Timothy Radcliffe: il cristianesimo è una verità che disturba

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“Se il XXI secolo sarà più laico del precedente, e non possiamo esserne certi, allora la gioia sarà la prima cosa che la gente dovrà vedere in noi e in tutti coloro che annunciano il Vangelo”: è questo il fulcro delle riflessioni del domenicano Timothy Radcliffe, uno dei più apprezzati autori di spiritualità al mondo, raccolte nel suo nuovo libro ‘Una verità che disturba. Credere al tempo dei fondamentalismi’, presentato a Torino Spiritualità ed al Festival Francescano di Bologna.

“Il fondamentalismo in tutte le sue forme prospera perché l’idea della verità, se non è in senso strettamente scientifico, sta evaporando”: già Maestro generale dell’Ordine dei Predicatori (dal 1992 al 2001) e dal 2015 consultore del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, in questo volume Radcliffe affronta i grandi temi dell’attualità, spaziando e richiamandosi sia all’esempio dei teologi e delle grandi figure della chiesa (san Tommaso d’Aquino, san Domenico, san Oscar Romero, il domenicano Marie-Dominique Chenu, Pierre Claverie, già vescovo di Orano martire d’Algeria, Thomas Merton), sia citando il mondo del cinema, della letteratura, della musica.

Secondo il teologo domenicano, le sfide che l’annuncio cristiano deve affrontare nel XXI secolo sono molteplici e complesse: da una parte la verità che sta ‘evaporando’, in concomitanza con l’emergere dei nazionalismi e dei fondamentalismi religiosi violenti; dall’altra una chiesa che deve aprirsi agli esclusi, ai poveri, a chi sta ai margini della società e della comunità:

“La chiesa deve dar prova di vedere le persone invisibili e avere il coraggio di invitarle a seguire Cristo. Il cristianesimo non è una religione che ti avvolge nella bambagia. Bisognerebbe metterci il foglietto delle avvertenze sanitarie!”. Radcliffe affronta anche il tema della rilevanza dello studio delle Scritture nell’era dei social network (dei quali peraltro si dichiara grande estimatore ed utilizzatore) e del fondamentale ruolo che svolgono oggi gli studiosi della Bibbia.

Mettendo in guardia dal pericolo della banalizzazione, in un’epoca nella quale domina la ‘ipersemplificazione’ afferma che solo un vero messaggio, contestualizzato e vivo nella modernità (non avulso da essa), e allo stesso tempo fedele alle Scritture, potrà renderci veramente liberi:

“Abbiamo bisogno di fare conversazioni spiazzanti e imprevedibili con coloro che non sono d’accordo con noi, di aprirci per comprendere le cose che stanno loro a cuore, dando l’interpretazione più caritatevole di ciò che essi dicono… Abbiamo bisogno di più istituzioni per dare voce e autorità nella nostra casa e per…seminare un po’ di disordine”.

Per questo i cristiani non possono esimersi dall’impegnarsi in politica, oppure restare passivi e inermi nei confronti della profonda crisi ecologica che sta colpendo il nostro pianeta. Devono essere impegnati a fianco degli ultimi e degli emarginati, nella lotta conto le iniquità e le disparità sociali della nostra epoca, membri di una chiesa accogliente e misericordiosa.

Solo in questo modo il Vangelo, sottolinea, potrà veramente essere lievito tra le generazioni: “Come cristiani dobbiamo, naturalmente, operare per la giustizia, sostenere le elezioni e impegnarci in politica, prendere posizione a favore di un sistema fiscale che favorisca il bene comune, opporci alle crescenti disuguaglianze che stanno distruggendo tanti paesi”.

Infine, riguardo al ruolo del sacerdozio nel XXI secolo, riconoscendone le difficoltà odierne, Radcliffe annota che “è una situazione complessa che richiede da noi una rigorosa veridicità, nonostante il mondo sembri aver messo da parte ogni criterio di verità. Il primo requisito è dire che ciò che crediamo sia vero.

La gente riconosce quando parliamo davvero per fede o quando invece stiamo solo recitando una parte… Dobbiamo essere fedeli alla chiesa e al suo insegnamento. Ma dobbiamo anche essere fedeli all’esperienza delle persone che si trovano ai margini. Quel che diciamo deve suonare vero nel loro mondo, altrimenti le nostre parole non avranno presa sulla realtà”.

E durante gli incontri di presentazione del libro a Torino ed a Modena ha sottolineato: “Una buona conversazione richiede che non solo si riconosca l’identità dell’altra persona, ma anche la sua propria autorità. Avremo una buona conversazione solo se riconosceremo che i laici, siano essi credenti o meno, capiscono quanto sia complessa, difficile e meravigliosa la vita oggi.

Papa Francesco ha imparato queste cose nelle periferie di Buenos Aires. Le nostre parole devono essere concrete, coi piedi per terra, e ispirate alla vita vissuta. Altrimenti non saranno parole di vita. Rimarranno delle astrazioni. Noi crediamo in un Verbo che si è fatto carne, e così devono fare le nostre parole”.

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