La Santa Sede: Senza le religioni è impossibile la libertà di tutti. La comunità internazionale le protegga.

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“Le religioni sono comunità basate su convinzioni e la loro libertà garantisce un contributo di valori morali, senza i quali non è possibile la libertà di tutti. Per questa ragione, la comunità internazionale ha la responsabilità urgente e benefica di contrastare la tendenza alla crescente violenza contro i gruppi religiosi e l’ingannevole neutralità, che di fatto mira a neutralizzare la religione”. Le parole di Silvano Maria Tomasi, Osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio delle Nazioni Unite ed Istituzioni specializzate a Ginevra, rappresentano in qualche modo un pugno nello stomaco. Raccontano che dietro la “neutralità” della comunità internazionale (che spesso protegge le ideologie, ma non protegge le comunità di persone) c’è un dramma  nascosto che pure avviene sotto gli occhi di tutti. Tomasi snocciola cifre. “I cristiani – dice – non sono le uniche vittime, ma gli attacchi terroristici contro i cristiani in Africa, in Medio Oriente e in Asia sono aumentati del 309 percento dal 2003 al 2010. Circa il 70 percento della popolazione mondiale vive in Paesi con gravi limitazioni alla fede e alla pratica religiosa, e sono le minoranze religiose a pagare il prezzo più alto. In generale, le crescenti restrizioni poste alla religione riguardano 2,2 miliardi di persone. Gli individui colpiti o hanno perso la protezione della loro società oppure hanno sperimentato restrizioni imposte dal governo e ingiuste, oppure sono diventati vittima della violenza dovuta a un fanatismo impulsivo”.

Tomasi parla di fronte alla diciannovesima sessione ordinaria del Consiglio dei Diritti dell’Uomo sulla libertà religiosa. Non è la prima volta che la Santa Sede lancia questo tipo di allarme. L’intero messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2011, “Libertà religiosa, via per la pace”, fu completamente dedicato al tema. E il 2010 si era aperto con un discorso in cui Benedetto XVI ricordava al corpo diplomatico che si era diffuso un certo disprezzo nei confronti della religione, anche perché  “se il relativismo è concepito come un elemento costitutivo essenziale della democrazia, si rischia di concepire la laicità unicamente in termini di esclusione o, meglio, di rifiuto dell’importanza sociale del fatto religioso”.

È su questo che insiste Tomasi, che ricorda come “gli Stati devono assicurare a tutti i cittadini il diritto di godere della libertà di religione in modo individuale, in famiglia e come comunità, e di partecipare alla pubblica piazza. La libertà di religione, di fatto, non è un diritto derivato o concesso, bensì un diritto fondamentale e inalienabile della persona umana. Un credo religioso non deve mai essere percepito o considerato dannoso od offensivo solo perché diverso da quello della maggioranza”.

Qual è allora il compito dei governi? Non basta definire la religione o riconoscerne l’importanza, bensì – afferma Tomasi – di conferire alle comunità di fede una personalità giuridica, affinché possano operare pacificamente all’interno di una struttura legale”. È ciò che successo in Georgia, dove una modifica legislativa ha permesso di riconoscere la personalità giuridica delle minoranze religiose. Un atto che Benedetto XVI non aveva mancato di plaudire nel discorso al Corpo Diplomatico all’inizio di quest’anno. Un plauso che testimonia in maniera netta un cambiamento nel modo di fare diplomazia, tutto basato sulla solidità del diritto internazionale.

Era un cambio di paradigma già chiaro nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2011. Perché focalizzando l’attenzione sulla libertà del soggetto individuale in legge nazionale e internazionale, non c’è spazio per il collettivismo (espresso dalle varie ‘fobie’ che vengono definite e combattute dalle organizzazioni internazionali: l’Islamofobia, l’ omofobia, la Cristianofobia) né per l’individualismo. Obiettivo della Santa Sede è proteggere le comunità, e non le idee delle comunità.

Anche il Papa, nell’incontro del 2011 con gli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, aveva usato il termine “cristianofobia”. Ma in realtà il testo originale – poi modificato per errore nelle varie correzioni in Segreteria di Stato – parlava di “Cristofobia”, spostando il problema direttamente sul fatto religioso.

Afferma Tomasi: “Al di là delle considerazioni istituzionali, il problema fondamentale riguardo alla promozione e alla tutela dei diritti umani nell’ambito della libertà religiosa è l’intolleranza, che ogni anno porta alla violenza e all’uccisione di tante persone innocenti solo per le loro convinzioni religiose. La responsabilità realistica e collettiva, pertanto, è quella di sostenere la tolleranza reciproca e il rispetto dei diritti umani, nonché una maggiore uguaglianza tra i cittadini di religione diversa, al fine di realizzare una democrazia sana, in cui vengano riconosciuti il ruolo pubblico della religione e la distinzione tra la sfera religiosa e quella temporale. Nella vita concreta, le relazioni tra la maggioranza e la minoranza, se affrontate nel contesto di un’accettazione reciproca, consentono la cooperazione e il compromesso e aprono la via a una coesistenza pacifica e costruttiva”.

Tomasi infine ricorda che “le religioni non sono una minaccia, bensì una risorsa. Contribuiscono allo sviluppo della civiltà, e questo è un bene per tutti”. Ed è per questo, aggiunge, che ne vanno protette libertà attività, che va creata una cultura della tolleranza (e per formarla vanno coinvolti sistema educativo e media, stando bene attenti ad escludere pregiudizio e odio da libri di testo e notiziari), che si deve lavorare in favore di una maggiore giustizia sociale, perché solo così ci può essere un “terreno fertile per l’attuazione di tutti i diritti umani”.

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