II Coronavirus ci ha stufati. Prudenza, non terrore. Si torni a vivere e ridateci la Santa Messa!

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Non seppelliamoci prima di morire. Non è la pesta, non è l’Apocalisse, è un’influenza.
Non guasta una rinfrescata di memoria storica e qualche riflessione dell’amico e collega Renata Farina su Libero di ieri e oggi, 27 e 28 febbraio 2020. Partiamo da un precedente: l’influenza asiatica del 1957, che fece morire 30 mila italiani, mentre nel mondo ci furono fino a 2 milioni di vittime. Una ecatombe. Ma la gente reagì senza il panico e le esagerazioni che vediamo oggi per un morbo del tutto simile. Oggi, l’Italia tenta di lasciarsi alle spalle il Coronavirus. I nuovi contagi diminuiscono e i guariti aumentano. Successo dei medici, che trovano il ceppo che ha infettato la Lombardia. La prevenzione è giusta, ma non possiamo rinunciare a vivere per timore di ammalarci di influenza. Si torni a vivere. E soprattutto, ridateci la Santa Messa!

Non abbiamo memoria storica: l’insegnamento dalle pandemie influenzali del passato

“Ne ha uccisi più la Spagnola che la guerra”, recita un vecchio proverbio. Cento anni dopo, la pandemia influenzale che nel 1918 contagiò un terzo della popolazione mondiale e fece 50 milioni di vittime ha ancora qualcosa da insegnare.
Una pandemia influenzale è un’epidemia di virus influenzale che si espande su scala mondiale e infetta una grande porzione della popolazione umana. A differenza delle regolari epidemie stagionali le pandemie avvengono irregolarmente e ne compaiono circa tre ogni secolo. Il fatto che sia dichiarata pandemia non vuol dire che sia una patologia grave, dato che tale definizione non prende in considerazione il livello di gravità. In alcuni casi possono provocare alti livelli di mortalità, come testimoniato dalle ultime pandemie influenzali che sono avvenute nel XX secolo: l’influenza spagnola del 1918-20 che causò oltre 50 milioni di morti, l’influenza asiatica del 1957-60 che causò circa 2 milioni di morti, l’influenza di Hong Kong del 1968 con basso indice di mortalità.
Le pandemie avvengono quando un nuovo ceppo del virus dell’influenza viene trasmesso all’uomo da un’altra specie animale. Le specie importanti nell’insorgenza di un nuovo ceppo umano sono i suini, le galline e le anatre. Questi nuovi ceppi non sono ostacolati dall’immunità delle persone che hanno contratto precedenti ceppi, e quindi si possono spargere rapidamente ed infettare moltissime persone. I virus di tipo A possono occasionalmente essere trasmessi dai volatili selvatici ad altre specie provocando focolai nel pollame domestico e potrebbero anche generare pandemie nell’uomo.
L’OMS ha avvertito che esiste un sostanziale rischio di pandemia entro i prossimi anni. Uno dei virus candidati più importanti è una variante altamente patogenica del sottotipo H5N1 del tipo A. Attualmente sono in sviluppo dei vaccini contro i sottotipi più sospettati, tra cui H5N1, H7N1 e H9N2.
Influenza spagnola (1918-20)
La pandemia del 1918 (una foto dell’epoca in copertina), a cui si riferisce col nome di Influenza spagnola, è stata considerata di categoria 5, ed è stata provocata da un ceppo insolitamente violento del sottotipo H1N1 del tipo A. Molte delle sue vittime furono adulti giovani e in salute, a differenza di molti focolai di influenza che colpiscono principalmente i soggetti molto giovani, anziani o malati. Viene stimato un numero totale di oltre 50 (con stime fino a 100) milioni di vittime. Fu descritta come il “maggior olocausto medico della storia” e uccise tante persone quante furono le vittime della peste nera.
Influenza asiatica (1957-58)
L’influenza asiatica fu una pandemia influenzale di origine aviaria di categoria 2, che negli anni 1957-60 fece circa due milioni di morti. Fu causata dal sottotipo H2N2 del tipo A, isolato per la prima volta in Cina nel 1954. Nello stesso anno fu preparato un vaccino che riuscì a contenere l’epidemia. Si sparse dalla Cina all’inizio del 1956 e durò fino al 1958. Il ceppò originò da una mutazione avvenuta nelle anatre selvatiche in combinazione con un ceppo umano già esistente. Il virus venne identificato per la prima volta nella provincia cinese di Guizhou. Raggiunse Singapore nel febbraio 1957, Hong Kong ad aprile e gli Stati Uniti d’America a giugno. Le stime mondiali di decessi variano tra 1 milione e 4 milioni.
