C’erano una volta 9+1 in una stanza e rimasero in 6+1… chi è l’assassino? E a chi importa…

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… o qui sono l’unico assassino, o questa è una stanza piena di bugiardi.

“Mi troveranno disteso sul letto, colpito in fronte, come annotato dai miei compagni di sventura. I diversi momenti dei decessi non potranno essere stabiliti con precisione quando i nostri corpi verranno esaminati. Quando il mare si calmerà, arriveranno dalla terraferma imbarcazioni e gente. E si troveranno dieci cadaveri e un mistero insoluto a Nigger Island” (Lawrence Wargrave, Explicit “Ten Little Niggers” di Agatha Christie, 1939).

Questa mattina al risveglio, il primo messaggio che ho letto era: “C9… C8… C6… e alla fine rimarrà solo” [Francesco e il C6, tre nuovi giorni di confronto. Aperta stamattina in Vaticano la riunione del Consiglio di Cardinali alla presenza del Papa, che terminerà mercoledì prossimo. Prosegue lo studio della nuova Costituzione Apostolica, 17 febbraio 2020].

Come spessissimo accade, il primo input della giornata funge anche da suggerimento… e mi porta a pensare. Soprattutto se il suggeritore mattiniero è il misterioso “Mister Ikse”, che si fa vivo ogni tanto. Questa volta mi ha fatto venire in mente la filastrocca sui “dieci piccoli indiani” (che originalmente erano “dieci injuns” o “dieci negretti”, che sempre spregiativi sono) e mi sono dedicato alla sua storia, come un ulteriore proseguo della sequela, dopo “bigotto” [Essere bigotto, non volendo pensare. Peggio di così si muore, bigottamente] e “sepolcri imbiancati” [Santa Falsità, Patrona della Giornata mondiale dei sepolcri imbiancati, prega per chi è forte per finta e finto per forza], sulla “falsità”.

Una filastrocca per bambini, di bambini che non imparano mai dall’esperienza

Dieci poveri negretti
se ne andarono a mangiar:
uno fece indigestione,
solo nove ne restar.
Nove poveri negretti
fino a notte alta vegliar:
uno cadde addormentato,
otto soli ne restar.
Otto poveri negretti
se ne vanno a passeggiar:
uno, ahimè, è rimasto indietro,
solo sette ne restar.
Sette poveri negretti
legna andarono a spaccar:
un di lor s’infranse a mezzo,
e sei soli ne restar.
I sei poveri negretti
giocan con un alvear:
da una vespa uno fu punto,
solo cinque ne restar.
Cinque poveri negretti
un giudizio han da sbrigar:
un lo ferma il tribunale,
quattro soli ne restar.
Quattro poveri negretti
salpan verso l’alto mar:
uno un granchio se lo prende,
e tre soli ne restar.
I tre poveri negretti
allo zoo vollero andar:
uno l’orso ne abbrancò,
e due soli ne restar.
I due poveri negretti
stanno al sole per un po’:
un si fuse come cera
e uno solo ne restò.
Solo, il povero negretto
in un bosco se ne andò:
ad un pino si impiccò,
e nessuno ne restò.

Quindi, questa mattina riflettiamo su una filastrocca per bambini, che deriva – ho provato a capire la genesi, ma confesso che è rimasta confusa, con le derivazioni e i cambi di nomi (e quindi riferisco con il beneficio del dubbio” – da una canzone popolare americana per bambini “Ten Little Injuns” (“injuns” è spregiativo americano per pellerossa) scritto dal cantautore Septimus Winner nel 1886.

