“Non ti pago!” Il libro di Porfiri “sul trattamento economico dei musicisti di Chiesa”

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Lo stato della musica per la liturgia in Italia è veramente scadente. Sembra un problema per pochi ma in realtà ci tocca, tutti, tocca anche coloro che non si professano cattolici, in quanto la grande musica occidentale deriva dalla musica sacra e il crollo di quest’ultima significa anche in crollo della cultura in generale.
Il Maestro Aurelio Porfiri richiama l’attenzione sul ruolo che il mancato riconoscimento del professionismo dei musicisti di Chiesa ha in questo processo. Nel suo libro “Non ti pago! Sul trattamento economico dei musicisti di Chiesa”, edito da Chorabooks (2020), oltre a raccoglie suoi articoli apparsi su Duc in Altum, ci sono anche alcune interviste, come quelle a Ettore Gotti Tedeschi e Robert Sirico, in cui si riflette e ci si interroga se è veramente questo stato di cose quello che il Concilio Vaticano II aveva voluto.
Inoltre, il volumetto è impreziosito dalla bella prefazione di Padre Samuele Cecotti, che da persona informata profondamente dalla vera dottrina sociale della Chiesa, dice tra l’altro, avverte: “Com’è possibile allora che oggi la Chiesa sia del tutto irrilevante rispetto alla musica contemporanea e alle altre arti? Com’è possibile che Colei che fu il sommo “mecenate” per millecinquecento anni almeno oggi non dia neppure da vivere a chi assicura settimanalmente la dignità musicale del culto? Il maestro Porfiri non si limita a denunziare, avanza pure una ipotesi di diagnosi rilevando il nesso inscindibile, tanto nel bene quanto nel male, tra musica sacra e Culto Divino, tra musica e liturgia. Ecco allora che lo stato penoso in cui versa la musica sacra cattolica da diversi decenni è come la cartina di tornasole d’una più grave crisi liturgica, d’uno smarrimento nella concezione stessa del culto cattolico”.
Un testo agile ma certamente molto intenso – per organisti, direttori di coro, cantori, parroci, vescovi e per tutti coloro che hanno a cuore il culto divino – che farà molto riflettere e vedere le cose, almeno l’autore lo spera, nella giusta e vera prospettiva.

Qualche riflessione del Maestro Aurelio Porfiri sul salmo responsoriale. Con delle note biografiche – 9 febbraio 2020

Ludovico Seitz, Cappella del Coro o Tedesca (1892-1902), la cappella absidale più ampia della Basilica di Loreto.

Le dimissioni dei cantori di Loreto. La risposta di Porfiri. La “rettifica” del Santuario di Loreto, che è una conferma

Nei giorni recenti, mentre era in uscita suo libro “Non ti pago! Sul trattamento economico dei musicisti di Chiesa”, il Maestro Aurelio Porfire si è trovato, suo malgrado, protagonista di una polemica, di cui ha fatto un piccolo riassunto per Stilum Curiae: “Era uscita su vari organi di stampa la notizia che la Santa Casa di Loreto aveva deciso di considerare come volontari (quindi non pagati) i membri professionisti della storica Cappella Musicale della Santa Casa, esistente dal sedicesimo secolo. Questi cantori si erano dimessi in blocco. Oltretutto quello che ricevevano non era neanche uno stipendio, ma un rimborso spese che andava a coprire per alcuni le spese di viaggio, visto che molti venivano da fuori Loreto. In un mio articolo su La Nuova Bussola Quotidiana ho espresso il mio rammarico e disappunto per questa decisione, il che ha provocato una reazione dell’ufficio stampa della Santa Casa di Loreto, che ha pregato il direttore de La Nuova Bussola Quotidiana di rettificare con un loro comunicato. In realtà, nella replica del Direttore Riccardo Cascioli, si evince come la loro replica non facesse che confermare in toto quanto avevo scritto, con l’ovvia differenza che loro pensavano che quanto era stato fatto era una cosa giusta, io ovviamente no (e moltissimi altri come me)”.