Influenza di Hong Kong (1968-69)
L’influenza di Hong Kong viene considerata di categoria 2 ed è stata provocata da un ceppo del sottotipo H3N2 derivato dall’H2N2 tramite il meccanismo dello spostamento antigenico. Con questo meccanismo, i geni di diversi sottotipi si possono riassortire per formarne uno nuovo. La pandemia, che si svolse tra il 1968 e il 1969, infettò 500mila persone con un basso indice di mortalità. Negli Stati Uniti furono infettate 50 milioni di persone, con 33mila morti.
Influenza suina H1N1 del tipo A (2009)
Denominata inizialmente influenza suina, perché trasmessa da questo animale all’uomo, ha avuto origine inizialmente in Messico nel marzo 2009, estendendosi in breve tempo a più di 80 Paesi. L’OMS ha deciso di dichiarare la prima Pandemia Influenzale del nuovo secolo, non tanto per la gravità della malattia che fino ad ora è considerata di modesta gravità, ma per la difficoltà di contenere il virus essendo questo facilmente trasmissibile. Per il momento si sta monitorando il virus cercando di sviluppare un vaccino efficace entro l’autunno del 2009, dove la possibilità che questo nuovo agente patogeno si combini con quello dell’influenza stagionale, o peggio con altri virus aviari, potrebbe peggiorare notevolmente la situazione.
Influenza aviaria H5N1 del tipo A
Il sottotipo H5N1 del tipo A è nota come influenza aviaria. È un sottotipo endemico in molte popolazioni di volatili nel sudest asiatico. Un ceppo particolare epizootico e panzootico ha ucciso decine di milioni di volatili e provocato la soppressione di centinaia di milioni di altri volatili nel tentativo di contenere il virus. Non esiste alcuna prova di una trasmissione efficiente da uomo a uomo o di trasmissione aerea all’uomo del ceppo H5N1 del tipo A. In quasi tutti i casi, i soggetti infettati ebbero contatti stretti con volatili infetti. Il 60% degli esseri umani che vennero infettati morirono e il virus potrebbe mutare o subire un riassortimento genetico in un ceppo in grado di trasmettersi efficacemente. L’influenza aviaria rappresenta uno dei potenziali maggiori rischi di una pandemia mondiale di influenza. I governi di tutto il mondo stanno compiendo ricerche per sviluppare vaccinazioni pre-pandemia in modo da evitarla. Lo scopo consiste nel produrre un vaccino entro tre mesi dopo l’insorgenza del virus, creando almeno un miliardo di dosi entro un anno dall’identificazione del ceppo.

IL PRECEDENTE
L’influenza asiatica del 1957 che fece morire 30mila italiani
Nel mondo ci furono fino a 2 milioni di vittime. Una ecatombe. Ma la gente reagì senza il panico e le esagerazioni che vediamo oggi per un morbo del tutto simile
di Renato Farina
Libero, 27 febbraio 2020
H2N2! Dice qualcosa questa sigla? Impariamola. Venerdì 4 ottobre del 1957 a pagina 2 dell’Unità apparve questo titolo: «Quattordici morti per l’influenza asiatica in soli tre giorni nella provincia di Roma». Il ritaglio dell’Unità documenta che in quei primi giorni di ottobre, nella sola zona della capitale, i casi di contagio erano stati 4.728. Non basta, la campana suona anche per «altri decessi ad Alghero, Brunico e Pratola Peligna». Da Nord a Sud, la misteriosa Asiatica non dà tregua. «Sempre grave l’epidemia in Sicilia». Si cita la provincia di Lecce con «3mila casi accertati». Questa la cronaca densa di altri numeri «preoccupanti». Un corsivo senza firma dà la linea ai compagni comunisti, criticando ovviamente il governo reazionario: «Si doveva e si poteva», tuona la retorica. Che cosa? Fermare il virus. Una domanda però: perché a pagina 2? Cadevano giovani e donne incinte come birilli, investiti dall’H2N2 di origine cinese, e invece l’opposizione si attestava sul minimo sindacale. Oscurantismo? Magari era un’altra dirigenza politica. Non apparve nel telegiornale unico della Rai alcun presidente del Consiglio con la faccia sconvolta. In quel momento a Palazzo Chigi c’era Adone Zoli, guidava un monocolore scudocrociato. Mandò avanti, non in tivù ma in Parlamento, un senatore della Valsugana, Angelo Mott (Alto commissariato Igiene e Salute), con il nome tronco, spiccio, l’italiano pulito e ordinato come la sua barba da alpino. Stiamo preparando il vaccino. Abbiamo chiuso le scuole elementari dove necessario. In una certa percentuale dei casi attacca i polmoni. E purtroppo registriamo dei morti. Casino universale? Assalto alle botteghe e alle drogherie? Nulla di tutto questo. Panico zero, paura moderata. In quale epoca una madre non ha dovuto aver timore per il destino dei propri figli?
