Filotei: l’ultima estate ed il terremoto

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Nel libro ‘L’ultima estate. Memorie di un mondo che non c’è più’ Marcello Filotei, critico musicale dell’Osservatore Romano e musicologo, colpito negli affetti più cari dal terremoto che nell’agosto 2016 devastò l’Italia centrale e il suo paese d’origine, Pescara del Tronto, raccoglie, in forma di romanzo, le memorie di luoghi e persone che hanno segnato la sua vita, con una introduzione di papa Francesco. 

Infatti il 24.08.2016 alle ore 3.36 la scossa di terremoto che ha distrutto il comune di Arquata del Tronto, radendo al suolo la frazione di Pescara, ha portato via con sé decine di vite e l’illusione che si potesse vivere fuori dal tempo. Nel breve romanzo alcuni luoghi di Pescara del Tronto rivivono in queste pagine:

la protagonista è Alexandra, sorella coraggiosa che dopo nove ore di resistenza sotterranea è riemersa dalle macerie e dopo qualche centinaia di flebo è uscita anche dall’ospedale. Accanto a lei orbitano mamma e papà, che non ce l’hanno fatta. Ma prima di raggiungere gli ospedali e conquistare il diritto alla malinconia bisognava camminare sulle macerie, con le scarpe sbagliate, dall’ingresso del paese fino a quello che restava della casa di famiglia.

Durante il tragitto sono riemersi personaggi del passato, ‘tipi’ che forse si possono ritrovare in ogni piccolo centro: il Poeta, il Vigile urbano, il Gestore del circolo culturale, il rivoluzionario, che qui prende il nome di Che, il Fotografo, e altri. Alcuni non ci sono più, tutti comunque convivono nel racconto con amici d’infanzia, cugini, zii, genitori. Ad essere raccontata è la notte del 24 agosto 2016 quando, alle ore 3:36, centinai di paesi del Centro Italia sono morti per sempre, e le sue tragiche conseguenze.

‘L’Ultima estate’ è un libro che colpisce e riesce a toccare corde profonde, tanto che papa Francesco ha deciso di scriverne l’introduzione: “Sono passati tre anni. Non dimentico quello che ho visto. Non dimentico il dolore. Non dimentico il senso di comunità che univa e unisce questo piccolo popolo; e che Marcello Filotei racconta, segnato dal dolore che ha colpito la sua stessa famiglia, ricordando la sua corsa angosciata e affannata, terminata sui resti della casa natale, dove madre, padre e sorella erano intrappolati sotto le macerie.

E solo la sorella si è salvata. Sempre, le storie personali si sovrappongono a quella più grande, collettiva, di cui sono parte. Sempre, in ogni luogo si intrecciano ricordi personali e vicende comuni. Fare memoria non significa coltivare la nostalgia di quel che è stato, non significa chiudersi nella tristezza e nella paura. Nella storia che continua c’è, accanto alla nostalgia, una speranza di futuro. C’è lo sguardo in avanti che si nutre di una memoria che non è mai rassegnata. A questo serve ricordare, a non perdere le proprie radici.

A non lasciare che anche queste diventino macerie. A ricostruire una nuova storia senza dimenticare quella antica… Prego perché lo Spirito Consolatore unga i ricordi feriti col balsamo della speranza e infonda la fiducia di non essere soli. Il Signore ci invita a fare memoria, a riparare e ricostruire, non solo gli edifici, e a farlo insieme”.

In chiusura di libro l’autore ha spiegato il suo obiettivo: “Lo scopo che mi propongo in queste pagine è quello di fare memoria di un mondo che non c’è più, o meglio che per me non potrà più esserci. Per farlo necessariamente ho dovuto guardare le cose dal mio punto di vista, in qualche modo ‘tradendo’ tutte le altre prospettive”.

Partendo dal finale gli abbiamo chiesto di raccontare il motivo per cui ha scritto: “La scrittura del libro per me è stata necessaria e dolorosa al tempo stesso perché io ho perso dei cari, molti cari in quel terremoto ed era l’unico modo in cui riuscivo a esprimere quello che sentivo. Al tempo stesso quello era un posto speciale per me, ma soprattutto era un posto speciale come sono speciali tutti i piccoli posti d’Italia.

