Scongiurare una superstizione al contrario, imposta da una scienza entrata in un campo non suo

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“Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, e pone nella carne il suo sostegno, allontanando il suo cuore dal Signore… Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia” (Ger 17,5-10).

Nei momenti bui e tristi della storia dell’umanità, l’uomo, da una parte si (ri)aggrappa alla Fede e ritorna alla preghiera, dall’altra parte intensifica la sua bestemmia contro Dio, come ha predette l’Apocalisse.

Signore, Ti chiediamo con la nostra preghiera che nasce sempre dall’ascolto della Tua parola, dal cuore e non dalle sole labbra, di guardar tutta l’umanità contagiata dalla pestilenza di questo tempo che semina morte, stendi la Tua mano, ferma questo male che sta dilagando in tutto il mondo, siamo i Tuoi figli Signore, e un Padre non può non ascoltare le nostre preghiere. Amen.

Quando ci rivolgiamo al Signore in preghiera (e io lo faccio come il contadino del Santo Curato di Ars: io guardo Lui e Lui guarda me), dobbiamo saper accettare che la risposta divina può essere diversa dalle nostre attese. Gesù stesso ci ha indicato come dobbiamo disporci quando ci rivolgiamo al Signore: “Padre allontana da me questo calice ma non sia fatta la mia volontà ma la Tua“.

Ma perché domandare a Dio, se Lui conosce già ciò di cui abbiamo bisogno? Si tratta della stessa cosa se smettessimo di dire “ti amo” alla persona amata, con la giustificazione che “tanto lo sa già, quindi, cosa lo ripeto a fare”? Come colei che amo, anche il Padre che è nei Cieli vuole ascoltare la mia preghiera, anche se sa già quello che voglio chiedere e ciò che desidero, ma anche di cui ho bisogno, come e quando.

Quindi, ricordando che nulla è impossibile a Dio e nella consapevolezza che la preghiera fatta con vera fede, porta a risultati straordinari, preghiamo perché il Signore dia forza, sostegno e guarigione a tutti i malati ed ai loro cari, in questi tempi di pestilenza moderna. E che ci dia Fede.

Detto questo, continuando la riflessione iniziata nei giorni scorsi sul Sars-CoV-2 – mi rifiuto di chiamarlo coronavirus, perché preferisco la moretti o la poretti (e prometto di non chiamarle più “moletti e poletti” – condivido oggi una testimonianza dal diario Facebook dell’amico Mauro Visigalli, che è rientrato dagli USA (dove lavora come avvocato rotale) nel Paese degli appestati dal terzo millennio e un articolo (che è una meditazione) dell’amico e collega Renato Farina da Libero. Infine, faccio seguire una riflessione, su Avvenire nei giorni scorsi (che mi era sfuggito), di Mons. Antonio Staglianò, Vescovo di Noto, che sottolinea quanto per un credente dovrebbe essere una ovvietà, ma non lo è più, purtroppo: i cristiani devono rivolgersi al Signore Gesù che può illuminare le persone e aprire a quell’amore che salva.

Segue un Postscriptum (come dice la locuzione latina “post scriptum”, che tradotta letteralmente significa “dopo la scritta”), che ho aggiunto, dopo aver pubblicato questo contributo, una breve riflessione sulla divina ironia, dal blog Duc in altum di Aldo Maria Valli.

