In principio era il caos in Vaticano. Obolo di San Pietro “opaco”. Mons. Perlasca indagato. Altri tremano

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Ieri, a seguito degli interrogatori dei cinque funzionari della Santa Sede, indagati e sospesi nell’ambito dell’inchiesta giudiziaria sugli investimenti finanziari e immobiliari, finalmente la magistratura vaticana è giunta a Mons. Alberto Perlasca. Nel corso della perquisizione nel suo ufficio e nella sua abitazione, eseguita ieri dal Corpo della Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano, sono stati sequestrati “documenti e apparati informatici”.

Il conferimento della Cittadinanza onorario di Greccio a a Mons. Alberto Perlasca il 7 ottobre 2018. Ancora tempi di gloria.

L’inchiesta della magistratura vaticana in corso, è il risultato delle denunce frutto di attività già svolte da organismi finanziari e di controllo vaticani, lo IOR-Istituto per le Opere di Religione e il Revisore generale. In particolare, tutto ruota attorno all’acquisto di un immobile di lusso londinese per 200 milioni da parte della Prima sezione (per gli Affari generali) della Segreteria di Stato – che gestisce una cassaforte stimata in 700 milioni di Euro, tra cui ma non solo i fondi dell’Obolo di San Pietro – attraverso una complessa operazione, in cui inizialmente era coinvolto il finanziere Raffaele Mincione, da cui poi la Santa Sede ha acquisito la quota restante del cespite attraverso un altro finanziere che opera da Londra, Gianluca Torzi.

Il Financial Times nella sua edizione online di fine ottobre 2019 ha scritto, che Giuseppe Conte, poco prima che diventasse Presidente del Consiglio dei Ministri, era stato ingaggiato dal gruppo di investitori Fiber 4.0., il cui principale investitore è l’Athena Global Opportunities Fund, fondo di investimento sostenuto interamente per 200 milioni di dollari dalla Segretariato di Stato e gestito da Raffaele Mincione, al centro dell’indagine sulla corruzione finanziaria. Il collegamento, contenuto in alcuni documenti che furono esaminati dal Financial Times, “probabilmente attirerà un ulteriore esame sull’attività finanziaria del Segretariato di Stato vaticano, la potente burocrazia centrale della Santa Sede, che è oggetto di un’indagine interna su transazioni finanziarie sospette”, si leggeva sull’articolo. Il fondo di investimento in quel periodo, “era impegnato in una battaglia per il controllo della compagnia di telecomunicazioni italiana Retelit. Tuttavia, non ne ottenne il controllo, perché gli azionisti preferirono a Mincione due investitori stranieri, la tedesca Shareholder Value Management e la compagnia di telecomunicazioni libica. Conte, nel suo parere legale del 14 maggio 2019, scrisse che il ‘voto’ degli azionisti poteva essere annullato se Retelit fosse stata collocata sotto le regole del golden power, che permettono al governo italiano di stoppare il controllo straniero di compagnie considerati strategiche a livello nazionale”, ha spiegato il Financial Times. “Quanto ai fatti riferiti dal Financial Times si precisa che Conte ha reso solo un parere legale e non era a conoscenza e non era tenuto a conoscere il fatto che alcuni investitori facessero riferimento ad un fondo di investimento sostenuto dal Vaticano e oggi al centro di un’indagine”.

Con la perquisizione a Mons. Alberto Perlasca, si allarga quindi l’inchiesta, che ha travolto la Curia romana nei mesi scorsi e che tra altro ha portato non solo all’uscita di scena dell’altamente qualificato e stimato Comandante del Corpo della Gendarmeria SCV, ma anche alla sostituzione da parte di Papa Francesco dello svizzero Renè Brulhart (che ha difeso pubblicamente il Direttore dell’AIF, indagato e sospeso), giunto alla scadenza del quinquennio, con l’italiano ex Bankitalia Carmelo Barbagallo come Presidente dell’AIF-Autorità di Informazione Finanziaria. L’organo di controllo finanziario della Santa Sede risulta ancora senza Direttore, visto che Tommaso Di Ruzza rimane sospeso. Tutto questo succede mentre stanno per arrivare gli ispettori di Moneyval per l’esame sullo stato delle riforme anti-riciclaggio in Vaticano: “L’Ufficio del Promotore e il Corpo della Gendarmeria proseguono negli accertamenti di carattere amministrativo-contabile e nelle attività di cooperazione con le autorità investigative straniere”, si legge nel Comunicato della Sala Stampa della Santa Sede di ieri.

Già da tempo c’è chi non dorme sereno e tranquillo, ma da ieri in molti tremano, sia religiosi sia laici, perché inevitabilmente chiunque avesse avuto sin dal 2008 rapporti poco chiari con Mons. Perlasca, farà meglio a richiedere un colloqui preventivo presso la magistratura vaticana, al fine di chiarire da subito la propria posizione.

