Papa Francesco ai gesuiti chiede una rivoluzione culturale per contrastare ingiustizia e xenofobia

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Nella mattinata di giovedì 7 novembre papa Francesco ha ricevuto in udienza i partecipanti all’incontro per i 50 anni del Segretariato della compagnia di Gesù per la giustizia sociale e l’ecologia, che si svolge a Roma sul tema ‘Un cammino di giustizia e di riconciliazione: 50 anni e oltre’, ricordando la vocazione originaria, approvata nel 1550 da papa Giulio III:

“La Compagnia di Gesù, lo sappiamo tutti, fin dall’inizio è stata chiamata al servizio dei poveri, una vocazione che sant’Ignazio inserì nella Formula del 1550. I gesuiti si sarebbero occupati ‘della difesa e propagazione della fede, e del progresso delle anime nella vita e nella dottrina cristiana’ e dedicati a ‘riconciliare i dissidenti, a soccorrere e servire piamente quelli che sono in carcere e negli ospedali, e a compiere … tutte le altre opere di carità’. Non era una dichiarazione d’intenti, ma uno stile di vita che avevano già sperimentato, che li riempiva di consolazione e al quale si sentivano inviati dal Signore”.

Il papa ha incentrato la riflessione sulla cultura dello scarto, come aveva evidenziato p. Arrupe: “Arrupe era un uomo di preghiera, un uomo che lottava con Dio ogni giorno, e da lì nasce questo forte. Padre Pedro credette sempre che il servizio della fede e la promozione della giustizia non si potevano separare: erano radicalmente uniti. Per lui tutti i ministeri della Compagnia dovevano rispondere alla sfida di annunciare la fede e, al contempo, di promuovere la giustizia. Ciò che fino ad allora era stato un incarico per alcuni gesuiti, doveva divenire una preoccupazione di tutti”.

Sant’Ignazio di Loyola aveva coniato la parola di ‘contemplattivi’: “Questo non è poesia né pubblicità, questo Ignazio lo sentiva. E lo viveva. Questa contemplazione attiva di Dio, di Dio escluso, ci aiuta a scoprire la bellezza di ogni persona emarginata… Nei poveri voi avete trovato un luogo privilegiato d’incontro con Cristo. E’ questo un dono prezioso nella vita del seguace di Cristo: ricevere il dono di incontrarlo tra le vittime e i poveri”.

Secondo papa Francesco l’incontro con i poveri “affina la nostra fede. Così successe nel caso della Compagnia di Gesù, la cui esperienza con gli ultimi ha approfondito e rafforzato la fede… Voi avete vissuto una vera trasformazione personale e corporativa nella contemplazione silenziosa del dolore dei vostri fratelli. Una trasformazione che è una conversione, un tornare a guardare il volto del crocifisso, che c’invita ogni giorno a restare accanto a lui e a deporlo dalla croce”.

Ed ha chiesto di “offrire questa familiarità con i vulnerabili. Il nostro mondo spezzato e diviso ha bisogno di costruire ponti affinché l’incontro umano permetta a ognuno di noi di scoprire negli ultimi il bel volto del fratello, nel quale ci riconosciamo, e la cui presenza, pur senza parole, esige nel suo bisogno la nostra cura e la nostra solidarietà”.

La sequela cristiana comporta alcuni compiti: “Comincia con l’accompagnamento alle vittime, per contemplare in loro il volto di nostro Signore crocifisso. Continua nell’attenzione ai bisogni umani che nascono, molte volte innumerevoli e inabbordabili nel loro insieme.
Oggi è anche necessario riflettere sulla realtà del mondo, per smascherare i suoi mali, per scoprire le risposte migliori, per generare la creatività apostolica e la profondità che padre Nicolás tanto desiderava per la Compagnia”.

Per questo papa Francesco ha chiesto una ‘rivoluzione culturale’: “Da qui l’importanza del lavoro lento di trasformazione delle strutture, per mezzo della partecipazione al dialogo pubblico, là dove si prendono le decisioni che condizionano la vita degli ultimi. Alcuni tra voi, e molti altri gesuiti che vi hanno preceduto, hanno avviato opere di servizio ai più poveri, opere di educazione, di attenzione ai rifugiati, di difesa dei diritti umani e di servizi sociali in molteplici campi. Continuate con questo impegno creativo, sempre bisognoso di rinnovamento in una società dai cambiamenti accelerati.

Aiutate la Chiesa nel discernimento che oggi dobbiamo compiere anche sui nostri apostolati. Non smettete di collaborare in rete tra voi e con altre organizzazioni ecclesiali e civili per avere una parola in difesa dei più bisognosi in questo mondo sempre più globalizzato. Con questa globalizzazione che è sferica, che annulla le identità culturali, le identità religiose, le identità personali, tutto è uguale. La vera globalizzazione deve essere poliedrica. Unirci, ma conservando ognuno la propria peculiarità”.

Nel ricordo del 30° anniversario del martirio dei gesuiti della Universidad Centroamericana di El Salvador ha chiesto di aprire cammini di speranza: “Il nostro mondo ha bisogno di trasformazioni che proteggano la vita minacciata e difendano i più deboli. Noi cerchiamo cambiamenti e molte volte non sappiamo quali devono essere, o non ci sentiamo capaci di affrontarli, ci trascendono. Nelle frontiere dell’esclusione corriamo il rischio di disperare, se seguiamo solo la logica umana. Sorprende il fatto che molte volte le vittime di questo mondo non si lasciano vincere dalla tentazione di cedere, ma confidano e cullano la speranza”.

Ed ha chiuso l’incontro con l’invito a ‘lavorare’ per la speranza: “Condividete la vostra speranza là dove vi trovate, per incoraggiare, consolare, confortare e rianimare. Per favore, aprite futuro, o, per usare l’espressione di un letterato attuale, frequentate il futuro. Aprite futuro, suscitate possibilità, generate alternative, aiutate a pensare e ad agire in un modo diverso.

Curate il vostro rapporto quotidiano con il Cristo risorto e glorioso, e siate operai della carità e seminatori di speranza. Camminate cantando, e piangendo, che le lotte e le preoccupazioni per la vita degli ultimi e per la creazione minacciata non vi tolgano la gioia della speranza”.

Li ha salutati con un ricordo di p. Arrupe, attinente all’imminente viaggio apostolico: “Il testamento di Arrupe, lì in Thailandia, nel campo dei rifugiati, con gli scartati, con tutto ciò che quell’uomo aveva di simpatia, di soffrire con quella gente, con quei gesuiti che stavano aprendo una breccia in quel momento in tutto questo apostolato, vi chiede una cosa: non lasciate la preghiera. E’ stato questo il suo testamento. Lasciò la Thailandia quel giorno e durante il volo ebbe un ictus. Che questo santino, che questa immagine, vi accompagni sempre”.

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