Una testimonianza di umanità e amore dal Paese del non “numero uno”
Condivido questo post con grande rispetto per un amico e grande professionista, un grande uomo, grande marito, grande padre. Che stando in un Paese lontano, in un gesto di vero amore si è riunito con la sua famiglia a Codogno (il Paese del non “numero uno”). Preghiamo il Signore che questa pestilenza ci viene allontanata: “È cambiato così, ieri, il mio status, con un abbraccio a Luca che scaricava le mie valigie, quattro chiacchiere con l’agente del posto di blocco – che era stato in viaggio di nozze a Las Vegas – e un abbraccio a Rosie che mi ha prelevato ‘dall’altra parte’ (a dispetto dei ‘politici’ fotografati sui giornali mentre piangono la separazione dalle famiglie, rientrare si può: basta volerlo e riconoscere che stare vicini a chi ci è caro può valere qualche sacrificio nel nostro lavoro e della nostra indipendenza). Qualcuno mi ha detto che ho fatto una sciocchezza, ma ieri sera siamo stati bene: abbia cenato insieme e chiacchierato e tutto sembrava ‘normale’. Quel senso di ‘normalità’ che credo sia la più efficace ‘mascherina’ per tutti quelli rimasti dentro questa grossa prigione e per garantire il quale mi sono infine deciso a partire.
Mio fratello, oppresso dal suo ipertrofico senso di responsabilità, era più scosso, ma confido nelle sue grandi risorse personali, i suoi grandi amici, la sua grande volontà e l’affetto smisurato di Federico, che lo aiutano parecchio. Da parte mia credo di riuscire a ‘impermeabilizzare’ meglio, sia perchè anch’io godo dell’affetto di chi mi circonda, sia perché – alla fine – racconto e mi racconto, osservandomi e immaginandomi come un ‘avatar’ che percorre dei libretti da colorare: dopo ‘Alliboy a Las Vegas’ adesso sto guardando “Alliboy nella zona rossa”. Vi farò sapere come finisce (o ricomincia). Un caro abbraccio a tutti” (Mauro Visigalli – Codogno, 5 marzo 2020).

Quattro gatti in chiesa
Lasciateci/fateci pregare, non siamo contagiosi
di Renato Farina
Libero, 5 marzo 2020
Il virus è razionale. Ha una mira portentosa. Senza tentare Dio obbligandolo a fare miracoli, io credo che le messe, con le opportune precauzioni di distanze, mascherine e amuchina non danneggerebbero nessuno, farebbero del bene. Che sappiamo davvero della potenza del Mistero? Escludere la possibilità della sua efficacia non è affatto razionale: come diceva papa Wojtyla «lo spirituale è reale». Non è affatto oscurantismo consentire allora di sentir messa non solo a chi ci va per costumanza decennale, ma anche a qualcuno che ha bisogno di questo strano refrigerio. il quale non è solo un espediente psicologico per trovare rimedio al panico, ma – chi può escluderlo? – lì accade qualcosa. La vita cristiana, e la sua fraternità e capacità di donazione, nascono dall’Eucaristia. C’è una incommensurabile distanza tra la precauzione, anche estrema, e la negazione di un gesto. È una specie di superstizione al contrario, imposta da una scienza che entra in un campo non suo. Se stai a 1,82 centimetri di distanza, che è la misura di sicurezza certificata per non restare nel raggio della pioggia salivare (droplet), perché non vieti al barista di agitare il cocktail ma al prete di alzare il calice? Se consentii al cameriere di scodellarti la minestra, perché vietare di porgere l’ostia su una mano?
Ha scritto sulla Stampa Andrea Riccardi, che è uno storico serio, nonché in passato ministro di assoluto senso civico: «Il sociologo americano Rodney Stark, scrivendo sull’ascesa del cristianesimo nei primi secoli, nota come fu decisivo il comportamento dei cristiani nelle epidemie: questi non fuggivano come i pagani fuori dalle città e non sfuggivano agli altri, ma, motivati dalla fede, si visitavano e sostenevano, pregavano insieme, seppellivano i morti. Tanto che il loro tasso di sopravvivenza fu più alto dei pagani per l’assistenza coscienziosa, pur senza medicamenti, e per il legame comunitario e sociale. I tempi cambiano, ma le recenti misure sul Coronavirus sembrano banalizzare lo spazio della Chiesa, rivelando la mentalità dei governanti». Solo dei governanti? O anche del popolo di Dio e dei suoi capi?
Quelle di Riccardi sono tesi ragionevoli. Quelle delle autorità, a volte meno. Pretendono di mettersi in mezzo, regolando non le distanze tra i corpi ma quella con il divino che si fa presenza sacramentale. Il prete e i fedeli possono infatti legalmente stare in chiesa insieme, purché giustamente separati tra loro da un metro o due metri, purché nessun gesto di consacrazione sia compiuto. Benedire il pane e il vino? No. Qui c’è un’intrusione nei gesti religiosi, un divieto del Mistero, lasciati passare come nulla fosse, con una certa «pigrizia burocratica», come ha scritto Alberto Melloni su Repubblica. I nostri vescovi paiono infatti timorosi di dire alcunché di sensato, ed è anch’esso un’obbedienza al principio di precauzione onde evitare probabilissime persecuzioni, qualora qualcuno rivelasse di essere stato contagiato durante una celebrazione.
Sarà pure una questione che interessa una minoranza. Ma chi frequenta per costume la messa festiva è una massa di 6-7 milioni di persone. Privarle di qualcosa che in essenza è più prezioso dell’esistenza stessa («La tua grazia Signore vale più della vita», salmo 62), meriterebbe meno frettolosa condiscendenza.
Una cosa ha particolarmente turbato me e tanti altri. Sabato, come d’abitudine, mi sono recato al santuario di Caravaggio. La messa non c’era e lo sapevo. Si stava a debita distanza. Il rosario era detto singolarmente (recitato insieme diventa funzione ed è vietato). Ma accidenti perché i confessionali, in questo «sacro fonte» del perdono dove da centinaia d’anni essi sono sempre aperti, erano tutti chiusi? I preti avrebbero voluto. Invece no. Bisogna tutelare i sacerdoti, d’accordo, e pure i fedeli. In realtà, ci sono le grate, e ci si sente anche a un metro di distanza, ma forse è il sacramento che è infettivo in sé. Mi domando se Dio, visto che adesso che c’è più bisogno, non ci si può rifugiare nel suo perdono, abbia chiuse fino a nuovo decreto Conte le porte dell’Inferno.

