Papa Francesco all’Università: responsabilità culturale, missionaria e sociale

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‘Dio ci ha affidato i suoi beni più grandi: la nostra vita, quella degli altri, tanti doni diversi per ciascuno. E ci chiama a far fruttare questi talenti con audacia e creatività’: questo tweet ha scandito la giornata ‘universitaria’ di papa Francesco, che ha incontrato docenti e studenti della Lumsa, Libera Università Maria Santissima Assunta, che celebra i suoi 80 anni; ed ha ricevuto la comunità accademica dell’Istituto Universitario Sophia di Loppiano.

Ai primi papa Francesco ha ricordato il compito dell’Università: “Una ‘impresa di servizio’, come l’ha voluta la vostra fondatrice, la venerabile Luigia Tincani, che a sua volta si ispirava a santa Caterina da Siena, donna indomita e appassionata della Chiesa. Oggi desidero riconsegnarvi questo impegno, situandolo nel contesto del cambiamento d’epoca che stiamo vivendo.

Ci ispirano due Santi che ho avuto la gioia di proclamare in questi anni: Paolo VI e John Henry Newman, due pastori che hanno vissuto l’Università e che hanno proposto con il loro stesso impegno pastorale e culturale, rispettivamente, una ‘coscienza universitaria’ e ‘un’idea di Università’”.

Dopo il saluto del rettore magnifico, Francesco Bonini, il papa ha ricordato le sue parole pronunciate all’Università ‘Roma Tre’ sul significato di università: “In effetti il termine stesso ‘università’ designa una comunità, ma anche un’idea di convergenza di saperi, in una ricerca che fornisca verità e senso al dialogo tra tutti gli uomini e le donne del mondo. E’ un compito alto, di cui essere consapevoli e di cui essere degni”.

Quindi l’università ha il compito di ‘formare’ alla responsabilità: “L’università comporta infatti un impegno non solo formativo ma educativo, che parte dalla persona e arriva alla persona. Impegno che non può che qualificare una università cattolica, dove l’aggettivo ‘cattolica’ non introduce una distinzione, ma semmai un surplus di esemplarità…

Da qui l’esigenza di rinnovare l’assunzione di responsabilità di fronte agli impegni che qualificano l’istituzione universitaria in questa epoca in cui si accelerano i processi comunicativi, tecnologici e di interconnessione globale”.

Ha elencato quattro tipologie di responsabilità, di cui la prima è la coerenza: “Anzitutto, una responsabilità di coerenza, ovvero di fedeltà e di comunità. La comunità universitaria lavora sempre per il futuro, ma lo fa con una forte consapevolezza delle radici e una realistica percezione del presente.

Per questo, guardo con fiducia alle nuove generazioni che si formano in Università. Protagonisti consapevoli di quel cambiamento che nasce dalla visione e dalla coerenza, a partire da una prospettiva comunitaria: in questo senso la qualità e lo stile delle relazioni che vivete nell’università è fondamentale”.

Poi, riprendendo un discorso del papa emerito Benedetto XVI, ha invitato ad avere una responsabilità culturale e missionaria: “Non dobbiamo avere timore di usare questa parola, in uno spirito di dialogo sincero. Verità, libertà, bene: su questa direttrice auspico che la vostra Università sappia offrire una formazione in cui, trasversalmente al sapere curriculare, ci sia spazio per la formazione integrale della persona”.

Dopo queste due responsabilità l’università ha anche una responsabilità sociale: “Attivare circuiti virtuosi di sviluppo integrale con le forze vive della società. Serve il coraggio di mettersi in gioco. Aprire le sedi (a Palermo, a Taranto, e a Roma) alle antiche e nuove povertà”.

Infine una responsabilità ‘interuniversitaria’ per riscoprire le radici europee della collaborazione culturale: “L’Europa è stata la culla delle università, ma deve ritrovarne il senso. La vostra Università continui a lavorare nel sistema universitario a tutti i livelli e in particolare con le università cattoliche affinché si crei un clima fruttuoso di cooperazione, di scambio e di mutuo aiuto nel costruire progetti didattici e di ricerca innovativi, orientati a quella carità intellettuale che non fa sconti alla verità e che non si accontenta di mediocrità”.

Infine, richiamando il motto, li ha spronati alla ricerca della verità e della bellezza: “Tutti voi, studenti, docenti, e responsabili della comunità universitaria, incoraggio ad aprire i cuori e le menti. A non accontentarsi degli spartiti correnti, del pensiero apparentemente egemone, di un mondo in cui diversità è conflitto.

Possiate sentire la sana ambizione di aggiungere qualcosa di originale, che sia anche concreto e utile. Voi giovani, non abbiate timore di essere esigenti con i vostri docenti, che per essere maestri devono essere anche testimoni. E voi, docenti, non temete di essere esigenti con i vostri studenti, perché esprimano il meglio di sé.

Vi riconsegno, cari fratelli e sorelle, il motto dell’Università: In fide et humanitate. Quell’ ‘et’ significa educazione integrale, in un mondo globalizzato e frammentato, pieno di contraddizioni, che richiede tanto lavoro insieme. Un lavoro serio, creativo, artigianale, che passa attraverso la mente, il cuore, le mani”.

In precedenza, nell’incontro con la comunità dell’Università ‘Sophia’ di Loppiano ha sottolineato tre parole, sapienza, patto, uscita: “Sapienza: la vostra Università si chiama ‘Sophia’ perché il suo obiettivo è prima di tutto comunicare e imparare la Sapienza per impregnarne tutte le scienze… Per questo siamo chiamati a camminare insieme con tutti, non contro tutti”.

La seconda parola consegnata è stata ‘patto’: “Il patto è la chiave di volta della creazione e della storia, come ci insegna la Parola di Dio: il patto tra Dio e gli uomini, il patto tra le generazioni, il patto tra i popoli e le culture, il patto tra i docenti e i discenti e anche i genitori, il patto tra l’uomo, gli animali, le piante e persino le realtà inanimate che fanno bella e variopinta la nostra casa comune. Tutto è in relazione con tutto, tutto è creato per essere icona vivente di Dio che è Trinità d’Amore!”

Ed infine li ha invitati ad uscire per incontrare la Sapienza, cioè il ‘volto’ di Dio: “Senza uscire non si incontra la Sapienza, senza uscire il patto non si propaga a tutti, con centri concentrici sempre più larghi e inclusivi. Solo uscendo si incontra il volto concreto dei fratelli e delle sorelle, con le loro ferite e con le loro aspirazioni, i loro interrogativi e i loro doni”.  

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