Essere bigotto, non volendo pensare. Peggio di così si muore, bigottamente

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“Il vero bigottismo è quando non è possibile vedere i fatti, perché le vostre convinzioni stanno bloccando la strada” (Lawrence D. Elliott).

“Il viaggio è fatale al pregiudizio, al bigottismo e alla ristrettezza mentale” (Mark Twain).

Osserviamo, nei tempi che corrono – in interventi e commenti – la diffusione esponenziale di un virus chiamato “bigottismo”, nonostante esistono degli antivirus efficacissimi, la lettura della Parola, la preghiera e l’uso del cervello, per pensare, prima di parlare o scrivere.
Quindi, Valentina Villano – che non solo è mia compagna, una psicologa clinica esperta e neo collaboratrice a Korazym.org con la sua rubrica “La Mente-Informa”, ma anche tra miei suggeritori più ricorrenti – seguendo la mia attività comunicativa, questa mattina mi ha sollecitato di dedicare la parola del giorno per oggi al “bigottismo”.

Il sostantivo maschile “bigottismo” (e “bigotteria”, bacchettoneria, ipocrisia elevata a sistema di vita), derivato dall’aggettivo e sostantivo maschile “bigotto” (chi, che mostra una religiosità esteriore, dato alla devozione, acritica e intransigente, e -in cattivo significato – inclinato all’iprocrisia) dal francese “bigot”, in origine era epiteto spregiativo dato ai Normanni, forse per un loro intercalare, l’esclamazione normanna in inglese antico “bî Got” (per Dio).
La voce “bigot” è probabilmente affine a “gagot” (falso devoto), dal provenzale “cagot”, composta da “ca-“ (latino, canie) + “got” (cioè, cane di un goto, applicato per spregio ai Visigoti, odiati quali ariani dai francesi cattolici del mezzogiorno, o come altri sostengono, dato sotto gli ultimi Merovingi a certo Goti e Arabi rifugiati ai piè de’ Pirenei, che probabilmente fingevano d’esser cristiani per sfuggire alle persecuzioni e indi applicato a certe popolazioni del Bearnese e dei Paesi Baschi.
Tra il IX e il X secolo d.C., il capo vichingo Hrôlfr (meglio conosciuto come Rollone) saccheggiò in lungo e in largo il nord della Francia, giungendo ad assediare anche Parigi. Incapace di sconfiggerlo, il re franco Carlo il Semplice gli concesse il Ducato di Normandia, a patto che facesse atto di sottomissione e si convertisse al cristianesimo. La cerimonia d’investitura prevedeva che Rollone baciasse il piede di Carlo, ma l’orgoglioso vichingo rifiutò di abbassarsi a tanto, affidando l’ingrato compito ad un suo uomo. Questi, però, invece di inchinarsi sollevò verso di sé il piede del sovrano, facendogli perdere l’equilibrio e provocandone una ben poco regale caduta all’indietro, fra le risa sguaiate dei nordici astanti. Narrano le cronache medievali che Rollone manifestasse il suo rifiuto di sottomettersi esclamando: “ne se, bî Got!” (in lingua norrena, “giammai, per Dio!”). Secondo Gilles Ménage, autore dei primi dizionari etimologici sia del francese sia – con grande scorno dei cruscanti – dell’italiano (1669), è da allora che i normanni furono soprannominati “bigots”. Comunque, anche a voler dubitare – giustamente – che il termine discenda dritto dal goliardico siparietto di Rollone, è certo che i normanni erano soprannominati “bigots” dai franchi (presumibilmente perché usi a pronunciare l’intercalare “bî Got”), e che alcuni secoli dopo, in francese, la parola passò a designare gli eccessivamente devoti, coloro che avevano sempre sulle labbra il nome di Dio. Ancora oggi, quasi tutti i dizionari (seppur dubitativamente) fanno risalire l’etimo del francese “bigot” – che ha originato l’italiano “bigotto”, l’inglese “bigot” e il tedesco “Bigott” – all’interiezione “bî Got” tipica dei normanni.
L’elenco dei sinonimi di “bigotto” (bacchettone, beghino, baciapile, pinzochero, collotorto, paolotto, picchiapetto, leccasanti, spigolistro, bizzoco, collotorto, picchiapetto, fariseo, ipocrita, moralista, puritano, tartufo; con i contrari: anticlericale, ateo, miscredente; e gli accrescitivi: blasfemo, empio, mangiapreti) offre un lessico – come al solito, quando si tratta dell’ingiuria – decisamente prolisso.
Ma tra tanti epiteti, nessuno che associ una religiosità, più ostentata che intimamente vissuta, al fatto di portare i baffi. Pertanto, imbattendoci nella parola spagnola “bigote” (baffi) e provenzale “bigote” (basetta, mostacci), diamo per scontato che l’assonanza col nostro “bigotto” sia puramente casuale. Ma che gusto ci sarebbe, se così fosse? Pare che in Spagna, diversamente che a nord dei Pirenei, nel XV secolo non fosse costume portare i baffi. Durante la Reconquista di Granada (1482-1492), ultima roccaforte dei Mori in terra iberica, le forze cristiane potevano contare su numerosi volontari e mercenari svizzeri e tedeschi, spesso foltamente baffuti. Giacché costoro, a quanto pare, proferivano volentieri il famoso “bî Got” o l’esclamazione in tedesco antico “bi [bei] Gott” (per Dio, quasi in nome di Dio), che pare suolesse in Germania ricorre frequentemente alla bocca dei devoti – come oggi si dice “mamma mia”, a chi da adulto affetti maniere timide e vergognose, alla pari di un bambino – gli spagnoli presero a chiamarli “bigotes” – o forse, semplicemente, erano a conoscenza del soprannome, che da secoli contrassegnava gli “uomini del nord”. In ogni caso, la parola passò ben presto a designare il tratto fisico precipuo, agli occhi degli spagnoli, di quei soldati, cioè i baffi. Ma è proprio impossibile rintracciare un legame tra “bigottismo” e “baffi”, così come avviene col “collo” (torto, perché sempre reclinato per ostentare devozione) e col “petto” (picchiato ripetutamente in segno di penitenza)? Forse no. Un tempo, in spagnolo “tener bigotes” equivaleva al nostro “avere gli attributi”, “essere un duro”. E duri lo erano senz’altro, quei guerrieri nordici, giunti fino in Spagna per combattere gli infedeli musulmani. Sulla loro bocca quel “bî Got” non era certo segno di un animo pio e mansueto: era un grido di guerra in cui il nome di Dio, com’è sempre accaduto e continua ad accadere, non è che una misera foglia di fico sulle umane follie.
Invece, lo Scheler trae “bigotto” dal celto bretone “cacadd” (lebroso), piegato sotto l’influenza della voce “bigot”.
Altri sostengono che “bigotto” deriva da “Wisigoth” (Visigoto), preso come titolo di sprezzo.
Il Wedgwood pensa che sia una voce formata, come le parole “beghina”, “bizzoco” e “pinzochero”, da “bigio”, che era il colore dell’abito delle persone date alle pratiche religiose e alla penitenza.
Il Flechia congiunge la parola “bigotto” etimologicamente, insieme alla voce “beghina”, a “bego”, “bigo”, “bico”, forme dialettali del toscano “baco”, usato in senso dispregiativo (cfr. bighero, bighellone).
Infine, qualcuno accenna ad altre voci formate sul tema “bigot”, quali l’antico francese “bigote”, “bigotelle” (borsa da portarsi alla cintola), “bigoter” (andare in collera), come anche il provenzale “bigote” (basetta, mostacci), dato che possano esser voci derivanti da un medesimo stipe.
Bigotto, come aggettivo: di persona bigotta. Sinonimi: moralista, pretaiolo. Diminutivo: casa e chiesa.
Bigottamente: in modo bigotto.