Ten little Injuns standin’ in a line,
One toddled home and then there were nine;
Nine little Injuns swingin’ on a gate,
One tumbled off and then there were eight.
One little, two little, three little, four little, five little Injun boys,
Six little, seven little, eight little, nine little, ten little Injun boys.
Eight little Injuns gayest under heav’n.
One went to sleep and then there were seven;
Seven little Injuns cuttin’ up their tricks,
One broke his neck and then there were six.
Six little Injuns all alive,
One kicked the bucket and then there were five;
Five little Injuns on a cellar door,
One tumbled in and then there were four.
Four little Injuns up on a spree,
One got fuddled and then there were three;
Three little Injuns out on a canoe,
One tumbled overboard and then there were two.
Two little Injuns foolin’ with a gun,
One shot t’other and then there was one;
One little Injun livin’ all alone,
He got married and then there were none.

Copertina del libro di Frank J. Green del 1869.

Si pensa generalmente che questa filastrocca per bambini sia stata adattata da Frank J. Green nel 1869, per uno spettacolo di menestrelli, pubblicata inizialmente come “Ten Little Niggers” (Dieci piccoli negri o Dieci negretti) e successivamente trasformata in “Ten Little Indians” (Dieci piccoli indiani”) per non offendere la sensibilità dei cittadini neri, dato che “nigger” (negro) è utilizzato negli Stati Uniti come termine dispregiativo. Anche se è possibile che l’influenza sia stata il contrario, con “Ten Little Injuns” che è uno stretto riflesso del testo che divenne “Dieci piccoli indiani”.
Diversi varianti di questa canzone sono state pubblicate in molte lingue come libri per bambini; ciò che le varianti hanno in comune è che riguardano ragazzi dalla pelle scura che sono sempre bambini, che non imparano mai dall’esperienza.

La canzone è nota soprattutto perché la celebre giallista inglese Agatha Christie la inserì in uno dei suoi romanzi, il più noto e più venduto tra tutti i suoi libri (da cui sono tratti diversi film), da lei descritto come il più arduo dei suoi libri da scrivere. Uscì dapprima in 23 puntate sul “Daily Express” (6 giugno 1939 -1º luglio 1939). Fu poi pubblicato come libro in Gran Bretagna nel tardo 1939 e negli USA all’inizio del 1940, simultaneamente come libro e in 7 puntate sul ‘Saturday Evening Post” (20 maggio-1 luglio 1940). Il titolo del giallo ha avuto diverse variazioni. Fu originariamente pubblicato nel 1939 in Inghilterra come “Ten Little Niggers”, riprendendo il primo verso della filastrocca a cui si fa più volte riferimento nelle sue pagine. Il titolo subì una prima variazione l’anno seguente, in occasione dell’uscita negli Stati Uniti d’America: in questa circostanza venne scelto come nuovo titolo l’ultimo verso della filastrocca, “And Then There Were None”.
Agatha Christie si ispirò sicuramente al giallo che nel 1930 scrissero a quattro mani Gwen Bristow e Bruce Manning, marito e moglie, intitolato “L’ospite invisibile”. La trama mostra molti punti di contatto con la successiva opera della Christie: otto persone (all’inizio anche “Dieci piccoli indiani” di Christie prevedeva solo otto personaggi) vengono invitate in un attico, dove vengono ricevute dalla servitù; l’ospite misterioso parla loro, attraverso alcuni altoparlanti, annunciandogli che saranno i protagonisti di un macabro gioco: dovranno scoprire l’identità dell’assassino prima di essere uccisi uno ad uno.

Arnold Böcklin, ”Die Toteninsel” (L’isola dei morti), 1886, olio su tavola, 80x150cm, Museum der bildenden Künste, Lipsia. È la quinta di una serie di tele piene di mistero di, realizzate tra il 1880 e il 1886: la prima di maggio 1880, olio su tela, 111×155 cm, Kunstmuseum, Basilea; la seconda di giugno 1880, olio su tavola, 74×122 cm, The Metropolitan Museum of Art, New York; la terza del 1883, olio su tavola, 80×150 cm, Alte Nationalgalerie, Berlino; la quarta distrutta durante la Seconda Guerra Mondiale, olio su rame, 81×151 cm. “L’isola dei morti” accese la fantasia di Adolf Hitler, senza dubbio affascinato dall’oscura simbologia del dipinto. Il Führer acquistò la terza versione del dipinto nel 1933, per poi collocarla nel Berghof prima e nella Cancelleria del Reich poi. Esiste una foto raffigurante Hitler nel suo studio, in compagnia del Ministro degli Esteri sovietico Vjaceslav Michajlovic Molotov e del Ministro degli Esteri tedesco Joachim von Ribbentrop, uomini di stato che avevano sottoscritto il patto di mutua non aggressione tra Germania Nazista ed Unione Sovietica Comunista, in cui sulla parete è visibile proprio “L’Isola dei Morti”.

