La persuasione

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Persuadere significa modificare l’atteggiamento o il comportamento dell’interlocutore con argomenti, ragioni, suggerimenti, mediante uno scambio.

Spesso, nel linguaggio corrente, adoperiamo il termine convincere, come se fosse un sinonimo di persuadere. In effetti, convincere vuol dire superare degli ostacoli logici e razionali, con dei mezzi che hanno la parvenza della logica e della razionalità, per vincere le resistenze ed i dubbi con la forza logica delle argomentazioni.

Persuadere, al contrario, si basa su meccanismi anche emotivi e passionali, si serve delle stesse arti che adoperiamo per sedurre. La persuasione è essere irresistibili agli altri. Si serve, pertanto, di argomenti, ma essi sono più emotivi ed affettivi che dialettici e razionali. La principale arma della persuasione è la suggestione, vale a dire la capacità di indurre un pensiero, una convinzione, senza che l’altro possa opporsi, né avverta la ragione di farlo.

La comunicazione persuasiva efficace inizia in maniera sempre informativa (comunicare qualcosa di nuovo), ma insieme è accolta come confermativa (coerente con le attese, i gusti, i valori di fondo, del soggetto).
Spesso si afferma che l’uomo utilizza il linguaggio per comunicare, ma ciò non è vero per l’uomo quanto lo è, invece, per gli animali. Gli animali si servono dei segnali sonori e di quelli posturali per comunicare uno stato d’animo, per segnalare un pericolo, per riavvertire di un attacco, per indicare la fame. Il linguaggio e la postura dell’animale comunicano qualcosa riguardo al presente ed all’esperienza immediata. La comunicazione negli animali, inoltre, è un sistema di segnalazioni isomorfe, in maniera diretta, evidente ed universale fra significante e significato.

La lingua dell’uomo non funziona in modo isomorfo, né direttamente indicativo e la relazione fra significante e significato è di tipo convenzionale e simbolico, tranne poche parole ed espressioni di tipo onomatopeico. L’uomo, al contrario dell’animale, utilizza la parola per organizzare il flusso delle esperienze mentali, per dare un senso ai propri vissuti, per costruire nella mente un’immagine che rispecchia la realtà esterna. L’uomo parla per organizzare la mente e predisporla al futuro.

Sulla base degli studi di psicologia sociale, unitamente a quelli sulle tecniche di comunicazione, molti studiosi specializzati nell’informazione hanno teorizzato alcuni postulati che cercano di descrivere il comportamento di chi riceve un qualunque tipo di messaggio, in particolare quello persuasivo. Partendo dal presupposto che la maggior parte della comunicazione può essere ricondotta ad un gioco di persuasione, le ricerche si sono focalizzate sul messaggio stesso, analizzandone il tipo di trasmissione, ricezione, decodificazione e assimilazione, per scoprire se, questa fonte, che presenta ragionamenti e conclusioni, riesca a produrre un qualche effetto nel ricevente.

Sappiamo che non può verificarsi nessuna persuasione se non sussistono le necessarie premesse oggettive e soggettive, proprie del ricevente; ovvero, non si può persuadere chi non ha la disposizione a lasciarsi persuadere. È proprio su questo presupposto che gli studi si sono rivolti, ad orientare l’animo ed a modificare le disposizioni e le motivazioni del ricevente, piuttosto che a riprogettare i messaggi stessi.

La premessa di una valida comunicazione persuasiva è che essa incontri delle disposizioni favorevoli. Il messaggio persuasivo deve essere positivo, attraente, gradevole, divertente, chiaro, ordinato e compiuto, suscitare curiosità ed un buon interesse. Molto spesso questi aspetti del messaggio agiscono sul soggetto in modo inconsapevole ed inavvertito, perché attivano in lui delle risposte automatizzate e condizionate.

Al contrario, un messaggio minaccioso e negativo funziona pochissimo o per nulla. Le motivazioni di tale inefficacia sono numerose. In realtà, la maggior parte di noi cerca di difendersi da pensieri angosciosi semplicemente accantonandoli, rimuovendoli dalla coscienza. Il messaggio deterrente e negativo diventa inefficace, perché esce dal centro dell’attenzione. L’altro motivo è quello della distorsione emotiva delle attese, ovvero tendiamo a credere ai nostri desideri, diventando ciechi dinanzi alla realtà e cerchiamo quindi di adagiargli all’idea sulla quale abbiamo riposto aspettative spesso irreali. Qualunque tipo di comunicazione persuasiva che utilizza degli stimoli negativi tanto da porre in uno stato conscio difensivo, sarà inefficace in partenza.

Premesso questo, si può prendere in considerazione una prima teorizzazione psicologica, di impronta cognitivistica sulla quale si inserisce la psicologia sistemica di Watzlawick, come ho gia trattato nell’articolo precedente sulla Comunicazione, che teorizza gli “assiomi della comunicazione”. Sulla base di questi assiomi emergono elementi molto importanti ai fini della definizione del messaggio persuasivo, in particolare l’aspetto non verbale del messaggio da comunicare.