Hanno firmato la disposizione di perquisizione e sequestro presso l’ufficio e l’abitazione di Mons, Alberto Perlasca, il Promotore di giustizia Dott. Gian Piero Milano (nominato in ottobre 2013) e il Promotore di giustizia aggiunto Dott. Alessandro Diddi (nominato in dicembre 2018), dietro la supervisione del Presidente del Tribunale dello Stato di Città del Vaticano Dott. Giuseppe Pignatone (nominato ottobre 2019). Il provvedimento “è da ricollegarsi, pur nel rispetto del principio della presunzione di innocenza, a quanto emerso dai primi interrogatori dei Funzionari indagati e a suo tempo sospesi dal servizio”, si legge nel Comunicato diffuso ieri pomeriggio dalla Sala Stampa della Santa Sede.

Così, Mons. Alberto Perlasca diventa il sesto “indagato” dell’inchiesta. Si prevede, infatti, che sarà presto iscritto nel registro degli indagati dalla magistratura vaticana (volta a verificare la sussistenza di ipotesi di reati quali il peculato, l’abuso d’ufficio, il falso in bilancio, il riciclaggio, la corruzione). Anche se per tutti vale il principio della presunzione di innocenza, come ha sottolineato ancora la Sala Stampa della Santa Sede ieri, la documentazione esaminata in questi mesi parrebbe rafforzare i presupposti delle ipotesi accusatorie.

Il termine “indagato” ha un peso, perché se fosse così, Mons. Perlasca dovrebbe decadere da tutti gli incarichi che attualmente ricopre. Infatti, ai termini del RGCR-Regolamento Generale della Curia Romana, ogni dipendente (sia religioso, sia laico) che viene raggiunto da un procedimento penale a suo carico, viene sottoposto alla “sospensione cautelare”, come hanno subito i cinque dipendenti raggiunti dal provvedimento in precedenza.

Inoltre, Mons. Perlasca dovrà indicare obbligatoriamente la dimora per le eventuali misure cautelari che verranno applicate. Non si esclude che avrà l’obbligo di residenza all’interno della Città del Vaticano, probabilmente presso la struttura dei padri penitenzieri (il palazzo del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, in piazza Santa Marta) come già il prelato-pezzo-da-novanta tra i cinque sospesi in precedenza, Mons. Mauro Carlino, che ha l’obbligo di residenza alla Domus Sanctae Marthae, l’hotel a cinque stelle all’interno della Città del Vaticano, dove risiede anche Papa Francesco.

Il conferimento della Cittadinanza onorario di Greccio a a Mons. Alberto Perlasca il 7 ottobre 2018. Ancora tempi di gloria.

A sorpresa, il 26 luglio 2019 – quando le indagini erano già in corso, ma non ancora note – Mons. Perlasca fu nominato da Papa Francesco alla carica di Promotore di Giustizia Sostituto presso il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica (oltre ad esercitare la funzione di supremo tribunale della Santa Sede, provvede alla retta amministrazione della giustizia nella Chiesa, come una “corte di cassazione”). Nato a Como il 21 luglio 1960, è stato ordinato sacerdote per l’omonima diocesi il 13 giugno 1992. È laureato in Giurisprudenza all’Università Cattolica del Sacro Cuore e in Diritto Canonico alla Pontificia Università Gregoriana. Dal 2006 è cappellano di Sua Santità. In ottobre 2003 fu stato assunto presso l’Ufficio Giuridico della Sezione per gli Affari Generali della Segreteria di Stato e incorporato nel Servizio Diplomatico della Santa Sede. Da aprile 2006 fino a maggio 2008 ha lavorato nella Nunziatura Apostolica in Argentina. È poi rientrato in Segreteria di Stato presso l’Ufficio Amministrativo della Prima Sezione (per gli Affari Generali), ufficio che gestisce la cassaforte della Segreteria di Stato, tra cui i fondi dell’Obolo di San Pietro, e del quale era Capo Ufficio da luglio 2009. È membro dei Consigli di Amministrazione del Fondo Pensioni, del Fondo Assistenza Sanitaria e dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. Inoltre, è membro del Collegio dei revisori della Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger-Benedetto XVI. Ha ricoperto diversi incarichi, tra i quali di Consultore della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. Inoltre, si è mantenuto sempre attivo nell’ambito canonico, partecipando, tra l’altro, a diverse attività accademiche. Dire che era una potenza nell’ambito finanziario della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano è un understatement, per dirlo in una delle quattro lingue che conosce.

