? Per la prima volta nella storia delle epidemie e della Chiesa, i preti non possono, anzi non devono avvicinarsi ai malati per portargli Cristo? Il Papà non si dà pace. Anche se la ragione chiede ai medici delle anime prudenza per non trasformarsi in untori, resta che il Vangelo chiama il pastore a uscire dal gregge dei 99 sani e di accostarsi alla pecora perduta e sola. Questa distanza da quelli che si chiamano «conforti religiosi», genera ulteriore angoscia in molti, specie anziani; e tutto ciò è ben presente a Francesco. Il quale ha dato disposizioni alla Penitenzieria apostolica di studiare «qualcosa» per dare certezze ai fedeli. Questo ci conferma una fonte autorevole, che aggiunge: «Ma tutto in realtà c’è già: se manca il prete si è assolti solo pentendosi e chiedendo perdono… Detto questo sarebbe bello se nei reparti di terapia intensiva ci fosse un cappellano sempre presente, opportunamente protetto alla maniera dei medici».

Dalla prima linea dell’epidemia
di Mauro Faverzani
Corrispondenza Romana, 18 marzo 2020
Desolazione, dolore e lutto: sono questi i sentimenti, che dominano a Cremona, città posta quasi subito in prima linea in questa lotta titanica contro il microscopico Coronavirus «Covid-19», poiché qui, presso il locale Ospedale, sono giunti molti, moltissimi dei contagiati e dei malati provenienti dal vicino epicentro, collocato a livello nazionale a Codogno e Lodi.
I numeri, del resto, parlano da soli: nonostante da noi fossero state adottate immediatamente le restrizioni poi rese nazionali, i dati ufficiali, gli ultimi disponibili al momento in cui scrivo, indicano come tra venerdì e sabato scorsi solo in provincia di Cremona i casi di contagio siano 221 in più, giungendo a quota 1.565, 112 i morti; nello stesso periodo, in Lombardia sono risultati 11.685 coloro che sono risultati positivi al virus, 1.865 nel giro di sole ventiquattr’ore; 966 le vittime.
Benché ora inizino ad arrivare aiuti concreti, dalla Regione come dalla povera gente, dalle associazioni, dalle categorie economiche, dalle istituzioni, la nostra Sanità è ormai allo stremo, devastata dalla quantità e dalla qualità delle tipologie cliniche quotidianamente trattate. Ogni giorno l’eliambulanza trasferisce pazienti presso altre strutture, per distribuire la geografia degli interventi medici ed evitare il sovraccarico delle scorse settimane, ma la situazione resta pesante: non a caso, era cremonese quell’infermiera crollata per la fatica sul tavolo, ormai priva di energie, ritratta nella foto divenuta poi “virale” sulla stampa nazionale. Altrove – Bergamo, Brescia,… – i numeri, divenuti in fretta ben più importanti di quelli cremonesi, indicano come altre province stiano ora sperimentando quel picco, che qui è già giunto e che, tutto sommato, non pare ancora potersi considerare alle spalle.