Contro il morbo. La forza delle nostre preghiere per «contrastare» l’epidemia
di Antonio Staglianò, Vescovo di Noto
Avvenire, 27 febbraio 2020
È epidemia, non pandemia. Ma il Covid-9 comincia a far cancellare anche i voli verso l’Italia e dall’Italia e a consigliare di non riunirsi, di non aver contatti. I contagiati sono pochi, ma è come se lo fossimo tutti. Si perdono miliardi di euro nelle Borse europee. La paura del tracollo economico e finanziario preoccupa forse di più della stessa salute dei cittadini. ‘Niente allarmismi, niente panico’, si dice. Sono appelli, però, diventati ‘inutili chiacchiere’. Per tanti, troppi, si è creata un’atmosfera quasi bellica. Negozi presi d’assalto per approvvigionarsi di cibo e di quanto dovrebbe proteggere dal coronavirus. La tendenza è a isolarsi nel ‘bunker’ del proprio recinto.
Scuole chiuse per le lezioni. Anche le chiese chiuse per le Messe. Come è possibile? Molti gridano allo scandalo. In questi momenti di particolare difficoltà bisognerebbe pregare di più, celebrare più Messe, magari orientate proprio a contrastare l’epidemia del coronavirus: apposite preghiere per debellare il male. ‘Liberaci dal male’, invochiamo quotidianamente con la preghiera del Padre Nostro. C’è una lunga tradizione della Chiesa cattolica di preghiere e atti di culto per debellare le pestilenze o altre malattie infettive, ma anche per chiedere al Signore dell’universo che mandi la pioggia in tempi di siccità o che non faccia piovere quando l’acqua scende dal cielo a catinelle ed è rischiosamente troppa per i campi e per gli esseri umani. Il Messale romano è ricco di possibilità di scelta per ogni tipo di difficoltà umana. La fede sa bene che Dio non abbandona il suo popolo, anche quando il popolo dovesse abbandonare Dio.
E poi c’è la religiosità popolare delle nostre feste religiose, specialmente al Sud, che ogni anno ricorda i grandi eventi del passato, quando – solo per fare un esempio – a Palermo (1624) infuriava la peste e santa Rosalia apparve in sogno a un cacciatore e a una malata, indicando la via per ritrovare le sue reliquie da portare in processione per la città così finalmente liberata e purificata dal morbo. La devozione per i Santi ‘protettori’ è grande nel popolo cattolico per tutta la Penisola italiana. Qualche anno dopo (1630) accadde che furono i magistrati di Milano a chiedere al cardinale Borromeo di portare il corpo di san Carlo in solenne processione per le vie della città per stornare la minaccia della peste. Conosciamo le perplessità del cardinale Federigo sull’utilità di questa operazione religiosa, sia per questioni di sicurezza (il radunarsi della folla avrebbe aumentato il rischio del contagio) e sia per questioni di fede: nel caso di insuccesso, la gente avrebbe potuto perdere la fiducia nella protezione del Santo.
Oggi più di allora, non si può approfittare della ‘credulità’ della gente per vestire di religiosità (o di anti-religiosità) ‘gesti e tempi’ che hanno così poco (forse, più nulla) a che fare con la fede. Togliere l’acqua dalle acquasantiere, assumere l’eucarestia nelle mani, evitare il segno della pace, sono indicazioni del buon senso che vanno eseguite in momenti del genere, per rispetto dell’altro. Così anche le ordinanze della Prefettura che presiede all’ordine pubblico, vanno obbedite, per rispetto alle persone sempre a rischio. Per cui anche le chiese si possono/devono chiudere e questo non c’entra un fico secco con le ‘ragioni di Stato’ che valgono di più della ‘ragioni di Fede’. La polemica è pretestuosa, anche perché – per una lunga tradizione cattolica – le Messe venivano celebrate dai sacerdoti senza popolo. La dottrina (che è rimasta) è chiara: la Messa del sacerdote è sacramento del sacrifico di Gesù, per cui anche quando non ci fosse nessuno presente, c’è sempre tutto il popolo di Dio cattolico.