“Addio alla Schola di Loreto. Per ideologia e tirchieria” di Aurelio Porfiri – La Nuova Bussola Quotidiana, 5 febbraio 2020
O gratis o niente: dopo 500 anni la Schola Cantorum della Santa Casa di Loreto viene licenziata. Il vescovo Dal Cin avrebbe addotto problematiche economiche, ma i cantori ricevevano soltanto un rimborso spese di appena 150 euro al mese. Dietro il licenziamento anche l’allontanamento dello storico maestro perché la presenza della Schola non consentirebbe all’assemblea di cantare. Falsità e motivazioni ideologiche, cui faranno seguito ora nuovi cori melensi e decadenti. Tradendo il Concilio che raccomandava proprio di promuovere le scholae cantorum.

Da Loreto una rettifica che conferma – La Nuova Bussola Quotidiano, 5 febbraio 2020
La Delegazione pontificia per la Santa Casa di Loreto ha invia un minaccioso comunicato di rettifica riguardante l’articolo di Aurelio Porfiri sulla Cappella Musicale del santuario. Ma in realtà conferma quanto ha scritto, come viene illustrato nella replica del Direttore Riccardo Casciolo.

Fai musica sacra? E io non ti pago!
di Aurelio Porfiri

Duc in altum, 23 gennaio 2020
Qualcuno ha detto recentemente che il luogo dove meglio si applica la dottrina sociale della Chiesa è la Cina. Questo ha suscitato un certo e giustificato sdegno e poche voci si sono levate a sostegno di questa affermazione. Probabilmente sarebbe lo stesso se ci si domandasse qual è il luogo dove la dottrina sociale della Chiesa è meno applicata: mi viene in mente una voce vaticana di anni fa che diceva che questo luogo è… la Chiesa stessa. Sarà vero? Non lo so, ma qui mi viene da guardare a questa cosa dalla prospettiva della vita dei musicisti di Chiesa, di coloro che contribuiscono alla solennità della liturgia in modo veramente importante e che per dare questo contributo devono necessariamente studiare per molti anni. Devono acquisire una tecnica e anche saperla dominare, come insegnava Giovanni Paolo II nel 1981 nella Laborem exercens: «Se le parole bibliche “soggiogate la terra”, rivolte all’uomo fin dall’inizio, vengono intese nel contesto dell’intera epoca moderna, industriale e post-industriale, allora indubbiamente esse racchiudono in sé anche un rapporto con la tecnica, con quel mondo di meccanismi e di macchine, che è il frutto del lavoro dell’intelletto umano e la conferma storica del dominio dell’uomo sulla natura». Questo dominio nel campo dell’arte e della musica si conquista a caro prezzo e spesso mai completamente. Ecco perché l’arte è bella per chi la gode, ma spesso è una croce per chi la fa. Molti artisti e musicisti hanno vissuto sulla propria pelle le contraddizioni di una vita sacrificata ad un ideale così alto, forse troppo. Ma non c’è dubbio che l’artista per vivere deve mangiare. Da questo non si scappa. Quindi, come ogni artigiano e operaio, ha diritto alla giusta mercede.
Leone XIII nella Rerum novarum, in polemica con la pretesa socialista, osservava: «E infatti non è difficile capire che lo scopo del lavoro, il fine prossimo che si propone l’artigiano, è la proprietà privata. Poiché se egli impiega le sue forze e la sua industria a vantaggio altrui, lo fa per procurarsi il necessario alla vita: e però con il suo lavoro acquista un vero e perfetto diritto, non solo di esigere, ma d’investire come vuole, la dovuta mercede. Se dunque con le sue economie è riuscito a far dei risparmi e, per meglio assicurarli, li ha investiti in un terreno, questo terreno non è infine altra cosa che la mercede medesima travestita di forma, e conseguente proprietà sua, né più né meno che la stessa mercede. Ora in questo appunto, come ognuno sa, consiste la proprietà, sia mobile che stabile. Con l’accumulare pertanto ogni