Ieri, nel mio Postcriptum – che avevo terminato prima che fu resa nota la notizia della perquisizione a Perlasca, con il Comunicato della Sala stampa della Santa Sede – ho scritto:

«Nel contempo sarebbe interessante sapere a che punti stanno gli inquirenti vaticani con l’analisi dei pc sequestrati in Segreteria di Stato e all’AIF, che sono stati portati su indicazione dei magistrati vaticani in un luogo protetto e isolato nei Giardini Vaticani. Ai cinque dipendenti noti sono stati sequestrati oltre ai pc anche i cellulari sia di servizio (se ne erano in possesso) sia quelli personali. In Segreteria di Stato, i locali dove sono state effettuate le perquisizioni sembrano posti sempre sotto sequestro giudiziario. Siamo anche in attesa dei capi d’imputazione per i cinque dipendenti sospesi… Papa Francesco nell’ultimo incontro con i giornalisti in volo aveva detto che “a breve” sarebbero arrivati i capi d’imputazione, ma gli inquirenti ancora stanno lavorando e non avrebbero ancora interrogato tutti, solo quelli marginali. Quindi, hanno appena cominciato e si ha l’impressione – permettendo che esiste la “ferma volontà politica” di portare il lavoro speditamente a termine -, che le indagini portano ad altri elementi, che richiedono altre indagini, che portano ad altri elementi, che richiedono altre indagini… Si tratta di una macchia d’olio che si allarga e che includerà personaggi importanti, religiosi e laici “urbi ed orbi”?».

Aprendo l’anno giudiziario in Vaticano, il 15 febbraio 2020 Papa Francesco ha fatto cenno all’inchiesta in corso riguardante la gestione di fondi e di immobili (come quello di Sloane Avenue a Londra), parlando di “situazioni finanziarie sospette, che al di là della eventuale illiceità, mal si conciliano con la natura e le finalità della Chiesa, e che hanno generato disorientamento e inquietudine nella comunità dei fedeli”. “Un dato positivo – ha aggiunto – è che proprio in questo caso, le prime segnalazioni sono partite da autorità interne del Vaticano, attive, sia pure con differenti competenze, nei settori della economia e finanza. Questo dimostra l’efficacia e l’efficienza delle azioni di contrasto, così come richiesto dagli standard internazionali”.

Secondo Vatican News, l’organo ufficiale del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, l’attività istruttoria della magistratura vaticano per questa inchiesta potrebbe concludersi prima dell’estate.

Il conferimento della Cittadinanza onorario di Greccio a a Mons. Alberto Perlasca il 7 ottobre 2018. Ancora tempi di gloria.

“Il rapporto con i beni temporali è, per molte ragioni, complesso e delicato: deve quindi essere affrontato con chiarezza e precisione, in quanto ambiguità o imprecisioni in questo ambito comportano per la Chiesa il grave rischio di compromettere parte della propria immagine e, conseguentemente, della propria credibilità”. Iniziava così la corposa tesi di dottorato di Don. Alberto Perlasca, discussa alla Pontificia Università Gregoriana nel 1996. Allora era semplice parroco in Como. In seguito l’autore di “Il concetto di bene ecclesiastico” di quei beni se ne è occupato a lungo alla Santa Sede, nel cuore della Chiesa cattolica.

Mons. Perlasca l’11 aprile 2019 all’Università Cattolica di Milano.

Più recentemente, nella giornata di studi dell’11 aprile 2019 all’Università Cattolica di Milano, incentrata sul “lessico per gestire il patrimonio degli enti della Chiesa”, era presente anche Mons. Alberto Perlasca. Nell’intervista che ha rilasciato in occasione dell’incontro in Cattolica a Federico Tanzi per Ilnuovogiornale.it del 26 aprile 2019, Mons. Perlasca spiegato “qual è il modello migliore per una gestione trasparente dei beni ecclesiastici”. “A lui il compito di interrogarsi – chiarendone obblighi e necessità – su un modello efficace di trasparenza per la Chiesa, ma anche di ribadire l’assoluta specificità della ‘mission’ ecclesiastica rispetto alle aziende tradizionali”, si legge nell’introduzione dell’intervista dal titolo “La Chiesa non è un’azienda”. “Il ‘succo’ è che buona parte della auspicata chiarezza comunicativa nella gestione dei beni della Chiesa, deve passare anche, e soprattutto, dalla capacità di farne comprendere la peculiare natura non speculativa”.

Vale la pena di rileggere, con il cenno del poi, le risposte di Monsignor “trasparenza”. Per quanto riguarda la sua chiosa su “ciò che dobbiamo imparare a fare è comunicare bene”, mi auguro che saprà comunicare bene agli inquirenti vaticani le sue attività da “manager della gestione dei beni ecclesiastici” e in particolare dei fondi dell’Obolo di San Pietro, ma non solo.

