I vescovi italiani chiedono di aprire le porte alla vita

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Domenica 2 febbraio la Chiesa italiana celebra la ‘Giornata per la vita’, istituita nel 1978, pochi giorni prima dell’approvazione della legge 194, quando il segretario generale, mons. Luigi Maverna, spiegò che Chiesa ‘non si rassegnava e non si sarebbe rassegnata mai’. Il tema, scelto dai vescovi, è un’esortazione, che si basa sulla domanda del giovane ricco a Gesù, ‘Aprite le porte alla vita’:

“La domanda che il giovane rivolge a Gesù ce la poniamo tutti, anche se non sempre la lasciamo affiorare con chiarezza: rimane sommersa dalle preoccupazioni quotidiane. Nell’anelito di quell’uomo traspare il desiderio di trovare un senso convincente all’esistenza”.

La domanda del giovane sollecita la risposta di Gesù: “La risposta introduce un cambiamento, da avere, a entrare che comporta un capovolgimento radicale dello sguardo: la vita non è un oggetto da possedere o un manufatto da produrre, è piuttosto una promessa di bene, a cui possiamo partecipare, decidendo di aprirle le porte. Così la vita nel tempo è segno della vita eterna, che dice la destinazione verso cui siamo incamminati”.

Nella lettera i vescovi sottolineano che vivere l’esperienza cristiana dell’appartenenza cambia la visione della vita: “E’ solo vivendo in prima persona questa esperienza che la logica della nostra esistenza può cambiare e spalancare le porte a ogni vita che nasce… All’inizio c’è lo stupore. Tutto nasce dalla meraviglia e poi pian piano ci si rende conto che non siamo l’origine di noi stessi”.

Prendendo spunto da papa Francesco, i vescovi rimarcano che la vita è necessaria per comprendere il significato di figliolanza: “Non tutti fanno l’esperienza di essere accolti da coloro che li hanno generati: numerose sono le forme di aborto, di abbandono, di maltrattamento e di abuso.

Davanti a queste azioni disumane ogni persona prova un senso di ribellione o di vergogna. Dietro a questi sentimenti si nasconde l’attesa delusa e tradita, ma può fiorire anche la speranza radicale di far fruttare i talenti ricevuti”.

Solo percependo il significato di figlio si può essere responsabili: “Solo così si può diventare responsabili verso gli altri… Se diventiamo consapevoli e riconoscenti della porta che ci è stata aperta, e di cui la nostra carne, con le sue relazioni e incontri, è testimonianza, potremo aprire la porta agli altri viventi.

Nasce da qui l’impegno di custodire e proteggere la vita umana dall’inizio fino al suo naturale termine e di combattere ogni forma di violazione della dignità, anche quando è in gioco la tecnologia o l’economia. La cura del corpo, in questo modo, non cade nell’idolatria o nel ripiegamento su noi stessi, ma diventa la porta che ci apre a uno sguardo rinnovato sul mondo intero: i rapporti con gli altri e il creato”.

Concludono il messaggio sottolineando che la vita è una legge fondamentale: “Sarà lasciandoci coinvolgere e partecipando con gratitudine a questa esperienza che potremo andare oltre quella chiusura che si manifesta nella nostra società ad ogni livello.

Incrementando la fiducia, la solidarietà e l’ospitalità reciproca potremo spalancare le porte ad ogni novità e resistere alla tentazione di arrendersi alle varie forme di eutanasia. L’ospitalità della vita è una legge fondamentale: siamo stati ospitati per imparare ad ospitare”.

Solo l’ospitalità è la via per accogliere la vita: “Ogni situazione che incontriamo ci confronta con una differenza che va riconosciuta e valorizzata, non eliminata, anche se può scompaginare i nostri equilibri. E’ questa l’unica via attraverso cui, dal seme che muore, possono nascere e maturare i frutti.

E’ l’unica via perché l’uguale dignità di ogni persona possa essere rispettata e promossa, anche là dove si manifesta più vulnerabile e fragile. Qui infatti emerge con chiarezza che non è possibile vivere se non riconoscendoci affidati gli uni agli altri. Il frutto del Vangelo è la fraternità”.

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