proprietà particolare, i socialisti, togliendo all’operaio la libertà di investire le proprie mercedi, gli rapiscono il diritto e la speranza di trarre vantaggio dal patrimonio domestico e di migliorare il proprio stato, e ne rendono perciò più infelice la condizione». Ora io già prevengo l’obiezione che dice: quando si fa una cosa per la Chiesa bisogna farla gratuitamente. Ma questa è un’affermazione mal posta e portata avanti da coloro che non vogliono riconoscere i diritti di chi lavora o che vogliono fare i buonisti sulla pelle degli altri, perché magari possono parlare dall’alto degli stipendi che (giustamente) percepiscono per altre attività lavorative al di fuori della Chiesa. I sagrestani non sono forse pagati? E coloro che portano i fiori in Chiesa? Gli stessi sacerdoti non vengono (giustamente) stipendiati? Eppure i musicisti no, i musicisti devono fare tutto gratis et amore Dei. Così la Chiesa si svuota di professionalità per riempirsi di un dilettantismo di basso livello (ci sono dilettanti anche di livello molto alto).
Tuto ciò accade anche perché a giudizio di molti l’attività creativa non sarebbe un lavoro vero e proprio, ma uno svago. Dunque perché pagare qualcuno che si diverte? Ma la fatica dell’artista può essere ben rappresentata da questa frase di James Joyce: «Cercare adagio, umilmente, costantemente di esprimere, di tornare a spremere dalla terra bruta o da ciò ch’essa genera, dai suoni, dalle forme e dai colori, che sono le porte della prigione della nostra anima, un’immagine di quella bellezza che siamo giunti a comprendere: questo è l’arte». E questo «spremere dalla terra bruta» costa una fatica grande, specialmente quando si cerca di esprimere quello che in fondo è inesprimibile, la maestà di Dio. Se non vediamo il problema da questa prospettiva, compiamo un errore di metodo. Pretendiamo che l’attività creativa sia una sottospecie del nostro essere presenti nel mondo, quando invece ne è un aspetto fondante. Dovremo allora capire in che modo l’attività artistica e musicale è lavoro vero e proprio con sue caratteristiche specifiche.
Benedetto XVI nel corso di un’udienza del 2011 affermava: «Forse vi è capitato qualche volta davanti ad una scultura, ad un quadro, ad alcuni versi di una poesia, o ad un brano musicale, di provare un’intima emozione, un senso di gioia, di percepire, cioè, chiaramente che di fronte a voi non c’era soltanto materia, un pezzo di marmo o di bronzo, una tela dipinta, un insieme di lettere o un cumulo di suoni, ma qualcosa di più grande, qualcosa che “parla”, capace di toccare il cuore, di comunicare un messaggio, di elevare l’animo. Un’opera d’arte è frutto della capacità creativa dell’essere umano, che si interroga davanti alla realtà visibile, cerca di scoprirne il senso profondo e di comunicarlo attraverso il linguaggio delle forme, dei colori, dei suoni. L’arte è capace di esprimere e rendere visibile il bisogno dell’uomo di andare oltre ciò che si vede, manifesta la sete e la ricerca dell’infinito. Anzi, è come una porta aperta verso l’infinito, verso una bellezza e una verità che vanno al di là del quotidiano. E un’opera d’arte può aprire gli occhi della mente e del cuore, sospingendoci verso l’alto». Ecco, per aprire questa porta sull’infinito ci vuole molta forza, una forza che si conquista con decenni e decenni di dura pratica e studio, col mettersi alla scuola di una tradizione per attingerne gli insegnamenti perenni. Questo non viene gratuitamente e gratuitamente non va dato. Il musicista di Chiesa svolge un servizio per la comunità e se lo svolge bene ha diritto ad un giusto riconoscimento, un diritto che spesso viene bellamente negato.

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