Siria, la comunità cristiana di Damasco e la sfida dei rifugiati iracheni

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L’accoglienza, per le centinaia e centinaia di rifugiati iracheni che ogni giorno arrivano a Damasco, è assicurata. Ma c’è un problema: si chiama integrazione e poi, quando arrivano, “i rifugiati portano con loro l’odio, la guerra e la rabbia”. Il fenomeno dei rifugiati iracheni in Siria, tra cui anche i cristiani in fuga, è la principale sfida che il Paese deve affrontare. Si calcola che finora siano arrivati in Siria 2 milioni di rifugiati iracheni, tra cui 200 mila cristiani.

“Ogni giorno arrivano tantissimi cristiani caldei dall’Iraq – dice padre Antonio Musleh, parroco della Chiesa di San Giovanni damasceno, cattedrale greco-melchita cattolica di Damasco, durante un incontro nella capitale siriana promosso dall’Opera Romana Pellegrinaggi in collaborazione con il Ministero del Turismo siriano – ma l`integrazione è un po’ difficile: un conto è quando arriva una famiglia, ma quando arrivano due milioni di persone è un’altra cosa. Hanno creato molti problemi – prosegue – con sé hanno portato l’odio, la guerra, la rabbia. Sono aumentati in modo notevole anche la prostituzione e i furti. Da parte nostra – prosegue – stiamo facendo di tutto per aiutarli, e anche lo Stato ha fatto il possibile: ha inserito tutti i bambini nelle scuole e tutte le persone hanno l’assistenza sanitaria come i siriani. Ma non è facile – spiega – perché costa troppo, non sono organizzati e anche perché molti non accettano l’integrazione e pensano di emigrare in Occidente. Hanno bisogno di aiuto anche psicologico oltre che materiale”.

Il parroco greco-melchita ci accoglie nella Cattedrale, illustra le icone e le bellezze del luogo di culto nel cuore della città vecchia di Damasco. Spiega come sono i rapporti tra cristiani e anche come procede il dialogo con l’Islam. “La Siria è un esempio di convivenza delle comunità cristiano-musulmane per il mondo intero – sottolinea – c’è tolleranza, mentre per la libertà religiosa dipende da cosa si intende. Non c’è libertà assoluta – osserva – anche se dentro la comunità siamo liberi di fare tutto, processioni, riti. Ma ci sono alcuni limiti dovuti alle leggi in materie religiose, come per esempio per quanto riguarda i matrimoni misti”.

Per gli ebrei, padre Antonio afferma che “sono usciti dalla Siria da tanti anni per questioni politiche”, mentre con i musulmani “noi cristiani viviamo da secoli, e finora, e sottolineo finora, grazie al Signore, non abbiamo mai avuto problemi. Certo che con quel che succede intorno a noi non possiamo essere sicuri”, osserva. Il parroco greco-melchita analizza poi le sfide del paese. “Non dimentichiamo che in Medio Oriente c’è la guerra – dice – ma prima di tutto c’è un problema economico; per cui la prima sfida per i giovani di oggi è il lavoro. Inoltre, per quanto mi riguarda, c’è una atmosfera non buona qua intorno, un clima di rabbia e di odio. E’ vero, la guerra è in Iraq, ma anche qui in Siria sento tutto ciò che succede”.

Quest’anno Damasco e tutta la Siria ospiteranno le celebrazioni dell’Anno Paolino, indetto dal Papa in occasione del bimillenario della nascita dell’Apostolo delle Genti. “L’Anno Paolino ha un grande significato per Damasco, per tutti i cristiani e per tutto il mondo. San Paolo – prosegue padre Antonio – è arrivato a Damasco per uccidere i cristiani ed è andato via per portare a tutti la pace di Cristo. Oggi abbiamo tante guerre e conflitti e abbiamo bisogno di pace. Per questo bisogna seguire il suo esempio”. Numerose sono le iniziative promosse per l’Anno Paolino. “Ad agosto – dice il parroco – ci sarà un pellegrinaggio a Tarso, mentre ad ottobre 130 membri della Conferenza episcopale italiana effettueranno un pellegrinaggio in Siria”.

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