Federico Tanzi: Mons. Perlasca, parliamo di trasparenza nella gestione dei beni: quale modello per la Chiesa?
Mons. Perlasca: Innanzitutto un modello che ci permette di realizzare il codice di diritto canonico. Noi stiamo parlando di Chiesa e di beni ecclesiastici, cioè di beni che devono essere amministrati, gestiti e tutelati in vista del perseguimento dei fini istituzionali della Chiesa. La mia preoccupazione è che vedo importare nel diritto canonico molti elementi che fanno parte del diritto civile: questa operazione, se non è attentamente vigilata, può portare delle conseguenze negative.

Federico Tanzi: Ma quindi che rapporto c’è tra la gestione dei beni della Chiesa e la gestione dei beni di un’azienda normale?
Mons. Perlasca: Come detto, credo che importare stili, prassi, diritti e norme che non fanno parte della Chiesa non è la strada migliore, non stiamo parlando di un’azienda e quindi non va gestita come tale. Categorie come accountability, compliance, trasparenza, stewardship ci possono sì essere, ma solo in un modo e in una misura adeguata alla Chiesa. Non sempre l’attività economicamente più vantaggiosa è anche l’attività pastoralmente più efficace, come non sempre l’attività pastoralmente efficace è quella più economica. Ci sono altri criteri, la nostra finalità infatti non è quella di fare cassa, ma bensì di verificare una sostenibilità nel tempo dei progetti.

Federico Tanzi: Quali obblighi deve avere la Chiesa in termini di trasparenza?
Mons. Perlasca: È fondamentale che siano chiari i fini per cui si usano i beni: quelli propri della chiesa sono trascendentali. Anche laddove non ci siano in gioco delle grandi cifre è importante quindi che ci sia chiarezza sulle finalità, ma anche sui soggetti e le modalità di gestione. Rientra nel concetto di trasparenza anche la valutazione delle singole attività ecclesiali: a volte si investono grandi capitali sia in termini economici che umani, ma poi il risultato è assolutamente insignificante. Nella trasparenza rientra quindi anche riconoscere il fallimento o i successi di una determinata attività.

Federico Tanzi: Si può dire quindi che trasparenza vuol dire comunicare bene?
Mons. Perlasca: Esattamente, riscontro però da parte nostra una certa incapacità a comunicare. Ciò che dobbiamo imparare a fare è comunicare bene: ciò non significa dire ciò che la gente vuol sentirsi dire, ma che si comunichi qualcosa che la gente possa capire e che la possa interessare. Ecco perché la comunicazione deve essere sempre mediata, e perché la trasparenza non può essere ridotta semplicemente al dato numerico, tecnico o di bilancio. Noi siamo soltanto degli amministratori, i beni sono beni della Chiesa, e per giustizia dobbiamo rendere conto di quello che facciamo. È importante però avere una buona amministrazione non solo dove si hanno grosse cifre a disposizione, ma anche dove si hanno meno soldi. Anzi, proprio perché sono pochi, devono essere amministrati bene.

Il palazzo al numero 60 di Sloane Avenue, Chelsea, London.

Sessanta milioni di euro dell’Obolo di San Pietro possono essere investiti in operazioni a fine di lucro? Sono stati chiari i fini per cui sono stati usati? Il Cardinale Angelo Becciu, già Sostituto della Segreteria di Stato per gli Affari generali (più o meno equiparabile ad un ministro degli interni) ha dichiarato ieri: “Neppure un penny e stato utilizzato dell’Obolo di San Pietro per l’acquisto del palazzo londinese di Sloane square”.

Il successore del Cardinale Angelo Becciu come Sostituto della Segreteria di Stato, l’Arcivescovo Edgar Peña Parra per l’acquisto di questo Palazzo chiederà allo IOR ingenti somme di denaro – per operazioni “opache”, come le ha definite il Cardinale Pietro Parolin.

Mentre il Segretario di Stato di Sua Santità parla di operazioni “opache”, il Cardinale Becciu afferma che non sono stati spesi soldi dell’Obolo di San Pietro per l’acquisizione del palazzo londinese, pagato 60 milioni di euro, per cui è stato acceso un mutuo, ha detto.

Però, per il sopralluogo a Londra presso lo stabile che poi verrà acquistato dalla Santa Sede, a suo tempo, vengono inviati Mons. Alberto Perlasca e Mons. Luigi Mistò.

Perlasca è Capo Ufficio Amministrativo della Prima Sezione della Segreteria di Stato, che detiene le chiavi della cassaforte della Segreteria di Stato e gestisce le finanze delle fondazioni vaticane, tra cui l’Obolo di San Pietro.

Mistò è Presidente della Commissione per le attività del settore sanitario delle persone giuridiche pubbliche della Chiesa presso la Segreteria di Stato, che controlla e gestisce il FAS-Fondo Assistenza Sanitaria dello Stato della Città del Vaticano.

