Esercizi spirituali: Gesù ha vinto il mondo

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Ad Ariccia continuano gli esercizi spirituali, predicati da p. Pietro Bovati, seguite anche da papa Francesco da santa Marta, incentrando la riflessione spirituale sull’episodio del ‘vitello d’oro’, in quanto “in noi ci sono fenomeni di cecità, di idolatria, che è essenzialmente una mancanza di fede nel Signore Gesù, l’incapacità di vivere davvero affidandoci a Lui”.

Al centro della riflessione è il peccato non come trasgressione alla legge di Dio, ma come ‘mancanza di fede’. Infatti il primo precetto del Decalogo fa riferimento a non farsi altri idoli, però l’idolatria rimane ‘un peccato capitale denunciato in tutta la tradizione dell’Antico Testamento’. Il peccato non riconosciuto è ‘una cecità gravissima’, che affligge la coscienza, proprio perché non la si riconosce, come si narra nel vangelo di Giovanni: “Siccome dite: ‘Noi vediamo’, il vostro peccato rimane”.

A questo punto p. Bovati ha sottolineato che se non si riconosce il peccato, esso non può essere guarito: “E’ il peccato che non può essere guarito, perché non è riconosciuto, e assomiglia quindi al peccato contro lo spirito, senza rimedio”. Il passo giovanneo è una critica serrata all’ipocrisia degli scribi ed anche dei farisei, gli osservanti che si presentavano al popolo come modelli da imitare.

Per il gesuita l’ipocrisia è menzogna, perché sostituisce l’agire buono con l’apparenza della bontà, stravolge la pratica devota perché invece di essere ‘a gloria di Dio’, è indirizzata all’esaltazione e all’onore dell’uomo. L’ipocrisia non sa giudicare, non sa cosa sia il vero discernimento; è cieca, non conosce la giustizia, la misericordia, la fedeltà, identifica il bene con pratiche e adempimenti materiali.

Quindi la vicenda del ‘vitello d’oro’, narrata al cap. 32 dell’Esodo al capitolo 32 sottolinea la negazione di Dio da parte del popolo; proprio da questo “vengono tutti i mali, perché non si ascolta più la voce del Signore, ma si producono distorsioni di varia natura proprio perché ciascuno si fa il suo dio, si fa la sua legge, si fa la sua beatitudine”.

Anche nella Lettera ai Romani, san Paolo mostra come il fatto di non riconoscere più Dio come Dio è il principio di tutta la disgregazione in ambito interpersonale, nelle relazioni sessuali e causa dei disordini violenti che investono la società.

Attualizzando il racconto per il predicatore il vitello d’oro è presente anche oggi nella nostra società, sottolineando l’importanza dell’immagine pubblica nel mondo virtuale in cui viviamo e a quando magari si diventa followers di un oggetto idolatrico: “Non bastano le cerimonie ben fatte, se esse non sono fondate sull’autentica preghiera che è prima di tutto ascolto di Dio”.

Il biblista ha terminato la meditazione con la citazione alle tentazioni nel deserto da parte del diavolo, in cui Gesù esce vittorioso e ci insegna la strada per superare la nostra cecità: ‘Abbiate coraggio. Io ho vinto il mondo’.

Però l’idolatria è data dalla paura ‘perché si sente essere di polvere’ e l’antidoto contro questa paura non è ‘un contentino’ calibrato su generici ‘valori umani’, ma è solo e soltanto la Parola di Dio che irrompe nella storia degli uomini e li incoraggia concretamente, indicando la rotta per ‘la traversata notturna’, senza scorciatoie o bacchette magiche.

Attualizzando il testo dell’Esodo, padre Bovati ha fatto presente che ‘l’idea di Dio’ non è quella della scorciatoia facile: ‘il cammino è lungo e, anzi, apparentemente contraddittorio’, vedendolo proprio nella vicenda di Mosè.

Proprio per questo c’è bisogno del ministero dell’incoraggiamento: “Il primo, fondamentale servizio dell’uomo di Dio consiste non nel rimproverare, accusando di viltà, incoerenza, ingratitudine, stoltezza; e nemmeno nell’abbandonare i pavidi scegliendo solo quelli più coraggiosi, considerando chi ha paura inadatto all’impresa spirituale… la missione dell’uomo di Dio è dare forza a chi è incerto, infondendo coraggio mediante la fede in Dio, facendo cioè che il cuore confidi nel Signore, nella sua presenza e nel suo intervento”.

L’incoraggiamento alla speranza “è un ministero prima di tutto misericordioso, perché è il cammino che porta verso la vita. Ma è misericordioso anche perché sorregge chi ha poca fede, chi vacilla, chi ha paura di soccombere…

Questo braccio teso verso il braccio debole dell’incerto, dell’incredulo, del debole è compito anche della carità apostolica, perché questo è il cammino della figura ‘esodale’: che il braccio di Mosè diventi il braccio del servitore di Dio, che possa dare, come ministro dell’Altissimo, salvezza alla storia umana”.

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