“Mia madre era religiosissima, bigotta fino all’inverosimile” (Palazzeschi); avere una mentalità bigotta; come sostantivo: è un bigotto; non è altro che una bigotta ottusa.

Quindi, “bigottismo” (l’essere bigotto, azione o comportamento da bigotto), significa:

1. In ambito religioso, con valore spregiativo, di persona chi assiduamente e scrupolosamente osserva con zelo esagerato le pratiche esteriori della religione, osservando con ostentazione e pignoleria tutte le regole del culto, senza afferrarne l’intima essenza religiosa.

2. In antropologia, osservazione molto superficiale di una religione, che contrasta con atteggiamenti reali poco convenzionali.

3. Per estensione, con valore spregiativo, mascheramento di devozione soltanto in apparenza celando le abitudini più vili e biasimevoli, quali ghiottoneria, maldicenza, perversione, connaturata crudeltà nonché la stessa irrisione dei veri valori religiosi.

“La divozione, volta in bigottismo dalle anime false e corrotte, può viziar la coscienza peggio che ogn’altra abitudine di perversità” (Ipolito Nievo).

Senz’altro, i social network sono stati terreno molto fertile per la diffusione virale, non solo del superficialismo, del perditempismo, del provocazionismo e del trollismo, ma anche del bigottismo verbale e soprattutto mentale. Il bigottismo cerca di tenere al sicuro la verità in mano con una presa che uccide. Come i provocatori, i perditempo e i troll, anch i bigotti, con ogni intervento perdono una grande occasione di tacere, scegliendo piuttosto di togliere ogni dubbio.

Studiando da psicologa clinica, con rigore e meticolosità, la mente umana, Valentina Villano ha osservato, in riferimento ad alcuni casi recenti di “bigottismo” riscontrati nei social, che “ci troviamo di fronte a dilettanti allo sbaraglio, con potere, purtroppo” e che “la non tollerabilità è sempre avvertita in maniera soggettiva. Non amiamo il rumore – ha aggiunto -, siamo intolleranti verso cose simili, ma fiduciosi che educare le persone a pensare, porterà buoni frutti. Ovviamente è un lavoro lungo, ma una volta assimilato e accomodato sarà intramontabile”.

“Se gli ostacoli di bigottismo e clericalismo possono essere superati, possiamo sperare che il buon senso sarà sufficiente a fare tutto il resto” (Thomas Jefferson).

Ogni miglioramento inizia migliorando la mente, con il pensare e il fare delle scelte, andando fin in fondo.

Fonti linguistici: Treccani.it, Etimo.it, Unaparolaalgiorno.it.

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