Faccio degli esempi: in tutti i piccoli paesini ci sono dei personaggi surreali che in quel posto diventano reali. Noi avevamo un fotografo con un occhio di vetro, penso che sia un caso unico; avevamo un barista poeta che aveva inventato un cocktail che era sempre diverso, ma aveva sempre lo stesso nome e che veniva assegnato per qualsiasi tipo di malattia… Questi personaggi ci sono in tutti i paesi: è la memoria, il substrato culturale dell’Italia e non solo, e di questi personaggi bisogna fare memoria”.

A proposito di memoria nell’introduzione al libro papa Francesco invoca lo Spirito Consolatore perché ‘unga i ricordi con il balsamo della speranza’: in quale modo si può dare speranza al popolo colpito dal sisma?
“Le parole di papa Francesco ha centrato il problema principale: le persone hanno bisogno di vedere un futuro davanti a loro.

L’introduzione di papa Francesco ha il pregio di sottolineare i fattori principali che possano portare a superare questa situazione ed anche quello di tenere una luce accesa su questa tragedia, che purtroppo si spegne troppo facilmente dopo gli anniversari per riaccendersi l’anno successivo. Dare speranza significa dare una prospettiva alle persone che ci sono, ma soprattutto a quelle che se ne sono andate, perché lì non c’è nessun modo di sopravvivere. Speranza significa impegnarsi, come cittadini, per dare una prospettiva a queste persone”.

Il libro può essere di sostegno ad altre persone che stanno soffrendo a causa di quel terremoto?
“La mia grande speranza è che chi faceva parte di quel piccolo mondo, che era veramente molto piccolo, si senta un pochino meno solo e che ci faccia sentire uniti, insieme, come nei momenti in cui riusciamo a riunirci tra noi che abbiamo subito queste cose, anche se non esiste più il posto fisico dove le abbiamo vissute.

Ecco, in quei momenti, si sta un pochino meglio perché insieme si possono superare meglio le cose. E poi questo è un libro che servirà a tenere accesa l’attenzione su chi sta ancora lì e vive in case prefabbricate in una situazione molto difficile e che difficilmente riuscirà a superare questa tragedia se non ci sarà un aiuto forte, immediato. In questo le splendide pagine che il papa ha voluto dedicare al libro, spero che saranno uno sprone, che daranno sicuramente una nuova speranza e che riescano a tenere accesa la luce su questi fatti”.

Quale valore hanno le relazioni per mantenere vive le comunità colpite dal sisma?
“Quando abbiamo rimosso le macerie per cercare quello che c’era sotto, dei piccoli ricordi che magari ci siamo messi in tasca per ricordare i nostri cari, ci siamo accorti che i tetti di una casa stavano sopra le mura di un’altra e quello era un segnale molto chiaro: da qui si esce solo se lo facciamo tutti insieme, perché stavamo tutti nella stessa casa e allora solo facendo comunità, solo stando insieme stringendoci, abbiamo la speranza di superare questa cosa. Quindi le relazioni sono l’unico valore che possono salvare quelle comunità.

Proprio il deteriorarsi di quelle relazioni, succeduto al sisma, è uno dei motivi principali per cui quelle comunità si stanno purtroppo sfaldando, ed in futuro ci saranno grandi difficoltà a mantenere viva quel tipo di comunità, perché non esistendo più i luoghi dove le persone si incontravano è molto differente incontrarle in luoghi diversi; manca molto dello spirito di quei tempi. Il problema è che la comunità si è sfaldata e se non si la ricostruisce è molto difficile far rivivere quei paesi”.

A tre anni dal sisma quale può essere l’insegnamento di Alexandra, la protagonista del romanzo?
“Alexandra ha avuto un atteggiamento positivo fin da quando era in forse la sua sopravvivenza. Ha sempre creduto nella vita ed ha visto sempre piccoli miglioramenti per ricominciare. Un insegnamento è provare a continuare quello che si riesce a fare. Anche oggi Alexandra non riesce a fare tutto, ma riesce a fare molto. L’insegnamento è fare quello che sappiamo fare: non accontentiamoci della situazione”.

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