Mons. Marcianò ha ricordato la strage di Nassiriya

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L’Isis ha rivendicato l’attacco nel quale sono rimasti feriti cinque soldati italiani avvenuto intorno alle 12.30 di domenica 10 novembre, avvenuto nell’area di Palkana, a sud di Erbil, nel nord dell’Iraq, mentre era in corso un’operazione della task force 44 con i peshmerga curdi. L’attentato è avvenuto a pochi giorni dalla ricorrenza della strage di Nassiriya, avvenuta il 12 novembre 2003, nella quale persero la vita 19 italiani, tra civili e militari, e 9 iracheni.

Mons. Santo Marcianò, arcivescovo ordinario militare per l’Italia, ha rivolto un pensiero ai soldati feriti nel ricordo della strage di Nassiriya: “Con profonda sofferenza ho appreso la notizia del grave attentato che ha colpito in Iraq cinque militari italiani, tre incursori della Marina e due dell’Esercito, che, con grande competenza, passione, dedizione, prestavano il proprio servizio per l’addestramento delle Forze di Sicurezza irachene contro il terrorismo.

Assieme a tutta la Chiesa dell’Ordinariato Militare, abbracciamo con commozione i familiari, esprimendo la vicinanza nella preghiera e nella speranza affinché le condizioni dei feriti possano migliorare e le loro sofferenze siano alleviate.

Mentre, in questi giorni, il pensiero torna con dolore alla strage di Nassiriya, vogliamo confermare profonda stima e gratitudine per l’opera di grande valore professionale che le nostre Forze Armate offrono a tanti popoli in situazioni di conflitto, e implorare Dio perché il loro impegno di custodia della persona umana e della pace, a volte pagato con la vita o con gravi ferite e mutilazioni, contribuisca a sostituire il clima di terrore e odio violento con la logica del rispetto e della carità fraterna”.

Nell’omelia della messa presieduta nella basilica di S. Maria in Ara Coeli a Roma, in occasione della giornata del ricordo dei caduti militari e civili nelle missioni internazionali per la pace, l’arcivescovo ha sottolineato il valore della benedizione, prendendo spunto dal salmo 33:

“La parola greca che traduce benedizione è eu lògos: ’bene’ e ‘dire’. Ma lògos non è solo la parola parlata, è il senso nascosto nelle cose, il bene che Dio vi imprime. Benedire, dunque, significa anche trovare il bene, trovare motivi di bene per rileggere l’azione di Dio nella storia, anche nell’esperienza della morte, e della morte dei nostri caduti.

Dio non ha creato la morte, ‘ha creato l’uomo per l’incorruttibilità’, dice lapidariamente la prima Lettura; la nostra ricerca di senso deve tener conto di questo, del fatto che la morte dei fratelli caduti che ricordiamo, potremmo dire, appare tale solo agli occhi ‘degli uomini’, mentre per loro significa ‘speranza’ e ‘immortalità’. Essi sono nella vita, strumenti di vita, perché il dono della loro vita è stato fonte di vita e benedizione per molti”.

Ed ha ribadito che il valore del ‘servizio’: “In realtà, non c’è sacrificio e non c’è servizio che sia inutile; ma, anche qui, il termine greco ‘achréioi’, ci aiuta concentrando piuttosto la nostra riflessione sul fatto che dal servizio sia escluso ogni ‘utile’, ogni ricavato, ogni ricompensa; anzi, che il servizio sia ritenuto ricompensa in se stesso, quasi un privilegio. E’ proprio così.

Noi piangiamo persone che sono state liete di servire, lo hanno considerato un privilegio, una ricompensa in se stessa; e voi, carissimi familiari, potreste testimoniarlo. Militari che non avrebbero considerato un eroismo il loro atto del dare la vita ma una pienezza di servizio, una realizzazione della libertà. Per questo, essi ‘sono nella pace’. Per questo, diventano maestri di pace”.

Rivolgendosi ai familiari, mons. Marcianò ha ricordato l’autorevolezza del servizio come testimonianza: “E’ il potere del servizio, l’autorevolezza della coerenza e della testimonianza, che ha molto da dire pure oggi. Un servizio che non cerca l’utile, non si inquina con la ricerca di interessi personali o ricompense, è libero da infiltrazioni, corruzioni o da qualsiasi forma di attaccamento a tutto, persino alla propria vita”.

Richiamando le recenti parole di papa Francesco ai cappellani militari si è rivolto ai familiari: “Carissimi familiari, i vostri cari hanno vissuto profondamente il senso del servizio e del sacrificio e questo è motivo di gratitudine grande e commossa, da parte della nostra Chiesa, del nostro Paese, dei popoli da essi serviti. Questo loro sacrificio, però, non è facile per noi da accettare. Serve la fede; e spesso proprio la fede sembra mancare”.

Ed ha concluso l’omelia con un richiamo al brano evangelico, ‘Accresci in noi la fede’: “Gesù non ci sta rimproverando, come spesso si pensa. Al contrario, ci sta dicendo che basta poco, basta quell’invisibile granellino di fede, forse quel piccolo gesto che oggi ci fa essere qui a pregarlo… che basta la nostra fede povera a sradicare alberi forti, a fare quanto umanamente impossibile.

Sì, perché quella fede, con il Suo aiuto, cresce con la stessa forza di un seme nella terra e ci rende capaci di benedire il Signore per il servizio a Dio, agli altri, alla città dell’uomo che i nostri caduti hanno testimoniato con il loro sacrificio: un magistero d’amore e di pace che tutti dovremmo imparare, ringraziare, ammirare”.

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