“Bigottismo” e “ipocrisia” in tempi di Coronavirus. Homo homini lupus, in una settimana

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“Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi con l’inclemenza del tempo” (Nicolás Gómez Dávila). Winter is coming…

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In questi giorni ne abbiamo parlato più volte, non solo in riferimento del Coronavirus, di “bigottismo” e “sepolcri imbiancati”, di falsità e ipocrisia in generale, con la stessa baldanza di un Tombolo Dondolo qualsiasi, con questa sorta di auto-esaltazione di essere nel giusto sempre e comunque). Stasera segnalo – su questa identica scia – una “Social Note”, un intervento sull’attualità, breve ma molto significativo, di Marco Brusati, con una riflessione generale a partire da una sua vicenda personale (sono cose che vivo anch’io e – ne sono certo – non pochi tra i miei lettori… e non le vivo solo oggi, ma oggi si esprime). Lo condivido insieme alla foto, ancora più significativo.

La massima che “l’uomo è un lupo per l’uomo” è derivato dall’Asinaria di Plauto (“lupus est homo homini, non homo”), che vuole alludere all’egoismo umano. La condizione dell’uomo riassunto in questa massima è stato assunto dal filosofo Thomas Hobbes, nella sua opera “De cive”, per descrivere come la natura umana è fondamentalmente egoistica e che gli uomini si combattono per l’istinto di sopravvivenza e di sopraffazione. Egli nega che l’uomo possa sentirsi spinto ad avvicinarsi al suo simile in virtù di un amore naturale e ritiene che gli uomini si legano tra loro in amicizie o società, regolando i loro rapporti con le leggi, solo per timore reciproco. Nello stato di natura, cioè uno stato in cui non esista alcuna legge, ciascun individuo, mosso dal suo più intimo istinto, cerca di danneggiare gli altri e di eliminare chiunque sia di ostacolo al soddisfacimento dei suoi desideri. Ognuno vede nel prossimo un nemico. Da ciò deriva che un tale stato si trovi in una perenne conflittualità interna, in un continuo bellum omnium contra omnes, nel quale non esiste torto o ragione (che solo la legge può distinguere), ma solo il diritto di ciascuno su ogni cosa (anche sulla vita altrui). Fuori dall’ambito strettamente filosofico, al giorno d’oggi la massima homo homini lupus è usata per indicare la malvagità e la malizia dell’uomo.

CoronaVITIUM: da gregge a branco in una settimana
di Marco Brusati
Marcobrusati.com/Social Notes, 28 febbraio 2020

«Ghe lo sül goss»: in dialetto lodigiano [che non contagia, state tranquilli] letteralmente significa «ce l’ho in gola» e viene usato in riferimento a quelle cose che non vanno giù e che alla fine bisogna tirare fuori. 

«Ghe lo sül goss» e lo tiro fuori: il coronaVIRUS si è trasformato in  coronaVITIUM, che sta affondando le relazioni umane anche quelle a rischio-contagio prossime allo zero. La mia esperienza? Pur non vivendo [ovviamente] dentro la zona rossa e abitando in area metropolitana di Milano [che è aperta e dove si gira], mi stanno disdicendo inviti ad andare anche dove non vige il divieto di riunione, anche in zone lontane dal cosiddetto contagio, nella logica del «è di quelle parti e non si sa mai». Ben sapendo che l’appello alla ragione in tempi di paura non sortisce alcun effetto, faccio umilmente notare che «è di quelle parti» in Lombardia non significa nulla, giacché da una parte all’altra della Regione c’è più distanza di quella che intercorre tra Roma e Napoli. Detto questo, purtroppo, devo constatare che le disdette arrivano anche da dentro quegli «ambienti cattolici» in cui svolgo principalmente la mia missione. Spiace dirlo, ma questa è la strategia del branco da cui il «soggetto debole» viene allontanato e condannato a crearsi, se ce la fa, il suo gruppo [i malati, gli untori, i contagiati]; un gruppo che – si badi bene- crescerà come branco antagonista di quello che l’ha escluso: questo per capire il piano inclinato in cui ci si è messi, complice anche una  campagna di comunicazione con errori da prima elementare. Pure l’accaparramento e lo svuotamento dei supermercati è assimilabile alla conquista del territorio e del cibo-in-esclusiva propria del branco: anche in questo caso conosco diversi «compagni di Messa» che si sono precipitati a fare scorte, «non si sa mai che resto io senza cibo». 

Dunque, siamo passati da gregge a branco in una settimana: si tratta di un’interessante questione sociologica ed ecclesiale, da trattare per bene in futuro.

Mi sia infine consentita una considerazione conclusiva: quando ritornerà la normalità della vita, ritorneranno pure i discorsi, da ogni cattedra e pulpito, sulla non-discriminazione per le più diverse aggregazioni umane, con una credibilità che sarà tutta da ricostruire, se mai si potrà. Ad oggi di questi discorsi non se ne sentono. E solo Dio sa – anche con le chiese chiuse- quanto ne avremmo bisogno.

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“Wehrlos, doch in nichts vernichtet – Inerme, ma in niente annientato” (Konrad Weiß, Der christliche Epimetheus).

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