Il card. Betori chiede una conversione francescana

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“Serve uno sviluppo che rispetti la creazione, che rispetti l’ambiente, che sia realmente umano. Sento questo impegno come cittadino, come padre. La tutela dell’ambiente è prioritario della nostra esperienza di governo… Dobbiamo realizzare un paese più giusto in cui ci siano asili nido gratuiti e si dia un senso ai principi di dignità della Costituzione, un Paese più giusto in cui i contribuenti onesti paghino di meno anche grazie ai proventi della lotta alla evasione fiscale. Un Paese in cui non si tagliano risorse nella scuola e nella sanità ma si cerca di potenziarle”: così ha detto il premier Giuseppe Conte, ad Assisi, durante le celebrazioni del giorno di San Francesco patrono d’Italia.

Mentre nella celebrazione eucaristica il card. Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, con una delegazione di vescovi delle diocesi toscane, che hanno donato l’olio che alimenterà la lampada che arde di fronte alla sua tomba ha sottolineato la misericordia del santo assisate verso il lebbroso:

“San Francesco scoprì il volto di Cristo nel volto dei lebbrosi e quello sguardo diede inizio al cammino della penitenza, che lo staccò dal peccato e gli pose nel cuore la dolcezza. Su questa capacità di incrociare lo sguardo dei poveri si gioca la credibilità della nostra Chiesa e l’efficacia del suo annuncio.

E’ questa la sfida che ci attende, come Chiesa ma anche come Paese: fare dei poveri e della loro cura la misura dell’umano. E questo senza porre barriere, perché il problema non è chi sia il mio prossimo perché io possa o debba curarmi di lui, ma di come io debba farmi prossimo a tutti, fino al più lontano, al nemico”.

Riprendendo un documento dei vescovi del 1981 sulla situazione italiana ha sottolineato il valore della dimensione comunitaria: “La conversione comunitaria e il cambiamento sociale sono legati al riconoscimento concreto di questa priorità. Perché solo lo sguardo degli ‘ultimi’, in cui si rivela il volto di Cristo, può sanare il nostro sguardo e portarci dall’amarezza alla dolcezza, dall’aridità egoistica alla gioia della condivisione.

Il secondo cambiamento della sua vita Francesco lo sperimenta quando, accogliendo accanto a sé dei compagni nella sequela di Cristo, dà forma concreta alla fraternità evangelica. La dimensione comunitaria è parte integrante della definizione piena di una vita e della sua conformazione a Cristo.

Un messaggio, questo, di particolare attualità a fronte della frammentazione che caratterizza questo nostro tempo, dividendo popoli e gruppi sociali, famiglie e la stessa dimensione personale, in un’affannosa ricerca di ciò che ci distingue per oscurare ciò che ci unisce e di ciò che nell’altro ci appare minaccioso, al punto di non riconoscere che solo nel legame ci è dato di esistere”.

Ritornando alle Fonti francescane il presidente della Conferenza episcopale toscana ha sottolineato il valore della comunità: “Piccoli e minori, cioè tutto il contrario delle pretese dell’uomo d’oggi, che si vorrebbe adulto, autonomo, autosufficiente, uscito per l’appunto dalla minorità.

Ma ben conosciamo come questa pretesa di autonomia, di svincolata libertà abbia condotto agli abissi della massificazione totalitaria e alle secche della frantumazione sociale, fino alle contraddizioni di uno sviluppo che si è tramutato in crisi economica, e allo spaesamento delle frustrazioni personali che sfociano nell’angoscia. Su questa strada si collocano ora le minacciose nubi generate, soprattutto ai confini della vita, da una pretesa di autodeterminazione senza riferimenti valoriali e senza legami sociali”.

Questa forma di ‘minorità’ si fonda sulla fraternità: “A fondamento della comunità, ecclesiale e civile, sta questa coscienza di minorità che esclude ogni sopraffazione e ogni sfruttamento dell’altro, ma si pone di fronte a lui con spirito di servizio. Consapevoli che ciò che ci fa piccoli e minori non è un nostro autonomo abbassamento, ma il dono della misericordia di Dio, il sentirsi ogni giorno peccatori perdonati, fragili ma salvati… L’incontro con il volto di Cristo e la condivisione del suo dono di misericordia nella fraternità diventa per Francesco un’esperienza da comunicare”.

Ed ha ricordato anche l’incontro di san Francesco con il sultano: “La gioia del Vangelo è così prepotente in Francesco che vuole sia comunicata a tutti, che raggiunga anche i più lontani, come al tempo apparivano i saraceni. Di qui i ripetuti tentativi di raggiungerli, fin quando il suo desiderio si compie a Damietta nell’incontro con il Sultano al-Malik al-Kamil.

La testimonianza che Francesco offre è quella dell’offerta di sé, nella certezza che l’incontro con l’altro lo condurrà a una maggiore coscienza di sé, a una purificazione della sua stessa fede, che così potrà illuminare ancor più l’altro. Un atteggiamento che, contrariamente a quel che pretenderebbero molti oggi, non oppone dialogo e annuncio del Vangelo, ma li ricompone in unità nel linguaggio della testimonianza, cioè un’esistenza che si mostra nella verità perché dalla verità si è lasciata possedere”.

Ed ha concluso l’omelia affermando che la Croce è una forma di condivisione: “L’esperienza suprema della croce che segna gli ultimi anni di Francesco ci ricorda che nessuno, se vuole seguire Cristo, può fare a meno della condivisione della sofferenza e della croce. Non perché inseguiamo una visione dolorista della vita, ma perché sappiamo che il confronto con il male, e la sofferenza che ne consegue, fa parte del nostro stare nel mondo con responsabilità. Non si può seguire Cristo senza misurarsi con il mistero del male che attraversa la storia e senza prendere sulle nostre spalle la croce, quella nostra e quella dei tanti sofferenti del mondo”.

Mentre papa Francesco ha piantato nei Giardini vaticani un leccio di Assisi, a conclusione del ‘Tempo del creato’, e per mettere il Sinodo Speciale sulla Regione Panamazzonica sotto la protezione di San Francesco.

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