Piuttosto la questione seria rimane sempre la fede e risponde all’interrogativo: come crediamo? In che cosa crediamo quando preghiamo? Il cristianesimo che esiste e resiste in società ormai post-cristiane non può non fare chiarezza su questo punto fondamentale della vita del cristiano. Dobbiamo pregare perché Dio ci soccorra in questo momento di precarietà: ‘Abbi cura di noi, perché tutto è così fragile, Amore’. E quali sono le indicazioni che la gente deve chiedere ai pastori, vescovi e sacerdoti in tempi di coronavirus? Lavarsi spesso le mani; evitare contatti con persone che vivono nei focolai del virus; starnutire sull’avambraccio; o anche, sospendere il catechismo e le riunioni programmate con i giovani, questo si chiede ai pastori? Il buon senso qui – a seconda le situazioni – dovrebbe venire in nostro soccorso. Ai pastori bisognerebbe chiedere di più e ciò che attiene alla loro missione di educatori della fede cristiana, per vivere meglio di fede e con la preghiera contrastare l’epidemia. Ai pastori si domanda illuminazione su quanto una certa (falsa) credulità mette in gioco in queste occasioni: ma davvero questo coronavirus è un flagello di Dio, per puni- re la tracotanza umana? Davvero Dio ha bisogno di tante preghiere perché il suo cuore si commuova e venga in nostro aiuto? È vero che solo la preghiera e la nostra insistenza porterà Dio a intervenire e liberarci da questo male? E quali preghiere saranno più efficaci all’uopo? Una catena di trenta Messe per trenta giorni (come le Messe gregoriane) valgono di più di mille rosari?
È certo che dobbiamo pregare, ci mancherebbe altro. Di più e intensamente, senza stancarci mai. E quale sarebbe però l’effetto e la potenza o l’efficacia della preghiera? Una minore diffusione del contagio? Meno morti? Accorciare i tempi dell’epidemia? Eppure, Gesù ha insegnato a pregare e ha detto chiaramente che ‘funzionano’ solo le preghiere fatte ‘nel suo nome’. E allora, come dovrebbero funzionare preghiere rivolte a un ‘dio che non esiste’, tipo il dio tappabuchi, o il deus ex machina o il dio castigatore, tanto meno il dio guerriero. I cristiani devono pregare, ma solo il Dio di Gesù, il Padre del Signore nostro Gesù Cristo che dona lo Spirito, un Dio solo e sempre amore, che non castiga, non si vendica, non manda il dolore e non terrorizza o ‘piega la volontà degli esseri umani con flagelli come il coronavirus’. Preghiere rivolte a questo Dio, mettono nella condizione di pregare nel nome di Gesù, cioè fanno come lievitare chi prega verso Dio, raggiungendo il suo cuore e, da lì, fanno vedere con gli occhi stessi di Dio il dolore e la sofferenza di quanti soffrono (anche prima del coronavirus) tutti i dolori del mondo, frutto delle ingiustizie umane che inchiodano ancora Dio in una sorte di croce eterna in Dio stesso.
Dall’Agnello sgozzato, presente in Dio, emana una luce che può illuminare tutti gli uomini di buona volontà a vivere d’amore, perché solo l’amore è il frutto di una preghiera potente: l’amore che è luce per le intelligenze degli scienziati che scopriranno presto l’antidoto; l’amore che è apertura del cuore di tutti, cioè disponibilità a condividere il dolore di altri e non rinchiudersi in sé stessi, cercando di salvarsi da soli, ma offrendo il proprio contributo. Magari, è già successo, anche a rischio della vita. Come ai tempi della Sars fece il medico italiano Carlo Urbani.

