Mons. Delpini: benvenuto futuro

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Nel Discorso alla Città di Milano, nella basilica di sant’Ambrogio, l’arcivescovo, mons. Mario Delpini, ha invitato a guardare con coraggio all’avvenire affidandosi alla promessa di Dio, facendo una panoramica degli avvenimenti cittadini nell’arco di 50 anni (della strage di piazza Fontana alla sollecitudine per le nuove generazioni, dal sostegno a famiglia e lavoro all’attenzione all’immigrazione e alla ‘casa comune’), ma concludendo con una visione cattolica:

“Io non sono ottimista, io sono fiducioso. Non mi esercito per una retorica di auspici velleitari e ingenui. Intendo dar voce piuttosto a una visione dell’uomo e della storia che si è configurata nell’umanesimo cristiano. Credo nella libertà della persona e quindi alla sua responsabilità nei confronti di Dio, degli altri, del pianeta. E credo nella imprescindibile dimensione sociale della vita umana, perciò credo in una vocazione alla fraternità”.

Come ogni anno il pastore della Chiesa ambrosiana si è rivolto a tutta la città, alle autorità civili, religiose, militari, economiche proponendo un cammino per la vita degli uomini, ‘Benvenuto, futuro!’: “Non coltivo aspettative fondate su calcoli e proiezioni. Sono invece uomo di speranza, perché mi affido alla promessa di Dio e ho buone ragioni per aver stima degli uomini e delle donne che abitano questa terra.

Non ho ricette o progetti da proporre, come avessi chissà quali soluzioni. Sono invece un servitore del cammino di un popolo che è disposto a pensare insieme, a lavorare insieme, a sperare insieme. Non è il futuro il principio della speranza; credo piuttosto che sia la speranza il principio del futuro”.

Nel discorso l’arcivescovo ha affrontato il tema del perdono con l’approfondimento del libro di sant’Ambrogio sulla ‘Penitenza’: “Anche se la Chiesa condanna il peccato, ‘prende però sulle spalle’ il peccatore, perché non si perda d’animo, non si senta cacciato, ma sia accompagnato verso un futuro migliore.

Il perdono dei peccati è come un inno alla promettente misericordia di Dio: la Chiesa ne è la voce. Perciò benvenuto, futuro! Perché sempre a ogni uomo e donna sono date la possibilità e la responsabilità di ricominciare. Lo sguardo cristiano sul futuro non è una forma di ingenuità per essere incoraggianti per partito preso: piuttosto è l’interpretazione più profonda e realistica di quell’inguaribile desiderio di vivere che, incontrando la promessa di Gesù, diventa speranza”.

Fondamentale in questo Discorso è proprio il tema della speranza, che fa da filo rosso per le riflessioni dell’arcivescovo: Lo sguardo cristiano sul futuro non è una forma di ingenuità per essere incoraggianti per partito presto, piuttosto è l’interpretazione più profonda e realistica di quell’inguaribile desiderio di vivere che, incontrando la promessa di Gesù, diventa speranza.

Non un’aspettativa di un progresso indefinito, come l’umanità si è illusa in tempi passati; non una scoraggiata rassegnazione all’inevitabile declino, secondo la sensibilità contemporanea; non la pretesa orgogliosa di dominare e controllare ogni cosa, in una strategia di conquista che umilia i popoli. Piuttosto la speranza: quel credere alla promessa che impegna a trafficare i talenti e a esercitare le proprie responsabilità per portare a compimento la propria vocazione”.

Richiamando la strage di piazza Fontana mons. Delpini ha messo in guardia e distingue tra chi si impegna per il bene comune e chi lo fa per interessi di parte: “Anche se è diffusa la tentazione di rinchiudere il proprio orizzonte nel presente e nell’immediato, per la preoccupazione di assicurarsi consensi e vincere in confronti che sono piuttosto battibecchi che dialoghi che condividono la ricerca del bene comune, io do il benvenuto al futuro, perché so che molti amministratori, politici, funzionari dello Stato, ricercatori, intellettuali sono alla ricerca di una visione di orizzonti e non solo di interventi miopi. Molti servitori onesti e tenaci del bene comune si interrogano su quale mondo lasceranno ai nipoti e si dedicano generosamente a renderlo migliore rispetto a quello che hanno ricevuto”.