PEGGIO DEL COVID-19
Uno potrebbe dire: c’è influenza e influenza. D’accordo. Ma i primi riscontri su velocità e letalità dicono che l’H2N2 si prospettava come una bestia ben peggiore del Covid-19, di cui è un progenitore. Influenza asiatica, oibò, e che sarà? Nei libri di storia, e dai nonni o bisnonni, abbiamo letto o sentito parlare del flagello della «spagnola» che mieté dieci milioni di vittime nel mondo, e portò via tanti nostri antenati (mezzo milione). Ma l’asiatica chi ce l’ha mai raccontata? In questi giorni nessuno. Eppure tra il 1957 e 1958, secondo l’Enciclopedia Britannica e l’archivio scientifico della Bbc, essa causò «tra un milione e due milione di morti». Una forbice larga, direbbe Nicola Piepoli. L’incertezza si spiega con il mistero della Cina, dove l’H2N2 si combinò con la carestia provocata da Mao Zedong per «il balzo in avanti» (nella fossa del comunismo). In Occidente si può lavorare con maggiori sicurezze statistiche. Da cui si ricava che il record di decessi tra i Paesi sviluppati fu appannaggio degli Usa: a tutto il marzo del 1958 gli americani avevano già seppellito 69.800 persone nei loro bei cimiteri. Diecimila morti in più di quelli che avrebbe provocato nel decennio successivo tra i giovani yankee la guerra in Vietnam. E in Italia? Proporzionalmente, rispetto al numero degli abitanti, andò peggio. Ricercando nelle emeroteche elettroniche, si scopre l’unica cifra ufficiale disponibile. L’8 maggio del 1958, il Corriere della Sera diede notizia dell’ecatombe in un trafiletto di 37 righine, a pagina 9, con un titolo ad una colonna: «Oltre trentamila morti per l”‘asiatica” in Italia». Sommario: «L’epidemia ha colpito 28 milioni di persone». Si riepilogava una relazione del «prof. Bevere dell’Alto commissariato per l’Igiene e la Sanità». La stima del governo era questa: a risultare graffiato dalla forma influenzale H2N2 era i1 57 per cento della popolazione (appunto 28 milioni), anche se i casi denunciati – presumibilmente quelli gravi – erano stati due milioni. Ed ecco il numero tremendo: il contagio che era stato letale precisamente per 30.684 nostri concittadini. 11 numero era stato ricavato considerando l”‘eccedenza” di decessi rispetto all’identico periodo ’56-’57. Una cifra per difetto nel computo totale, perché l’H2N2 torno poi ancora nell’inverno del 1960.
«AUSTRALIANA»
È molto istruttivo scorrere le pagine del Corriere della Sera e del Corriere d’Informazione nel periodo tra agosto 1957 e fino al marzo 1960 (in quell’anno olimpico era stata definita australiana, infine ritornò al nome originario). Colpisce che mai si sia data la prima pagina all’Asiatica e tanto meno l’apertura. Stupisce maggiormente il quotidiano del pomeriggio di Via Solferino, che dovrebbe essere sulla carta scandalistico, ma non usa mai caratteri cubitali per incendiare lo spavento. 11 18 settembre propone un titolo a due colonne, taglio basso: «Ventimila soldati colpiti dall’asiatica». Poi nel sommario spegne subito il falò della terrore: «Sedici mila hanno già ripreso servizio – Solo tre casi mortali». Solo! Scrivono solo! Immaginate tre soldati morti oggi di Coronavirus. Conte avrebbe fatto arrestare tutti i medici dell’ospedale militare del Celio. 11 ministro della Difesa, Paolo Emilio Taviani, diffuse in trasparenza questi dati in un comunicato: nessuna mamma, dopo averlo letto sul Corriere, andò a prendere il figlio fuori della caserma, urlando si salvi chi può, crepiamo tutti! Evitare contatti, non assembrarsi, fidarsi dei medici. Prudenza. Le notizie ci sono tutte. Ma nelle pagine interne. 11 Corriere della Sera a pagina 7, solite due colonne, scrive «Quindicimila romani colpiti dall’asiatica”. Tre morti sospette. L’epidemia si amplia in modo preoccupante». Quindici morti a Torino, cinquecento casi al giorno sotto la Mole (13 e 16 ottobre). Panico mai. Una corrispondenza da Ginevra, una colonnina in basso, sancisce: «La psicosi della paura più grave della malattia». A pagina 5 un racconto dove trapela un lieve inopportuno godimento perché «la marina da guerra inglese è fuori combattimento per l’asiatica». C’è anche un articolo spedito da «Londra, 2 ottobre notte: II principe Carlo a letto con l’influenza». Ci rompeva le scatole con il suo gonnellino sin da allora.