Foto di Aldo Maria Valli.

Postscriptum

Se l’isolamento torna a essere un valore
di Aldo Maria Valli
Duc in altum, 5 marzo 2020
Ho sempre pensato che il buon Dio, oltre che onnipotente, sia anche sottilmente ironico. E in questi giorni ne abbiamo la conferma.
Tempo fa il Vaticano ha emanato, con un paio di documenti, nuove norme per coloro che fanno vita contemplativa, i monaci e le monache che vivono nei monasteri. Si tratta di documenti tutti tesi a stravolgere il monachesimo nel nome dell’apertura, del rinnovamento e dell’aggiornamento, secondo l’idea che starsene chiusi entro quattro mura, in preghiera, sia sostanzialmente inutile, perché ciò che conta è l’impegno sociale. Di qui anche l’idea balzana che le monache debbano addirittura uscire dai conventi per frequentare corsi di aggiornamento, manco fossero manager in carriera.
Su questo stravolgimento ho scritto un librino, intitolato Claustrofobia, nella cui introduzione una monaca di clausura (costretta all’anonimato) parla di “sterminio silenzioso” della vita contemplativa, un crimine premeditato da chi, non credendo nella potenza del divino, ha la pretesa di imporre la propria visione tutta orizzontale della vita religiosa, ridotta ad assistenzialismo sociale.
Del resto, conosciamo gli slogan della “Chiesa in uscita”: apertura, accoglienza, ponti e non muri eccetera.
Ma ora ecco che sulle nostre città e sulle nostre contrade si abbatte, inattesa, un’epidemia, ed ecco che, all’improvviso, scopriamo che per difenderci, per cercare di ostacolare l’assalitore, la ricetta non sta certamente nell’apertura, bensì nella chiusura. Vietato avere contatti ravvicinati, vietato toccarsi, vietato stare in gruppo. Meglio l’isolamento, meglio starsene in casa e limitare le uscite allo stretto indispensabile. Certo, non è una chiusura liberamente scelta e abbracciata come nel caso delle claustrali, ma l’indicazione resta chiara: a volte i muri servono, eccome, e serve starsene al riparo. Se i ponti sono importanti, anche i muri hanno una loro funzione per niente trascurabile e, anzi, nei momenti difficili, di “emergenza” come si dice oggi, sono proprio i muri quelli che ci permettono di difenderci.
I documenti di cui sopra vogliono combattere, o quanto meno annacquare, l’isolamento, considerato un male perché allontana dai problemi della società. Si vuole ignorare che proprio nell’isolamento dei monasteri, da parte di uomini e donne che cercavano Dio, la cultura classica fu conservata e trasmessa a noi moderni. Si vuole ignorare che proprio nei monasteri sopravvisse la scienza medica, in grado di assicurare assistenza e cura durante carestie e pestilenze.
E ora, nel momento della difficoltà, isolamento e separazione tornano improvvisamente a essere valori, non disvalori. E il chiudersi, il trincerarsi, diventa legittima forma di protezione.
Ecco perché parlo di sottile ironia del buon Dio, che trova sempre il modo di mescolare le nostre povere carte, mostrandoci quanto siamo stolti nella nostra pretesa di fare a meno di lui.
“Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, e pone nella carne il suo sostegno, allontanando il suo cuore dal Signore… Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia” (Ger 17,5-10).

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