Ma quel che i numeri non dicono e che le statistiche non raccontano è lo smarrimento di una comunità, che si scopre fragile, indifesa, vulnerabile; una comunità, ferita non solo nella carne, nelle corsie di ospedale, in cui i pazienti sono lasciati soli, isolati, lontani dai propri cari, ma ferita anche nei propri affetti più cari: chiunque di noi può raccontare di parenti ed amici malati, degenti chissà dove, e purtroppo può raccontare anche di morti. Ho appena saputo del decesso di mons. Vincenzo Rini, per oltre trent’anni direttore del settimanale diocesano La Vita Cattolica, ma noto nel panorama editoriale nazionale anche come presidente dell’agenzia Sir della Cei e, prima ancora, dei settimanali cattolici della Fisc.
Un sacerdote amico, il parroco di Grontardo, don Franz Tabaglio, si sa esser ricoverato in condizioni molto gravi: ha 56 anni e, che mi risulti, non lamenta patologie pregresse… Come noto, lo stesso Vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni, ha contratto il Coronavirus: le sue condizioni restano stabili, benché in progressivo miglioramento. I necrologi del quotidiano locale La Provincia, dall’inizio dell’epidemia, si sono moltiplicate e fotografano una situazione davvero difficile.
Chi vive, vive senza Santa Comunione e senza celebrazioni. Pochissimi i sacerdoti disposti a confessare chi sia disposto a sfidare i controlli delle forze dell’ordine, spesso sin troppo zelanti nell’interpretare le disposizioni governative in senso restrittivo e ad attribuir valore al solo pane materiale, minacciando viceversa sanzioni a chi desideri quello spirituale.
Chi muore, invece, muore senza assistenza spirituale e senza funerale: solo la benedizione di un prete al cimitero sulla salma ed alla presenza di un solo familiare, massimo due. Altro non è concesso. Il deserto, qui, non è solo quello delle strade, praticamente vuote, lacerate solo dal frequente, assordante suono delle sirene delle ambulanze; è prima di tutto il deserto di anime sole, in gran parte scopertesi, dopo aver assorbito anni di laicismo militante, d’indifferenza religiosa e d’analfabetismo catechistico, incapaci di guardare oltre, di coltivare la speranza, di immaginare un livello metafisico, di affidarsi ad un Dio, che non conoscono.
È questa la miseria più grande, oggi, poiché priva, deruba di senso tutto quel che accade, impedisce d’intuire la trama di un progetto provvidenziale, che anche così vuole esprimersi, attraverso la prova e la sofferenza. Non resta che pregare. E lo stesso pregare oggi acquista un senso decisamente nuovo, per molti versi inedito: le parole acquisiscono tutto un altro significato, conoscono modalità nuove, un altro “sapore”, forse più crudo ma anche più vero, più genuino, più profondo. Invitano alla sequela, alla sequela di Cristo, che adesso può più facilmente esser intuito anche da chi, con cuore onesto e sgombro da ideologie, non lo avesse finora conosciuto e non lo avesse finora mai chiamato. Nulla sarà più come prima per quanti sopravvivranno a quest’esperienza. Se ne uscirà comunque cambiati. In peggio, se rimarremo vittime della disperazione. Ma in meglio, decisamente in meglio, se capaci di affidarci a Dio. Più genuinamente umani ed attenti davvero all’essenziale. Tornando ad una gerarchia di valori dimenticata troppo a lungo, eppure sempre efficace, sempre vera, perché capace di farci guardare, finalmente, in prospettiva, capace di darci un senso, di donarci una speranza, di aprirci alla certezza del Padre.

