Mons. Nosiglia: don Bosco mostra la santità di Gesù ai giovani

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Venerdì 31 gennaio Torino ha celebrato san Giovanni Bosco nella basilica Maria Ausiliatrice con l’arcivescovo, mons. Cesare Nosiglia, attraverso il passo evangelico della guarigione di un giovane, ripetendo la teoria educativa del santo dei ragazzi:

“Questo fatto può essere esteso a tante situazioni di ragazzi e ragazze giudicati scapestrati per il loro comportamento, che allarma genitori ed educatori. Sono gli stessi che si è trovato ad affrontare San Giovanni Bosco, del quale oggi celebriamo la festa.

Si tratta di ‘ragazzi difficili’, come vengono chiamati, ma pur sempre ragazzi, che attendono da noi segnali concreti di prossimità, di amore nella verità e di dialogo sincero e attento alle loro esigenze più profonde, che manifestano a volte anche con modi, linguaggi, scelte e comportamenti giudicati paradossali e trasgressivi da noi educatori”.

Ha sottolineato che i ragazzi comunicano sempre agli adulti che molto spesso non capiscono il linguaggio: “Don Bosco ci insegna che questi ragazzi parlano con noi sempre, anche quando sembrano assenti e indifferenti; lo fanno con linguaggi inusuali, forse, ma molto chiari per chi sa interpretarli e se ne fa carico”.

Quindi l’invito a comprendere i nuovi linguaggi usati per mettere alla ‘prova’ gli adulti: “Solo accogliendo ed intercettando questi linguaggi possiamo sperare di entrare nel loro mondo interiore e stabilire un contatto non solo esteriore ma profondo ed amicale. Il problema è non lasciarsi fermare o scandalizzare dalle loro volute e cercate provocazioni verso il mondo degli adulti e verso tutto ciò che contestano. Nel profondo, restano ragazzi in ricerca del senso della vita, di affetti sinceri, di gioia e speranza per il futuro”.

In sostanza per don Bosco l’educazione è questione di cuore: “Ci mettono alla prova per vedere se dalle belle parole sappiamo passare ai fatti, se oltre a parlare di amore, di rispetto e di tolleranza sappiamo esercitare queste virtù verso di loro, accettandone i comportamenti non come ‘difficili o da giudicare’ secondo i nostri schemi adulti, ma da comprendere nelle loro cause più profonde e da gestire con serenità, pazienza e fiducia. L’educazione, diceva Don Bosco, è una questione di cuore, prima che di regole decise dagli adulti”.

Riprendendo la parabola evangelica l’arcivescovo ha sottolineato che nessun ragazzo è perduto: “Nessun ragazzo e ragazza è dunque considerato “morto”, perduto per sempre, da parte di Gesù.

Così, Don Bosco non ha mai considerato un ragazzo irrimediabilmente perduto, tanto da non tentare un ricupero,da non concedergli fiducia,da non dirgli con forza: ‘TalitàKum’, alzati e cammina. Per lui però Gesù Cristo resta non solo modello insuperabile di educazione, ma è anche il fine ed il contenuto, per ogni educatore.

In effetti, la conoscenza di chi sono i ragazzi e di come interpretare le loro ansie, problemi e situazioni di vita è importante, ma non è tutto. Occorre scendere poi nel concreto della proposta da fare. L’educatore deve rapportarsi con loro, sapendo bene che cosa dire e come dirlo, perché passino contenuti ed esempi di vita”.

Ha sottolineato il valore delle esperienze con i ragazzi: “Così, è importante fare esperienze con i ragazzi, ma è anche importante saper riflettere con loro sulle esperienze fatte e cogliere in esse i valori positivi o critici. Quello di cui siamo oggi più carenti sono proprio le convinzioni ed i contenuti che dobbiamo comunicare ai ragazzi. Essi se ne accorgono subito, quando siamo incerti nella proposta e timidi nell’offerta di valori e messaggi convincenti.

Gesù Cristo resta il contenuto centrale di ogni educazione, perché solo Lui  può veramente affascinare e interessare fino in fondo i ragazzi. Tra Gesù ed ogni ragazzo c’è un rapporto profondo ed intenso, che non dobbiamo mai sottovalutare. La sua persona, il suo messaggio ed i suoi esempi vanno dunque posti a fondamento di ogni azione educativa, che voglia veramente intercettare le attese e i bisogni più veri e profondi dei ragazzi”.

Terminando l’omelia ha invitato educatore ed adulti allo studio, come sollecitava anche il santo torinese, ma soprattutto a raccontare loro Gesù: “Eppure, don Bosco non aveva a disposizione tutti gli studi psicologici, pedagogici e sociologici che abbiamo noi oggi e che ci descrivono a puntino chi è il ragazzo, cosa pensa di sé, che cosa desidera.

Aveva però quello che vale per affascinarli: la santità della sua stessa vita, la forza trascinante del suo stesso esempio. In effetti, oggi al capezzale di tanti ragazzi giudicati difficili e bisognosi di cura si affollano esperti di ogni genere, che scrivono libri su libri e sentenziano in modo assoluto su questo o quel metodo per risuscitarli alla vita.

Gesù, e chi lo segue, sa bene che sta nei ragazzi stessi la fonte prima del loro risveglio e fa leva sulle loro risorse interiori, per ridare loro la voglia di vivere, di amare, di gioire. Sia questa la convinzione profonda che ci anima: non ci sono solo ragazzi difficili; ci sono, e siamo noi, adulti difficili e complicati, incerti nella nostra testimonianza, indecisi e tiepidi nella fede e paternalistici nell’amore.

Solo l’educatore che sa mettersi in crisi, a partire da se stesso, può trovare nell’umiltà la via che apre all’incontro con i ragazzi e comunicare con il loro mondo interiore”.

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