Non ho motivi per pensare che Card. Becciu dice un bugia, nell’affermare prima che era coperto dai suoi superiori e secondo che i soldi dell’Obolo di San Pietro non sono stati spesi per l’acquisto di Sloane Square. Posso dirlo, innanzitutto, perché lo conosco da molti anni, in rapporti di lavoro molto stretti, per motivi delle nostre rispettive funzioni, di Sostituto della Segretaria di Stato da una parte e di Assistente della Sala Stampa della Santa Sede dall’altra parte (quindi, ambedue “braccia operative”). Inoltre, non vedo quale motivo Becciu dovrebbe avere per dire una falsità al riguardo. Infatti, Becciu dice una mezza verità, cioè non dice tutta la verità. La parte della verità che “omette” è, che potrebbe essere che sono stati utilizzati soldi dei conti FAS, che controlla Mistò. Questo giustificherebbe la sua presenza insieme a Perlasca per fare il sopralluogo a Londra. Morale della favola, il palazzo di lusso londinese l’hanno acquistato gli assistiti FAS, con la “tassa” ritenuta in busta paga?

Un fatto importante, che nessuna va a verificare, è l’origine del FAS. Si tratta di una struttura che nasce come “costola” della Direzione Sanitaria del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano. Inizialmente, il FAS si occupava solo ed esclusivamente di rimborsi di esami e di ricoveri degli assistiti presso strutture sanitarie convenzionate (che è un’altro punto dolens nelle questioni FAS), ma nel tempo “qualcuno” l’ha fatto diventare altro. Infatti, lo Statuto del FAS in realtà non coincide con quello che il FAS fa il realtà. Ciò vuol dire, che il FAS esce sempre dalle proprie competenze, perché ha l’indisponenza di un’amministrazione arrogante (e ne so qualcosa da esperienza propria, come assistito). A titolo di esempio di arroganza: dal regolamento FAS risulta, che un dipendente in attività dello Stato della Città del Vaticano o della Santa Sede, non può rinunciare al pagamento della “tassa” FAS. Tutti i dipendenti sono obbligati ad avere ritenute sanitarie in busta paga, che vanno a finire nella cassa FAS e non possono rinunciare alla “tassa” (come invece è permesso ai pensionati).

Il conferimento della Cittadinanza onorario di Greccio a a Mons. Alberto Perlasca il 7 ottobre 2018. Ancora tempi di gloria.

I fondi dell’Obolo di San Pietro (entrate e uscite) non rientrano sotto nessun controllo, ne dello IOR-Istituto per le Opere di Religione, ne dell’AIF-Autorità di Informazione Finanziaria, ne può rientrare nella competenza dell’Ufficio del Revisore Generale della Santa Sede (l’Ente al quale è affidato il compito della revisione contabile del bilancio consolidato della Santa Sede e del bilancio consolidato del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano), perché l’Obolo – anche per il Revisore Generale – e di fatto “off limits”, perché è un “affare esclusivo” della Segreteria di Stato, controllato soprattutto dal numero tre della Santa Sede, cioè dal Sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato, vero braccio operativo della stessa.

«Centinaia di milioni di euro di fondi nascosti in Vaticano», scrisse Maria Antonietta Calabrò il 4 dicembre 2014 su Corriere.it:

“Il lavoro di riforma della finanze vaticane ha fatto scoprire centinaia di milioni di euro che non comparivano nei bilanci ufficiali della Santa Sede. Lo afferma lo Zar delle finanze vaticane, il cardinale australiano George Pell, sul settimanale Catholic Herald in un articolo di oggi e anticipato sul sito dello Spectator sottolineando che paradossalmente a motivo di «fondi neri» le casse della Santa Sede sono più in salute di quanto inizialmente apparissero. «È importante sottolineare che il Vaticano non è in fallimento – scrive Pell -. A parte il fondo pensione, che ha bisogno di essere rafforzato per le richieste su di esso nei prossimi 15 o 20 anni, la Santa Sede sta facendo la sua strada, essendo in possesso un patrimonio e investimenti consistenti».
«In realtà – afferma il Prefetto vaticano per l’Economia -, abbiamo scoperto che la situazione è molto più sana di quanto sembrasse, perché alcune centinaia di milioni di euro erano nascosti in particolari conti settoriali e non apparivano nei fogli di bilancio. È un’altra questione, a cui è impossibile rispondere, quella se il Vaticano dovrebbe avere riserve molto più grandi». Secondo Pell, finora nelle finanze vaticane «Congregazioni, Consigli e, specialmente, la Segreteria di Stato, hanno goduto e difeso una sana indipendenza. I problemi erano tenuti “in casa” (come si usava nella maggior parte delle istituzioni, laiche e religiose, fino a poco tempo fa). Pochissimi erano tentati di dire al mondo esterno che cosa stava accadendo, tranne quando avevano bisogno di un aiuto supplementare». Il porporato sostiene che per secoli personaggi senza scrupoli hanno approfittato della ingenuità finanziaria e delle procedure segrete del Vaticano. Le finanze della Santa Sede erano poco regolate e autorizzate a «sbandare, ignorando i principi contabili moderni». Ma ora non è più così: le nuove strutture e organizzazioni stanno portando le finanze vaticane nel 21/mo secolo e rendendo il loro funzionamento trasparente, con piena responsabilità. Sempre secondo Pell, «chi era nella Curia seguiva modelli a lungo consolidati. Proprio come i re avevano permesso ai loro governanti regionali, principi o governatori di avere quasi mano libera, purché i libri fossero in equilibrio, così hanno fatto i Papi con i cardinali di Curia (come fanno ancora con i vescovi diocesani)». Gli accantonamenti extra-bilancio per importi molto rilevanti come quelli rivelati dal cardinale Pell, naturalmente, costituiscono delle sacche all’oscuro dell’amministrazione centrale che possono dare occasione per possibili abusi.