Si evidenzia, infatti, il rapporto contenuto/relazione, nel quale l’evento comunicativo è scisso in due aspetti, quello verbale, e quello non verbale. Inoltre è posto l’accento su ciò che Watzlawick chiama punteggiatura e scansione comunicativa, ovvero, la comunicazione è vista come un “percorso circolare, grazie al quale ogni evento è simultaneamente stimolo, risposta, rinforzo”. Si tratta del principio sul quale si basa il concetto di feedback, o retroazione, ovvero che ogni messaggio inviato presuppone un messaggio di risposta che, a sua volta, è visto come messaggio inviato, e così via.

Questo ci invita a riflettere su come la componente affettiva incida moltissimo sulla capacità di essere persuasivi, ancor di più che l’effettivo contenuto del messaggio stesso. È doveroso, dunque, porre l’accento sulla comunicazione affettiva per eccellenza, ovvero, la comunicazione non verbale. Quest’ultima è stata oggetto di studio fin dall’antichità, pensiamo ad Aristotele, per il quale il linguaggio è considerato una scrittura dell’anima, per cui si evidenzia l’importanza dell’aspetto non verbale.

Oggi, la comunicazione non verbale viene considerata come l’insieme di variabili legati all’atteggiamento di una persona (gesticolare, l’intonazione della voce, ed altri fattori, difficilmente controllabili), che contribuiscono a dare all’interlocutore un quadro più preciso del coinvolgimento affettivo che l’emittente inserisce nel messaggio, a conferma o in contrasto con quanto egli stia dicendo, rivelando così una coerenza inconscia col messaggio emesso o, altrimenti, l’esistenza di un messaggio paradossale ed inconsistente.

L’analisi della coerenza fra canale verbale e canale non verbale della comunicazione permette di valutare la forza persuasiva del messaggio, in termini di credibilità e di attendibilità. È evidente che anche la struttura stessa del messaggio e non solo l’aspetto emotivo decreta se un messaggio sia persuasivo o meno, ad esempio la vividezza del messaggio per renderlo facilmente reperibile, la reiterazione del messaggio, tanto utilizzato in ambito pubblicitario che da luogo ad un effetto che in psicologia si chiama mera esposizione, ciò rende il messaggio più familiare e quindi più facilmente accettabile; altro espediente utilizzato è fare appello all’autorevolezza e alla credibilità di chi veicola il messaggio.

Una strategia che viene messa in atto, nell’ambito dei mezzi di comunicazione di massa, che sviluppa un effetto importante, che prende il nome di agenda setting. Questo fenomeno nasce dall’assunto che i media descrivono la realtà presentando al pubblico una sorta di ordine di priorità delle notizie. La comunicazione di massa non influenzerebbe quindi, direttamente, gli atteggiamenti e le opinioni, ma l’importanza da attribuire alle questioni, strategia a mio avviso molto sofisticata, non tanto nell’attuazione della stessa, bensì, nella pianificazione per giungere a tale effetto, poiché essa attecchisce, laddove c’è carenza conoscitiva.

È per questo che noi quotidianamente dobbiamo far leva a creare coscienze pensanti, educare a pensare.

Quando le persone attribuiscono molta importanza ad un dato evento, spesso con carenza conoscitiva, aumenta la probabilità che prestino più attenzione alle notizie che lo riguardano, considerandone in maniera approfondita tutti gli aspetti. In pratica, indurre l’effetto agenda setting, vuol dire agire a livello cognitivo e produrre opinioni stabili, prima ancora che sulla direzione delle opinioni stesse.

Per concludere, se vogliamo essere persuasivi, dobbiamo mettere in atto alcune “abilità”:
1) la reciprocità;
2) il contrasto, dove a livello psicologico le qualità di una persona o situazione vengono vissute non in modo assoluto, ma relativo, ad esempio sarà abbastanza facile persuadere un cliente ad acquistare una macchina ad un prezzo alto ma favorevole, dopo che gli è stato prospettato un altra macchina più scadente e ad un prezzo esagerato;
3) la sintonia empatica;
4) la diffusione sociale, ovvero se tutti scelgono una determinata cosa non possono sbagliare, quindi il prodotto è buono, la scelta è valida ecc.;
5) la dissonanza cognitiva, ovvero una volta intrapresa una strada, fatta una scelta, in qualche modo non si può tornare indietro;
6) il rendere affascinante qualcosa, non perché è alla moda, o diffuso ma per l’opposto, perché è esclusivo e raro, per pochi eletti.

Il minimo comune denominatore resta quello di procedere ad una ristrutturazione della percezione della realtà da parte del soggetto, che viene guidata ed orientata secondo la particolare focalizzazione del messaggio persuasivo. Consiste in un meccanismo che altera lo stato di coscienza e del rapporto con la realtà.

La persuasione fa convergere l’attenzione della persona su alcuni aspetti e lo rende “cieco” su altri, catalizza l’attenzione su alcune parti attraverso il gioco dell’enfasi e del silenzio, come quando puntiamo un riflettore su un particolare. oscurando il resto, la parte illuminata diviene oggetto di attenzione costruendo su di essa una memoria selettiva e orientata.

Buona lettura e buon cammino.

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