Dalla Lombardia all’Emilia, ecco chi sono i preti uccisi dal virus
Cresce di giorno in giorno il numero dei sacerdoti morti a causa del contagio, altre decine sono positivi, ricoverati o in terapia intensiva. Bilancio pesantissimo nelle diocesi di Bergamo e Parma
di Francesco Ognibene
ha collaborato Chiara Genisio
Avvenire, 18 marzo 2020

Si ammalano e muoiono come gli altri, insieme agli altri, forse persino più degli altri, anche se ora è molto difficile azzardare questo genere di contabilità statistica. I preti italiani stanno in mezzo alla gente, da sempre, per missione ma prima ancora per la natura popolare del nostro clero. Inevitabile trovare anche loro nell’elenco delle vittime mietute da questa spaventosa epidemia. In alcune diocesi con numeri impressionanti.
È certamente il caso di Bergamo dove sinora i sacerdoti morti per o con il virus (ma davvero importa la differenza tra l’una e l’altra categoria?) sono addirittura 10: don Remo Luiselli (81 anni), don Gaetano Burini (83), don Umberto Tombini (83), don Giuseppe Berardelli (72), don Giancarlo Nava (70), don Silvano Sirtoli (59 anni), don Tarcisio Casali (82), monsignor Achille Belotti (82), don Mariano Carrara (72) e monsignor Tarcisio Ferrari (84), la figura più nota essendo stato segretario dell’arcivescovo Gaddi dal 1963 al 1977.
Anche la diocesi di Parma sta pagando un tributo pesante con 5 sacerdoti morti: don Giorgio Bocchi e don Pietro Montali (entrambi 89enni), don Andrea Avanzini (il prete più giovane che risulta morto sinora con i suoi 55 anni, contagiato probabilmente dalla madre anziana, positiva, con la quale viveva) e il 94enne don Franco Minardi, che fu secondo direttore della Caritas diocesana. Ultimo deceduto per ora, martedi’ 17, don Fermo Fanfoni, 82 anni.
Figura assai nota nella sua diocesi per l’impegno accanto ai più emarginati è quella di don Giorgio Bosini, 79 anni, della diocesi di Piacenza–Bobbio, fondatore del Ceis locale (oggi associazione La Ricerca onlus), già molto malato e del quale dunque è ancora difficile ricondurre con certezza la morte al virus, al pari dei due gemelli don Mario e don Giovanni Boselli, 87 anni, incredibilmente morti a pochi giorni di distanza. Certamente ucciso dal contagio don Giovanni Cordani, 83 anni, parroco di Rivergaro, a lungo insegnante.
Cremona conta due morti: il giornalista don Vincenzo Rini (grande amico di Avvenire), 75 anni, e don Mario Cavalleri, ben 104 anni, per un trentennio alla guida della “Casetta”, realtà di accoglienza per poveri, tossicodipendenti e profughi.
A Milano grande emozione ha suscitato la scomparsa di don Marco Barbetta, 82 anni, cappellano del Politecnico, figura nota nel movimento di Cl, primo prete ambrosiano vittima del virus. Sgomento analogo per la morte, dopo giorni di lotta in terapia intensiva, di don Luigi Giussani, 70 anni, vicario della popolare parrocchia milanese di San Protaso, omonimo del fondatore di Comunione e Liberazione e tra i riferimenti del movimento in città (tanto da essere ribattezzato affettuosamente “Gussanello” tra i tanti amici), oltre che assistente spirituale degli studenti all’Università Statale, teologo e intellettuale finissimo, animatore in parrocchia di catechesin per gli adulti lucide ed entusiasmanti, delle quali circolano appunti specchio del suo pensiero rigoroso e spalancato sulla speranza. Due preti ambrosiani legati a Cl, entrambi sempre in mezzo ai giovani.
Della diocesi di Lodi era don Carlo Patti, 66 anni, pure lui morto ieri.
Una vittima anche in diocesi di Brescia: don Giovanni Girelli, 72 anni, in servizio nell’unità pastorale di Orzinuovi, cittadina falcidiata dal Covid–19.
Due morti anche nelle diocesi del Piemonte: a Casale Monferrato don Mario Defechi, 89 anni, e a Tortona don Giacomo Buscaglia, 82.
Decine i sacerdoti positivi, alcuni in condizioni gravi, una situazione che potrebbe costringere presto ad aggiornare questa spoon river dei preti italiani.
«Dolore nel dolore». Il messaggio del vescovo di Parma
I preti morti in questi giorni sono stati tumulati senza rito funebre, come tutte le altre vittime del virus. Come i suoi confratelli delle diocesi coiunvolte, anche il vescovo di Parma Enrico Solmi ha rimandato alla fine dell’emergenza una Messa di suffragio per i sacerdoti che hanno pagato con la vita l’esposizione al contagio. Intanto ha però voluto rivolgere alla diocesi, provata da tanti lutti, un suo messaggio. Eccolo.
«È dolore nel dolore vedere che anche i sacerdoti si ammalano – a volte per zelo pastorale – e vanno oltre la porta del triage dove, comprensibilmente, nessuno può entrare. Poi, alternandosi speranze e ricadute, ci lasciano. Cinque sono i preti della Diocesi che sono morti dall’inizio di questa epidemia. Anche loro hanno condiviso questa via crucis e al Vescovo resta la fitta dell’apprenderne la morte – come un colpo che fa piegare le ginocchia – il dolore che pervade me e il presbiterio, le comunità. Scatta il suffragio nella preghiera, nella celebrazione eucaristica e si profilano domande anche pastorali sul dopo. A me vescovo e pochissimi altri spetta l’attesa della salma al cimitero. La preghiera breve, come atto penultimo di un accompagnamento fatto di segni e di suffragio, in attesa di potere celebrare degnamente la Santa Messa in suffragio, quando si potrà, dando l’occasione ai fedeli e a chi ha condiviso anni di compagnia e prossimità – don Franco settant’anni nella stessa parrocchia! – di salutare il parroco e di affidarlo al Padre della Misericordia. Sono tra le fasi più dolorose della vita di un povero vescovo come me, sostenute dalla certezza della Risurrezione, della Vita eterna, invocando ancora forza per il gregge e il pastore e Luce per essere condotti là dove il Signore ci indica, procedendo come lui vuole.

Ecco, Ben detto. il Sars-CoV-2 farà e sta facendo più vittime collaterali che non diretti a causa del Covid-19.