C’è chi ritiene oggi che questo ha costato la testa al Cardinale Georg Pell, con delle accuse di pedofilia inverosimili.

In passato mi sono più volte occupato della situazione al FAS-Fondo di Assistenza Sanitaria dello Stato della Città del Vaticano (Cade un’altra testa in Vaticano. Questa volta al disastrato Fondo di Assistenza Sanitaria-FAS). Si tratta di una cosa grossa, di cui miei “scoop” hanno toccato soltanto la punta di un iceberg mastodontico e di cui i vaticanisti hanno preferito di non occuparsi. Visto che tutto è collegato, la domanda è legittima: perché questa mancanza di interesse? E così, come spesso capita per questi “eletti” (che poi eletti non sono), loro cascano sempre in piedi, e di certo chi ne è responsabile non pagherà la metà della metà della metà del male che ha fatto a tanti assistiti, in particolare anziani e bisognosi (e io sono tra questi… però, non parlo pro domo mea). Oggi, sembra che la magistratura vaticani è determinato e venirne a capo.

Prima di essere trasferito al Palazzo della Cancelleria, fuori delle mura della Città del Vaticano (però sempre in territorio extraterritoriale vaticano), Mons. Alberto Perlasca insieme a Mons. Luigi Mistò, per anni hanno fatto quello che volevano, non solo con l’Obolo di San Pietro, ma a braccia erano anche a capo della “cupola di sacra cosa nostra” al FAS-Fondo di Assistenza Sanitaria dello Stato della Città del Vaticano.

Dott. Stefano Loreti, che attualmente resiste ancora come Direttore, è uomo di Mistò e Perlasca al FAS. Loreti ha iniziato come semplice sportellista al FAS e poi una volta trasferito al Palazzo del Triangolo, sede dell’APSA, alla corte dei due ne è tornato da Direttore. Fu nominato il 1̊ ottobre 2010 dal Segretario di Stato Cardinale Tarcisio Bertone per il quinquennio 2010-2015 nel Consiglio di Amministrazione del FAS, a designazione del Presidente dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, insieme a Mons. Alberto Perlasca, scelto dal Cardinale Segretario di Stato tra gli iscritti al FAS in attività di servizio. Una carriera troppo fulminea per non lasciare spazio a dubbi.

Mistò e Perlasca hanno istruito Loreti a dovere, facendone di fatto il loro burattino. Loreti ha eseguito gli ordini, facendo diventare il FAS una macchina da soldi, facendo pagare 5 euro a visita agli assistiti, per visite che dovevano essere gratis, e aumentando a dismisure i ticket per le prestazioni mediche.

Dai conti del FAS – che non sono pubbliche, ma che una mia fonte ha potuto vedere personalmente – si evince, che grazie agli aumenti apportati ai ticket da Loreti, il bilancio 2018 ha chiuso con un +300% di utili rispetto al 2017, anno fino al quale le visite del poliambulatorio vaticano erano gratuite e i ticket ragionevoli.

Poi ci sono state manovre opache sulle convenzioni con i medici esterni per i quali ogni assistito pagava la cifra della visita allo sportello vaticano ma in realtà la cifra totale non andava tutta al medico convenzionato. La “cassa mensile FAS” cioè l’introito che il FAS incassa per le visite mediche e gli esami strumentali, viene versata ogni mese presso la cassa dell’APSA e poi è l’APSA che “scorpora” il totale e versa un altra cifra che riguarda il FAS sul conto FAS allo IOR (anche gli ex dipendenti pensionati INPS – come me – versano il contributo FAS sulle loro pensioni INPS allo IOR a seguito da un mandato emesso dall’APSA, quindi non direttamente al FAS.