Per questo l’arcivescovo ha sollecitato a pensare alle nuove generazioni in un  Paese sta sempre più invecchiando: “Il futuro sono i bambini. Una crisi demografica interminabile sembra desertificare il nostro Paese e ne sta cambiando la fisionomia. Le proiezioni sul domani sono allarmanti, sia per il mondo del lavoro, sia per la sostenibilità dell’assistenza a malati e anziani, sia per il funzionamento complessivo della società. Le prospettive sono problematiche, ma ancora più inquietanti sono le radici culturali…

Siamo autorizzati a pensare e a ripensare criticamente le nostre scelte. Io personalmente ho scelto di non avere figli. Ho sperimentato piuttosto la fecondità di una vita dedicata ai figli degli altri. Non ho figli, ma ho raccolto confidenze ed esperienze di molte famiglie e riesco a intuire la bellezza e la fatica di avere figli”.

La mancanza di bambini nasce anche da gravi situazioni di disagio sociale e da bisogni economici, che spesso sfociano nell’aborto: “Le difficoltà della gravidanza, la complessità delle situazioni, l’impulsività delle decisioni inducono talora le donne a interrompere volontariamente la gravidanza. Nel dramma dell’aborto nessuno può farsi giudice dell’altro.

Deve essere impegno di tutta la società aver cura che nessuna donna sia sola quando è in difficoltà, deve essere impegno delle comunità cristiane e di tutta la società che siano offerte alle donne, che vivono gravidanze difficili in situazioni difficili, tutte le premure possibili per trovare alternative all’aborto, una ferita che può sanguinare tutta la vita”.

Dopo i bambini ha rivolto un pensiero ai giovani: “Ringrazio tutti coloro che si dedicano all’istruzione, alla formazione, all’educazione nelle scuole. Dovremmo essere fieri sostenitori di un sistema pubblico di istruzione così capillare e così importante, offerto da scuole statali e paritarie, cattoliche e di ispirazione cristiana…

E’ necessario che si costruiscano alleanze tra tutte le istituzioni educative, scolastiche, sportive, le forze dell’ordine, le amministrazioni locali perché la sola repressione non è mai efficace. Sempre è necessario offrire motivazioni, accompagnamenti attenti e pazienti, sostegno nelle fragilità e nelle frustrazioni che la vita non risparmia a nessuno, interventi tempestivi, affettuosi e forti.

Siamo tutti chiamati a essere protagonisti nell’impresa di edificare una comunità che sappia anticipare e suggerire il senso promettente e sorprendente della vita e proporre una narrativa generazionale che custodisca i verbi del desiderare, del mettere al mondo, del prendersi cura e del lasciar partire”.

La famiglia, però, è nucleo centrale della città: “Chi ha a cuore il bene comune non può sottrarsi alla responsabilità di prendersi cura della famiglia. Da tempo si chiede che la politica fiscale consideri la famiglia un bene irrinunciabile per la società e ne promuova la serenità. Tutte le componenti della società (imprenditori, lavoratori, pensionati, giovani) non possono evitare di offrire risorse e condizioni per un reddito dignitoso che consenta di vivere sereni.

La questione della casa, delle case popolari in particolare, chiede di essere adeguatamente affrontata. Il rapporto tra impegno di lavoro e impegno di famiglia sia organizzato in modo equilibrato a sostegno della famiglia”.

Eppoi, parlando di accoglienza, ha affermato che il fenomeno migratorio deve essere affrontato culturalmente: “Dobbiamo liberarci dalla logica del puro pronto soccorso, dispendioso e inconcludente. Dobbiamo andare oltre le pratiche assistenzialistiche mortificanti per chi le offre e per chi le riceve, anche oltre un’interpretazione che intenda ‘integrazione’ come ‘omologazione’.

Si tratta di dare volto, voce e parola alla convivialità delle differenze, passando dalla logica del misconoscimento alla profezia del riconoscimento. Siamo chiamati a guardare con fiducia alla possibilità di dare volto a una società plurale in cui i tratti identitari delle culture contribuiscano a un umanesimo inedito e promettente, capace di diventare un cantico”.

Ed ha concluso il discorso sulla salvaguardia della ‘casa comune’: “Noi ci sentiamo incoraggiati a correggere gli stili di vita, a sostenere riforme strutturali, a vigilare con l’atteggiamento del buon vicinato che reagisce alla trascuratezza, al degrado, all’incoscienza. Lavoriamo per un’ecologia integrale che sappia considerare in armonia la dimensione ambientale, economica e sociale; promuoviamo un’ecologia culturale e della vita quotidiana”.

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