Inizio il nuovo anno con un ragionamento

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Chi ben comincia è a metà dell’opera, dice il proverbio.

“Anche se il timore avrà più argomenti, scegli la speranza e metti fine alla tua angoscia (…) Nessuno resiste a se stesso quando ha cominciato ad essere inquieto e non riconduce i suoi timori alla verità” (Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio, XIII).

Se chi ti sta intorno vorrà persuaderti della tua infelicità, promettimi di badare non a quello che ascolti, ma a quello che provi e di decidere in base alla tua fermezza; chiedi a te stesso, che ti conosci meglio di tutti: “Perché costoro mi compiangono? Perché stanno in allarme, perché hanno paura anche di toccarmi, quasi che le disgrazie fossero contagiose? È veramente un male o, più che di un male, si tratta di una valutazione errata?” Chiediti: “Forse mi cruccio e mi affliggo senza motivo e mi creo un male che non esiste?”
“In che modo,” domandi, “posso capire se mi angustio a torto o a ragione?” Eccoti una norma per stabilirlo: o ci tormentiamo per il presente o per il futuro o per entrambi. Del presente è facile giudicare: se sei libero, sano e non subisci dolorose violenze, guarderemo al futuro: oggi non c’è motivo di crucciarsi.
“Ma ci sarà”. Innanzi tutto considera se ci sono sicuri indizi di un male prossimo: il più delle volte, infatti, stiamo in ansia solo per sospetti e ci facciamo gabbare da quelle dicerie che riescono a determinare la sorte di una guerra e che a maggior ragione determinano la sorte dei singoli. È così, mio caro: crediamo facilmente alle supposizioni; non mettiamo a fuoco le cause delle nostre paure e non ce le scuotiamo di dosso; ci agitiamo e voltiamo le spalle come soldati che abbandonano l’accampamento per il polverone sollevato da un branco di pecore in fuga o come quelle persone che si lasciano spaventare da racconti di cose prive di fondamento e di cui non è noto nemmeno l’autore.
Non so perché le paure infondate turbino di più; quelle fondate hanno un loro limite: tutto ciò che è incerto è in balia delle congetture e dell’arbitrio di un animo terrorizzato. Perciò niente è così dannoso, così irrefrenabile come il panico; le altre forme di timore sono irrazionali, questa è dissennata.
Esaminiamo, perciò attentamente, la questione. È verosimile che in futuro accada qualche male: ma non è proprio sicuro. Quanti eventi inaspettati sono accaduti! E quanti, attesi, non si sono mai verificati. E se anche capiterà, a che giova andare incontro al dolore? Ti dorrai a sufficienza quando il male arriverà: frattanto augurati il meglio.
Che ci guadagnerai? Tempo. Possono intervenire molti fattori per cui un pericolo vicino oppure ormai prossimo si ferma o cessa o piomba addosso a un altro; spesso in un incendio si è offerta una possibilità di fuga; qualcuno è uscito illeso da un crollo; a volte la spada è stata ritirata proprio al momento dell’esecuzione; altri è sopravvissuto al suo carnefice. Anche la sfortuna è mutevole. Forse sarà, forse non sarà, nel frattempo non è; tu spera nel meglio.
Talora, benché non ci siano segni manifesti che preannuncino qualche disgrazia, l’animo si crea mali immaginari: o travisa in peggio una parola ambigua o ingigantisce un’offesa ricevuta e pensa non a quanto l’altro è in collera, ma a quanto è lecito a chi è in collera. Ma non c’è nessun motivo di vivere, nessun limite alle sventure, se si teme tutto quello che può accadere. Qui giova essere savi: respingi con forza d’animo la paura anche se motivata; se no, scaccia una debolezza con un’altra: modera il timore con la speranza. Gli eventi temuti non si verificano e quelli sperati deludono: è una verità più certa di tutte le nostre paure.
Considera, quindi, speranza e timore e quando tutto sarà incerto, favorisci te stesso: credi ciò che preferisci. Anche se il timore avrà più argomenti, scegli la speranza e metti fine alla tua angoscia; rifletti che la maggior parte degli uomini si arrovella e si agita, benché non ci siano mali presenti né certezza di mali futuri. Nessuno resiste a se stesso quando ha cominciato ad essere inquieto e non riconduce i suoi timori alla verità; nessuno dice: “Mente chi sostiene questo, mente: o se l’è inventato o crede a dicerie.” Ci lasciamo trascinare dal vento; temiamo l’incerto come se fosse certo; non abbiamo il senso della misura, subito un dubbio si trasforma in timore.
(Seneca, Lettere a Lucilio, XIII, 6-13).

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