Non è difficile immaginare che gli inquirenti vaticani potrebbero interessarsi a questo giro di conti abbastanza tortuoso, in cui le tracce dei soldi del FAS si perdono e non sono più rintracciabili, ed è tutto da capire.

Quello che è sotto gli occhi di qualunque che vuole vedere, è che la corruzione che Mons. Carlo Maria Viganò doveva scoperchiare nel 2013-14 è continuata alla grande.

Per la cronaca, ieri e stato visto Loreti che camminava “a piedi”, senza la sua auto da 97mila euro, proveniente da San Damaso, forse venendo dalla Segreteria di Stato, in direzione di Piazza Santa Marta, con un foglio bianco in mano… Non sembrava molto contento…
Va ricordato sempre che Loreti ha rifiutato l’accoglienza offerta dalla Dott.ssa Mariella Enoc al Bambin Gesù e non è difficile imaginare che i superiori in Segreteria di Stato sono stati poco soddisfatti.

Mons. Alberto Perlasca era stato trasferito giusto in tempo prima che nel ottobre scorso arrivasse la Gendarmeria vaticana in Segreteria di Stato. Il suo posto era stato preso da Mons. Mauro Carlino, Capo del potente Ufficio informazione e documentazione della Segreteria di Stato (il titolare è considerato da sempre un “pezzo da novanta” alla Santa Sede), per poco tempo, fino al blitz del Corpo della Gendarmeria e la successiva sospensione.

Papa Francesco e Mons. Luigi Mistò.

Caduto Perlasca sarebbe dovuto cadere anche Mistò…

Mons. Luigi Mistò è un prelato che ha ricevuto sempre più poteri all’interno della Città del Vaticano. Ambrosiano di origini brianzole nato nel 1952, ha alle spalle una vasta esperienza, maturata negli anni milanesi, dopo la laurea in diritto canonico e un periodo al Tribunale ecclesiastico. Sotto i Cardinali Martini e Tettamanzi è stato responsabile amministrativo della ricca Curia milanese, la più grande d’Europa. Successivamente ha ricoperto incarichi sempre più delicati nella Curia Romana, in materia di economia e finanza. Il suo nome fu fatto nel 2011 come possibile Prelato dello IOR al posto di Mons. Piero Pioppo, diventato Nunzio in Camerun e Guinea Equatoriale (invece Papa Francesco nominò il 15 giugno 2013 Mons. Battista Ricca, il Direttore di Domus Sanctae Marthae, alla carica “ad interim”). Alla fine, Papa Benedetto XVI il 7 luglio 2011 lo nomina a Segretario dell’APSA, il dicastero che gestisce le proprietà immobiliari della Santa Sede. Nel 2015 Papa Francesco lo nomina alla Sezione amministrativa della Segreteria per l’Economia. Il Segretario di Stato Cardinale Pietro Parolin a sua volta ha messo Mons. Mistò al capo della Commissione di controllo e valutazione sulla sanità cattolica, con l’obiettivo di guardare a tutto il mondo.
Si tratta quindi di un prelato-chiave nella gestione degli investimenti della Santa Sede e del processo di riforma economica di Papa Francesco, che – come ha detto lo stesso Mistò il 3 maggio 2018, alla presentazione della Fondazione Quadragesimo anno alla Pontificia Università Lateranense con il convegno sul tema “Investire per il bene comune. Il ‘rating cattolico’ degli investimenti” – ha dovuto affrontare “scosse” inevitabili dopo un “sisma”, ma che “procede e produce i suoi frutti”.

La Fondazione Quadragesimo anno è un nuovo Ente, dedicato alla certificazione degli investimenti in accordo con la Dottrina sociale della Chiesa, che prende il nome dall’Enciclica di Pio XI scritta nel 1931, dopo la crisi di Wall Street e la “grande depressione”. L’intento è di arrivare al “rating cattolico” degli investimenti, basato sulla Dottrina sociale della Chiesa e sul magistero petrino.
Alla presentazione della Fondazione Quadragesimo anno, Mistò spiegò anche che “la Segreteria per l’Economia ha il compito specifico di sovrintendere con un’attività di controllo e di vigilanza, ma anche di accompagnamento quotidiano gli enti della Santa Sede, e allora è molto importante per noi sapere che c’è una Fondazione che, come ha scritto il Cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, cerca di tradurre i contenuti della Dottrina sociale della Chiesa in indicazioni concrete per il mondo della finanza”. Perciò “guarderemo con molto interesse il vostro lavoro e lo utilizzeremo per essere supportati nel nostro compito di vigilanza e controllo”.

