Papa Francesco: un anno di missione per i nuovi nunzi apostolici

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La decisione papale di inserire nel curriculum formativo del personale diplomatico al servizio delle nunziature un anno da trascorrere in terra di missione arriva a pochi mesi dall’annuncio che papa Francesco aveva fatto nel discorso conclusivo del Sinodo per l’Amazzonia:

“Non solo, e questo è un suggerimento che ho ricevuto per iscritto, ma ora lo dico: che nel servizio diplomatico della Santa Sede, nel curriculum del servizio diplomatico, i giovani sacerdoti trascorrano almeno un anno in terra di missione, ma non facendo il tirocinio nella Nunziatura come si fa ora, che è molto utile, ma semplicemente al servizio di un vescovo in un luogo di missione. Questo punto sarà esaminato ma è anche una riforma da vedere”.

Ora questo punto diventa realtà per i nuovi alunni della Pontificia Accademia Ecclesiastica nell’anno accademico 2020/2021 tramite la lettera al presidente della Pontificia Accademia Ecclesiastica: “Sono convinto che una tale esperienza potrà essere utile a tutti i giovani che si preparano o iniziano il servizio sacerdotale, ma in modo particolare a coloro che in futuro saranno chiamati a collaborare con i Rappresentanti Pontifici e, in seguito, potranno diventare a loro volta Inviati della Santa Sede presso le Nazioni e le Chiese particolari”.

Quindi, scrivendo a mons. Joseph Marino, il papa ha chiesto che i nuovi nunzi abbiano anche  un’esperienza missionaria: “Per affrontare positivamente queste crescenti sfide per la Chiesa e per il mondo, occorre che i futuri diplomatici della Santa Sede acquisiscano, oltre alla solida formazione sacerdotale e pastorale, e a quella specifica offerta da codesta Accademia, anche una personale esperienza di missione al di fuori della propria diocesi d’origine, condividendo con le Chiese missionarie un periodo di cammino insieme alla loro comunità, partecipando alla loro quotidiana attività evangelizzatrice”.

Per questo ha chiesto una collaborazione con la Segreteria di Stato: “Allo scopo di elaborare in modo più approfondito e avviare bene tale progetto, occorrerà innanzitutto una stretta collaborazione con la Segreteria di Stato e, più precisamente, con la sezione per il personale di ruolo diplomatico della Santa Sede, nonché con i rappresentanti pontifici, i quali certamente non mancheranno di prestare un valido aiuto nell’individuare le Chiese particolari pronte ad accogliere gli alunni e nel seguire da vicino tale loro esperienza”.

Ed ha concluso che tale esperienza possa essere utile per la Chiesa: “Sono certo che, superate le iniziali preoccupazioni, che potrebbero sorgere di fronte a questo nuovo stile di formazione per i futuri diplomatici della Santa Sede, l’esperienza missionaria che si vuole promuovere tornerà utile non soltanto ai giovani accademici, ma anche alle singole Chiese con cui questi collaboreranno e, me lo auguro, susciterà in altri sacerdoti della Chiesa universale il desiderio di rendersi disponibili a svolgere un periodo di servizio missionario fuori della propria Diocesi”.

Inoltre è utile sottolineare anche un altro tema, che nei prossimi giorni, potrebbe essere al centro di discussioni, dopo una lettera al papa di p. José Ignacio González Faus, in cui si chiede un servizio ai popoli che non possono ricevere l’Eucarestia, che è l’essenzialità del cristianesimo: “Nella tua curia romana, fratello Francesco, ci sono legioni di presbiteri che vivono nel celibato e non hanno praticamente alcun lavoro ministeriale.

Molti di loro sono anche vescovi senza chiesa, contro l’esplicito divieto del concilio di Caledonia (già nel 451). Si tenta di eludere questo divieto assegnando loro una chiesa inesistente. Il che sembra una vera ipocrisia, che papa già Benedetto XVI voleva eliminare, ma la curia non lo ha permesso. Ebbene, sarebbe così assurdo inviare tutti questi preti della Curia nelle regioni perdute del Brasile, del Perù, del Ciad o di Tehuantepec, in modo che quei cristiani possano vedere adempiuto il loro diritto di celebrare l’Eucaristia?

La curia romana potrebbe essere occupata da fedeli laici, sposati e padri di famiglia. Perché nessuna legge ecclesiastica richiede il celibato per essere un impiegato, indipendentemente da quanto sia importante o sacro quest’ufficio”.

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