In Eritrea chiudono anche le scuole

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A settembre in Eritrea, dopo gli ospedali, il governo ha preso di forza il controllo di sette scuole secondarie gestite da organizzazioni religiose. La misura è stata giustificata dalle autorità facendo riferimento alle norme costituzionali introdotte nel 1995, che limitano le attività degli istituti religiosi, le quali devono passare sotto lo Stato; tale decreto, mai entrato in vigore, è sempre stato contestato dalla Chiesa cattolica.

La scelta di chiudere prima le strutture sanitarie e ora le scuole va a colpire direttamente la popolazione più povera e che frequenta quelle realtà religiose. Ma è anche una scelta che si inserisce in una politica del regime volta a attutire tutte le pur minime conquiste della gente ottenute dopo la ‘riappacificazione’ con l’Etiopia.

Molti analisti e giornali internazionali collegano le disposizioni adottate dal regime di Afwerki alla lettera pastorale dei vescovi letta nelle chiese in occasione della Pasqua, che richiamava il governo al dovere della riconciliazione nazionale: “Ormai da più di un secolo il popolo eritreo vive lontano dalla normalità di una vita che si possa definire minimamente stabile e serena e da sostenibili livelli di sviluppo nazionale.

Ancora tanti fratelli e sorelle lasciano questo mondo vittime dell’esilio e di mille altre traversie. Poiché nessun serio rimedio è stato messo in atto, la massiccia fuga umana verso l’estero prosegue tuttora senza soluzioni di continuità. In quanto capi religiosi, rimaniamo sempre nella più assoluta disponibilità ad offrire il nostro contributo… per un globale piano di Pace e riconciliazione nazionale”.

Ed a distanza di alcuni mesi i vescovi rivendicano i diritti e doveri inerenti alla natura e missione della Chiesa che oltre al “compito primario annunciare la parola di salvezza, intrinseca a tale mandato è la ‘promozione integrale’ della persona umana… Di qui il suo impegno non secondario nei campi dell’istruzione, della sanità e dello sviluppo sociale in generale”.

I quattro vescovi eritrei, guidati da mons. Mengesteab Tesfamariam, arcivescovo metropolita di Asmara, rappresentanti della comunità cattolica, il 3% su una popolazione di circa 6.000.000 di abitanti, nella loro missiva evidenziano come in riferimento alle scuole recentemente nazionalizzate “non sono state citate dalle autorità giustificazioni del Provvedimento. Né d’altronde ce ne potrebbero essere: non ci sono state trasgressione delle norme amministrative scolastiche, nessuna infrazione delle regole…”.

Nella lettera i vescovi ripercorrono il cammino dell’educazione scolastica: “E’ altrettanto noto l’apporto della Chiesa Cattolica nell’avvio e negli sviluppi dell’educazione moderna. Introducendo per prima l’arte tipografica nel Corno d’Africa, essa ha aperto la strada alla carta stampata e quindi all’evoluzione della cultura contemporanea… Dal1965, per iniziative di Sua Beatitudine, mons. Abraha Frangcois, di venerata memoria, furono attive a lungo circa 70 scuole; annesse alle parrocchie rurali sparse in tutto il territorio.

Ad iniziare dai tempi del colonialismo italiano, i sistemi amministrativi moderni, l’evoluzione della coscienza politica e della cultura letteraria, il progresso delle lingue, hanno trovato i loro migliori cultori negli eritrei usciti dalle scuole gestite dalla Chiesa cattolica e da altre denominazioni religiose. I loro contributi nei processi politici e nella lotta per l’indipendenza occupano un posto di eminenza nella storia di questo paese”.

Ribadiscono, inoltre, il diritto dei genitori di istruire i figli: “Lo Stato ha il dovere di riconoscere e rispettare i diritti universali dei genitori in materia, e questi ultimi hanno il diritto di scegliere i programmi e gli indirizzi scolastici che ritengono preferibili per i loro figli. La Chiesa stessa rivendica la libertà di offrire l’insegnamento scolastico a quanti scelgono di avvalersene. Questo diritto deve essere debitamente riconosciuto e rispettato…

Separando i ragazzi e i giovani dai loro genitori e dalla Chiesa, ignorando i suddetti diritti naturali e universali per ‘appropriarsi’ di tutta la gioventù, impedendo di fatto alla società civile e alla Chiesa di svolgere la loro missione a vantaggio degli uomini e delle donne di questo tempo e di questo Paese, si finisce per restringere o rimuovere lo spazio dell’esercizio della legittima libertà e del diritto fondamentale ed universale delle persone. Quando tutto viene monopolizzato dallo Stato, allora viene negata la libertà del singolo e se ne paralizzano le attività. E dove la libertà e il diritto sono negati, non c’è più spazio ne per la pace, né per la libertà, né per il diritto”.

Anche questa volta il direttore dell’Agenzia Habescia, don Mussie Zerai, ha chiesto al governo italiano un significativo intervento: “Ecco, alla luce di quello che anche in quest’ultimo anno si è rivelata l’Eritrea, chiediamo a lei e al nuovo ministro degli esteri, Luigi Di Maio, di segnare una immediata, decisa discontinuità nei rapporti stabiliti dall’Italia nei confronti di Asmara.

Un cambiamento netto, anzi, l’abbandono, in buona sostanza, di quella politica di progressivo riavvicinamento e ‘recupero’ o addirittura di rivalutazione della dittatura di Isaias Afewerki, che è iniziata sul finire del 2013 ma che ha progressivamente segnato una accelerazione negli ultimi anni, fino a raggiungere il culmine nei mesi del suo precedente Governo.

Si tratta di scegliere tra l’attuale sistema di potere e la stragrande maggioranza della popolo eritreo che ne è schiavizzato. E i popoli non dimenticano mai chi si schiera al loro fianco. Di più: con questa scelta l’Italia può lanciare un segnale importante all’Unione Europea, inaugurando e guidando un modo diverso di porsi da parte del Nord nei confronti del Sud del mondo”.

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