Il Vice Presidente della Lombardia Fabrizio Sala: “Spostamenti nonostante i divieti”. “Vi controlliamo attraverso le celle telefoniche, non uscite di casa, è importante perché questa battaglia la vinciamo noi”. Lo ha detto l’Assessore al Welfare della Lombardia, Giulio Gallera. Secondo i dati raccolti dagli operatori telefonici relativi ai cellulari dei lombardi, quattro persone su dieci continuano a muoversi nonostante i divieti del governo. “È un dato non sufficientemente basso”, ha detto il Vice Presidente Sala. “Dai dati tecnologici ricavati con le compagnie di rete mobile, fatto 100 il 20 febbraio, prima che scoppiasse l’emergenza, l’andamento del movimento della popolazione è poco sopra il 40% – ha spiegato Sala -. È un dato non sufficientemente basso, bisogna stare a casa il piu’ possibile”. Il vicepresidente della Regione ha mostrato un grafico realizzato con i dati forniti dalle compagnie telefoniche. “Sono movimenti di persone che hanno cambiato cella – ha detto – e quindi spostamenti di 500 metri, di un chilometro o di più. Ringraziamo chi è obbligato ad andare al lavoro per garantire la tranquillità di chi resta a casa, ma per tutti gli altri, chi si muove per motivi superflui, stia a casa”, ha concluso.

Medicina e Ricerca
Coronavirus: studio sui primi malati italiani mostra i gravi danni ai polmoni
L’appello dell’Oms: “Fare più test”. Però l’Italia non è il Veneto
La Repubblica, 17 marzo 2020
In via di pubblicazione sull’International Journal of Infectious Diseases le radiografie e le immagini della Tac dei polmoni appartenenti alle prime due persone risultate infette in Italia, due turisti cinesi in vacanza. Che danno un’idea di quanto possa essere devastante il nuovo coronavirus
Le immagini sono scioccanti e fanno parte della cartella clinica dei primi due malati cinesi in Italia, guariti dal coronavirus dopo esser stati curati a Roma. Diffuse dai ricercatori dell’Istituto nazionale di malattie infettive Spallanzani di Roma in uno studio che verrà pubblicato sull’International Journal of Infectious Diseases, mostrano le radiografie e le immagini della Tac dei polmoni appartenenti alle prime due persone risultate infette in Italia, due turisti cinesi in vacanza. E rendono l’idea di come può essere devastante il nuovo coronavirus. I due pazienti, un uomo di 67 anni e una donna di 65, erano in forma e in salute. Seguivano soltanto una terapia orale per tenere a bada l’ipertensione.
Dopo aver riscontrato problemi respiratori e febbre, la coppia è stata sottoposta a test di laboratorio che hanno confermato l’infezione con il virus SARS-COV-2. Entrambi i pazienti hanno continuato ad aggravarsi fino a sviluppare la sindrome da distress respiratorio dell’adulto (ARDS). Ci sono voluti solo quattro giorni per arrivare all’insufficienza respiratoria e due giorni dopo entrambi i pazienti respiravano solo grazie a un ventilatore. Le prime radiografie effettuate sui pazienti mostrano “opacità del vetro smerigliato”.
In pratica, gli spazi aerei nei loro polmoni si erano riempiti di liquido, generalmente pus, sangue o acqua. L’opacità del vetro smerigliato è spesso associata all’ispessimento o al gonfiore dei tessuti molli, noto come consolidamento. È stato anche visto un fenomeno chiamato “pavimentazione pazza”, che indica un ispessimento del setto e del setto intralobulare, che può inibire le prestazioni. I pazienti con Covid-19 hanno mostrato sacche piene di liquidi o muco nei polmoni, che possono peggiorare progressivamente con lo sviluppo della malattia.
Lo studio ha anche scoperto che i vasi sanguigni che trasportano il sangue dal cuore ai polmoni per ossigenarsi si stavano allargando. Questa condizione, nota come ipertrofia, riduce lo spazio per l’aria, causando difficoltà respiratorie e problemi respiratori. È probabile che questo segno sia correlato all’iperemia – eccesso di sangue nei vasi polmonari – causato dall’infezione virale. “I modelli polmonari in entrambi i pazienti sono caratterizzati da ipertrofia dei vasi polmonari, che sono aumentati di dimensioni, in particolare nelle aree con danno interstiziale più pronunciato”, spiegano i ricercatori. “Questa nuova evidenza radiologica suggerisce un diverso modello di coinvolgimento polmonare rispetto a quelli osservati nelle altre infezioni note gravi causate da coronavirus (Sars e Mers)”, aggiunge. I ricercatori affermano i loro risultati concordano con quelli precedenti, ma la presenza di infiltrati polmonari – una sostanza anormale che si accumula gradualmente all’interno delle cellule o dei tessuti corporei – potrebbe descrivere un predittore precoce della compromissione polmonare.

Postscriptum

Abbiamo anche una redazione carbonara di Korazym.org in versione trasteverino, per solo qualche fidato intimo (in sostanza solo mio “staff”, senno’ che carbonari semo).
#ilvirustepijaapizze!
#korazymredazionetrastevere

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