TEMPRA PERDUTA
Voltiamo pagina su pagina, finché ci commuoviamo ancora adesso leggendo nella cronaca milanese: «Tre morti per l’influenza asiatica: un martinitt (un orfano, ndr), una bimba, una vecchia» (7 ottobre 1957, pagina 4). Sembrano davanti a noi, pallidi, nessun aggettivo. Drammatica sobrietà. Eppure di quell’epopea non si ricorda nulla, a scuola e in famiglia. Non se ne tramanda una memoria orale e neppure scritta. Forse perché quella generazione, appena uscita dalla guerra, non aveva cosi paura di morire, da scrivere il diario dei suoi tremori e dei suoi lamenti. Eravamo noi italiani gente più seria. Politici e giornalisti compresi. Magari sarà il caso di imparare dalla vigoria che manifestò quell’Italia che non si faceva fermare da un microbo stronzo, e procedeva con una voglia di lavorare e di creare futuro che è il miglior antidoto al panico. 11 terrore è figlio della stupidità e di un’idea della vita infettata dal culto dell’amuchina. Un’altra classe politica, da destra a sinistra, carogne certo, alcuni ladri, senz’altro. E però senza volti compunti di ministri ad uso televisivo, senza accuse farneticanti a medici e infermieri, propalando come ha fatto il premier Giuseppe Conte la certezza universale che l’untore del Coronavirus sia un ospedale della Lombardia. Ripassiamo la lezione degli anni 50. Quella tempra si è proprio irrimediabilmente perduta?

II virus ci ha stufati: si torni a vivere
LA NORMALITÀ È VICINA NON SEPPELLIAMOCI PRIMA DI MORIRE
L’Italia tenta di lasciarsi alle spalle il Corona. I nuovi contagi diminuiscono e i guariti aumentano. Successo dei medici, che trovano il ceppo che ha infettato la Lombardia
II Paese ha bisogno di liberarsi dai ceppi di questa sorta di coprifuoco che rischia di soffocarlo: la prevenzione è giusta, ma non possiamo rinunciare a vivere per timore di ammalarci di influenza. E ora, reintegrato l’aperitivo, ricominciamo a brindare all’esistenza
di Renato Farina
Libero, 28 febbraio 2020
Ieri nuove vittime, certo. Però 45 malati guariti. Oggi ci va di sottolineare il secondo dato. Non è la peste, è un’influenza. A quanto pare meno assassina dell’asiatica (1957-1960). Basta così, abbiamo dato abbastanza nel settore paura. Vade retro amuchina. Va bene l’antico vezzo dell’acqua e sapone, che da noi è abbastanza tradizionale. E per passare allo spagnolo di Manzoni: «Adelante Fontana e Sala, con juicio». Procedete nel togliere le sbarre alla nostra galera. Una per volta levatecele, prudentemente, ma agite. La linea da adottare è quella del buon senso. Nella ottusità governativa, segnaliamo come mossa profetica quella di aver cancellato l’assurdo divieto di tenere aperti bar e (…) (…) pub dopo le 6 della sera Era una misura da coprifuoco: oscuramento e impannate con il telo blu per non rivelare la nostra posizione al nemico, ma soprattutto niente aperitivo. Non è che il Covid-19 prende la mira se vede le luci accese tale e quale i bombardieri nell’agosto del 1943, e diventa invidioso e vendicativo se la gente alza i calici all’imbrunire come i leoni con le gazzelle all’abbeverata. Non credo siano stati gli scienziati a decidere l’immunità a orari fissi per l’aperitivo, per cui l’Aperol, innocuo un’ora prima, diventa contagioso alle 19. Ci aspettiamo la medesima apertura mentale per consentire di nuovo le messe coram populo e i funerali pubblici, da anni quasi tutti spicci e desertificati. Non è che i morti sono contagiosi, essendo chiusi nelle casse. Che senso ha, diciamo francamente, dare il sospirato permesso ai camerieri di officiare dietro il bancone scuotendo e mescendo cocktail alla clientela, e invece impedire al prete di alzare per la consacrazione il calice del vino che tra l’altro non offre neppure ai fedeli? Ora riapre il Duomo ai turisti, sia pure a singhiozzo. Buon segno, ma un po’ troppo modesto.