Agatha Christie era affascinata dalle atmosfere gotiche e dal mondo dell’occulto: “Agatha Christie possedeva… una conoscenza di prima mano dell’Altro Regno. Era convinta che l’umanità fosse in bilico fra due mondi” (Lippi, 1984).
In Italia la Arnoldo Mondadori Editore – prima casa editrice a pubblicare il romanzo in luglio 1946 – scelse la seconda versione, titolandolo “Dieci piccoli indiani andarono a pranzo… E poi non rimase nessuno”, Collana I LibriGialli Nuova serie n.10, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, luglio 1946,, ma non piacque, e così nel 1977 venne definitivamente cambiato in “Dieci piccoli indiani”, come il titolo della canzone di Septimus Winner, anche se i riferimenti all’interno del testo, filastrocca compresa, rimangono collegati ai “negretti”. Il nuovo titolo fu adottato in Italia ma non negli USA, dove rimane, ancora oggi, “And Then There Were None”.
Con il suo record di 110 milioni copie vendute, è il libro giallo più venduto in assoluto, e si è pertanto piazzato all’undicesimo posto nella classifica dei best seller con più incassi della storia (terzo posto se consideriamo solo i romanzi). Andrea G. Pinketts nel 2005 definì grandiosa la Christie di “Dieci piccoli indiani” in cui il delitto “non è più gioco di società, ma teatro dell’assurdo. L’assurdo della logica, forse”.

Dieci persone vengono invitate, da un misterioso signor Owen, a soggiornare a Nigger Island, una piccola isola al largo della costa del Devon. L’assassino, fin dall’inizio, tramite la sua voce registrata su un grammofono, accusa i dieci ospiti di aver commesso crimini che la giustizia non ha potuto punire. Intrappolate sull’isola, le dieci persone iniziano ad essere uccise a una a una, seguendo le rime di un’antica filastrocca…
Il giallo segue i canoni dell’enigma della camera chiusa doppia: i delitti si svolgono tutti in un ambiente circoscritto e quindi l’assassino deve essere per forza uno dei personaggi per quanto insospettabile sia. In questo libro il colpo di scena consiste nel fatto che i personaggi muoiono tutti. Infine, si tratta di un giallo in cui non c’è il personaggio dell’investigatore che risolve il caso. Questa sua assenza dalla scena del crimine fa emergere con maggiore forza narrativa il rapporto fra il male e il bene, tra la falsità e la colpevolezza degli invitati e l’implacabile giustizia che toglie loro la vita uno alla volta.
Nei libri della Christie il detective – Hercule Poirot, Miss Marple – è normalmente una figura salvifica, invulnerabile, un deus ex machina che ripristina l’originario stato di grazia smascherando il colpevole e consegnandolo alla giustizia. Mancando questa figura, i meccanismi del potere e della giustizia emergono con forza ancora maggiore, al punto che essi paiono reificarsi in qualche entità che sta snocciolando la catena di delitti, fino alla soluzione finale (come illustra Alex R. Falzon nella prefazione e postfazione alla prima edizione Oscar Mondadori di “10 piccoli indiani” in maggio 1982.

Arnold Böcklin, “Die Lebensinsel”(L’isola della vita), 1888, olio su legno, 94×140 cm, Kunstmuseum, Basilea.
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