Papa Francesco aveva istituito la Segreteria per l’Economia nel febbraio 2014, tra i primi atti della riforma della Curia romana, allo scopo di riordinare le finanze vaticane, programmare e razionalizzare costi e spese, vigilare sui bilanci. Inizialmente Papa Francesco aveva conferite al nuovo dicastero enormi competenze, di fatto la gestione e il controllo, ma successivamente è tornato a separarle. Originalmente pensando di fare una cosa buona, come nel campo della comunicazione, accorpando tutti gli organi “mediatiche” sotto la SPC-Segreteria per la Comunicazione, nominando come Prefetto Mons. Dario Viganò (nel frattempo sostituito con Dott. Paolo Ruffini), Papa Francesco aveva l’idea di accorpare tutti gli organi “economici e finanziari” sotto la SPE-Segreteria per l’Economia, dove nomina come Prefetto il Card. George Pell… ma non aveva fatto i conti con il Cardinale Domenico Calcagno, allora Presidente dell’APSA, che si oppose fortemente e dichiarò guerra a Pell. Morale della favola, sotto la Segreteria per l’Economia oggi come oggi non c’è ancora nessuna amministrazione , quindi invece di accorpare e diminuire le amministrazioni per risparmiare sui bilanci, la SPE si aggiunge come amministrazione e allo stato attuale gestisce solo le assunzioni dei dipendenti della Segreteria di Stato e dei dicasteri della Santa Sede.

Dopo l’uscita di scena del Cardinale George Pell, Mons. Mistò non ha ottenuto il posto di Prefetto della Segreteria per l’Economia a cui aspirava, mentre Papa Francesco lo nominò Coordinatore ad interim. Il 14 novembre 2019 – proprio mentre il Vaticano è investito dall’indagine penale sull’uso di ingenti fondi dell’Obolo di San Pietro per discussi investimenti in immobili di pregio, oltre che dall’imperativo categorico di far quadrare bilanci in forte deficit – Papa Francesco nominò il Consigliere Generale della Compagnia di Gesù, Padre Guerrero Alves a Prefetto. Fu la prima nomina dopo il Motu proprio di Papa Francesco per la nuova legge sul governo dello Stato della Città del Vaticano entrato in vigore il 7 giugno 2019.

Invece, come Segretario della Sezione Amministrativa – Coordinatore ad interim (essendo vacante la posizione di Segretario Generale), ora Mons. Mistò, all’atto pratico e godendo di grande fiducia di Papa Francesco, ha carta bianca. Però, deve stare attento perché intorno a lui tutti stanno cascando. Nei “documenti e apparati informatici” sequestrati ieri dalla Gendarmeria a Perlasca per ordine della magistratura vaticana, potrebbero esserci dei documenti che riguardano anche Mistò. Quindi, potrebbero arrivare pure alle disposizioni che furono dati a Loreti.

Non c’è due senza tre
Non si conosce l’esatta origine di questo proverbio. L’espressione probabilmente si riallaccia ad antiche superstizioni basate sui numeri magici, influenzata dal fatto che il tre è considerato il numero perfetto.
Tre sono le persone della Santissima Trinità.
Tre sono i Magi che visitarono Gesù Bambino.
Tre sono le dimensioni del mondo in cui viviamo.
I Tre dell’Ave Maria, in Valsesia, dove le loro gesta erano sulla bocca di tutti, venivano chiamati i due Alpini doc, Giacomo Chiara e Giovanni Gualdi, e l’aviatore Alberto Giacomin.
Le Tre Ave Maria sono una preghiera mariana che si deve a Santa Matilde di Hackeborn, una monaca benedettina vissuta tra il 1240 e il 1298, che riflettendo sul giorno della sua morte, chiedeva in preghiera alla Madonna di poterla assistere in quell’ultimo estremo e solenne momento della sua vita terrena. La Madonna che già in precedenza si era manifestata alla santa, acconsentì, a condizione che lei le recitasse quotidianamente tre Ave Maria, glorificando la Trinità, nel seguente ordine: la prima Ave sia per onorare Dio Padre che, per magnificenza della sua onnipotenza, esaltò con tanto onore l’anima mia, così che io sono, dopo di lui, onnipotente in cielo e in terra; la seconda sia per onorare il Figlio di Dio che, nella grandezza della sua inscrutabile sapienza, mi adornò e riempì di tali doni di scienza e intelletto che io godo di una visione della Beatissima Trinità maggiore di quella di tutti i santi e mi ha circonfuso di tanto splendore che io illumino, come sole raggiante, tutto il cielo; la terza sia per onorare lo Spirito Santo che ha infuso in me la pienezza della soavità del suo amore, e mi fece così buona e benigna che, dopo Dio, io sono la più dolce e mite.

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