RIDATECI LA MESSA
La Chiesa si è messa immediatamente al passo con le disposizioni restrittive, e ne ha ricavato anche un utile insegnamento da questo obbligatorio digiuno. Ma ha forse accettato con troppa facilità il concetto che il banco dell’altare sia più contagioso di quello del bar sport. Sono molto più affollati i locali della movida di tante chiese. E lì appunto ci si muove parecchio, come dice la parola stessa. Durante le funzioni basta evitare di tossire in faccia al prossimo, sospendere la stretta di mano, un gesto di cui i cattolici per 1950 anni hanno fatto a meno senza grandi danni. Ci pensino le autorità competenti. Chiudere le chiese alle messe e consentire l’assalto di masse a contendersi fazzolettini e disinfettanti agli scaffali, ma anche pasta e zucchero, è quanto di più stupidamente propagatore di terrore esista. 11 caso è personale, ma tutti i casi sono personali. Una carissima amica, avendo avuto il rene trapiantato, deve stare lontano da code e assembramenti di ogni genere. Dunque niente Esselunga o Carrefour. Ha prenotato per interne il cucca e prendi. Le hanno risposto che la merce ordinata martedì avrebbe potuto ritirarla domenica. La buona samaritana di mia moglie si è offerta di prendere il suo posto nella bolgia. Magari era meno pericolosa una benedizione del parroco o no? La parrucchiera già strozzata da tasse e affitto, in una settimana ha arricciato i capelli di quattro signore. Dice: due settimane così e chiudo, poi chi mi mantiene? Reddito di cittadinanza? Non è mica una divanista. E della Brianza! Per una volta stiamo con il sindaco Beppe Sala. Riapriamo Milano. Se sta chiusa ancora per una settimana Milano, chiude l’Italia. E un lusso che gli italiani non possono permettersi, specialmente al Sud. E – scusate la superbia – sarebbe un disastro per l’Europa intera. Non si tratta di mollare le difese contro l’infezione. Bensì di non spezzarci la spina dorsale con un’armatura così pesante da fard stramazzare a terra. Alleggeriamola. Tra rischiare di ammalarsi di Covid-19 e la certezza di seppellirci sani sotto le rovine dell’economia e della vita sociale, oggi scegliamo l’opzione numero uno. Ci accodiamo a quanto riferito da Attilio Fontana: «E un’influenza, ne abbiamo viste di peggio».
PRUDENZA, NON TERRORE
Bisogna che le città del Nord Italia, oggi costrette all’inazione, siano con prudenza, gradatamente ma sicuramente, liberate dai ceppi del sanatorio, aprendo qualche porta di un lazzaretto che toglie il fiato e le energie. Il Nord è il caso sia lasciato alla consueta produzione quotidiana di endorfina, esito della lena mattutina, che anche alle medie inferiori insegnano costituire una barriera contro la malmostosità dei virus. Ah già, che le scuole medie sono chiuse, e le lezioni sospese, anche se è noto che i ragazzini si ammalano di tutto ma non di quest’influenza. C’è una perdita d’acqua, e questi chiudono il gas. Riapritele queste scuole. Allarme finito? II «Vade retro virus» della prima pagina di domenica scorsa resta ben fisso nella nostra testa e nelle nostre prudenze, ma è il caso si aggiunga una postilla. Non montiamogli la testa, a questo Coronavirus. Se ha la corona non è quella del re, e neanche quella del rosario, ma è un pirla di virus qualsiasi. Non possiamo consentirgli di terrorizzarci, rubandoci la vita prima di morire. Abbiamo accettato e accetteremo ubbidienti provvedimenti per la sicurezza e la salute, ma la politica deve evitare di usare il cannone contro un moscerino: il Covid-19 non è il drago dell’Apocalisse. Lunedì la metro di Milano era popolata da rari fantasmi con la mascherina. Roba da paura. Io che ho la barba bianca, dunque catalogato come anziano, pertanto o moribondo o pericoloso, ero guardato a vista da congrua distanza. Ieri pomeriggio i convogli della rossa e della verde erano finalmente meno deserti, solo un paio di giovanotti avevano il pannolino (non trovo un altro sinonimo, pardon) sulla bocca. Usciamo di casa, con circospezione, ma anche con un po’ di baldanza.

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