Mozambico: il papa invita a non perdere la speranza

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‘Non dimentichiamo che i nomi dei fratelli e le sorelle più poveri, scritti nel cielo, hanno accanto un’iscrizione: questi sono i benedetti del Padre mio’: il tweet ha scandito la giornata conclusiva di papa Francesco in Mozambico, apertasi con la visita all’ospedale di Zimpeto, dove si curano i malati di aids nella periferia di Maputo, grazie al del progetto ‘Dream’, gestito dalla Comunità di Sant’Egidio, dove sono seguiti 3800 malati, soprattutto bambini.

Nel ringraziamento agli operatori sanitari li ha paragonati al buon samaritano della parabola evangelica: “Tutti quelli che sono passati da qui, tutti coloro che arrivano presi dalla disperazione e dall’angoscia somigliano a quell’uomo abbandonato al bordo della strada. E voi, qui, non siete passati a distanza, non avete proseguito per la vostra strada come avevano fatto altri (il levita e il sacerdote).

Questo Centro ci mostra che c’è stato chi si è fermato e ha sentito compassione, chi non ha ceduto alla tentazione di dire ‘non c’è niente da fare’, ‘è impossibile combattere questa piaga’ e si è dato da fare con coraggio per cercare delle soluzioni”.

Ed ha terminato la visita all’ospedale con una parola di speranza cristiana: “Il testo del Buon Samaritano termina con il ferito accompagnato alla locanda, parte del pagamento consegnato al locandiere e la promessa del rimanente al ritorno.

Donne come Cacilda, i circa 100.000 bambini che possono scrivere una nuova pagina di storia liberi dall’HIV/AIDS e molte altre persone anonime che oggi sorridono perché sono state curate con dignità nella loro dignità, sono parte del pagamento che il Signore vi ha lasciato: presenze-dono, che, uscendo dall’incubo della malattia, senza nascondere la loro condizione, trasmettono speranza a molte persone; con quell’ ‘io sogno’ contagiano tanti che hanno bisogno di essere raccolti dal bordo della strada… Non dimentichiamo che i loro nomi, scritti nel cielo, hanno accanto un’iscrizione: questi sono i benedetti del Padre mio. Rinnovate gli sforzi, perché qui si possa continuare a ‘dare alla luce’ la speranza. Qui si dà alla luce la speranza”.

Dopo la visita all’ospedale papa Francesco ha concluso la prima tappa del viaggio in terra africana con una celebrazione eucaristica, affermando che bisogna amare i nemici: “Gesù non ci invita a un amore astratto, etereo o teorico, redatto su scrivanie per dei discorsi. La via che ci propone è quella che Lui stesso ha percorso per primo, la via che gli ha fatto amare quelli che lo tradivano, lo giudicavano ingiustamente, quelli che lo avrebbero ucciso”.

Anche se, ha ammesso, ci sono difficoltà in questa strada: “E’ difficile parlare di riconciliazione quando sono ancora aperte le ferite procurate da tanti anni di discordia, oppure invitare a fare un passo di perdono che non significhi ignorare la sofferenza né chiedere che si cancelli la memoria o gli ideali.

Nonostante ciò, Gesù invita ad amare e a fare il bene. E questo è molto di più che ignorare la persona che ci ha danneggiato o fare in modo che le nostre vite non si incrocino: è un mandato che mira a una benevolenza attiva, disinteressata e straordinaria verso coloro che ci hanno ferito.

Gesù, però, non si ferma qui; ci chiede anche di benedirli e di pregare per loro, che cioè il nostro parlare di loro sia un dire-bene, generatore di vita e non di morte, che pronunciamo i loro nomi non per insulto o vendetta, ma per inaugurare un nuovo rapporto che conduca alla pace. Alta è la misura che il Maestro ci propone!”

Il papa è stato chiaro nel ribadire che la strada dell’odio conduce alla rovina di una nazione. “Nessuna famiglia, nessun gruppo di vicini, nessuna etnia e tanto meno un Paese ha futuro, se il motore che li unisce, li raduna e copre le differenze è la vendetta e l’odio. Non possiamo metterci d’accordo e unirci per vendicarci, per fare a chi è stato violento la stessa cosa che lui ha fatto a noi, per pianificare occasioni di ritorsione sotto forme apparentemente legali”.

Ed ha indicato la via della pace come diritto di ogni popolo: “C’è un’altra strada possibile, perché è fondamentale non dimenticare che i nostri popoli hanno diritto alla pace. Voi avete diritto alla pace. Per rendere il suo invito più concreto e applicabile nel quotidiano, Gesù propone una prima regola d’oro alla portata di tutti (‘come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro’) e ci aiuta a scoprire quello che è più importante in questa reciprocità di comportamento: amarci, aiutarci e prestare senza aspettare nulla in cambio”.

Il cristianesimo è la via della misericordia: “Il mondo ignorava, e continua a non conoscere, la virtù della misericordia, della compassione, uccidendo o abbandonando persone disabili e anziane, eliminando feriti e infermi, e divertendosi con le sofferenze inflitte agli animali.

Allo stesso modo non praticava la bontà, la gentilezza, che ci spinge ad avere a cuore il bene del prossimo tanto quanto il proprio… Si tratta di un atteggiamento non da deboli, ma da forti, un atteggiamento da uomini e donne che scoprono che non è necessario maltrattare, denigrare o schiacciare per sentirsi importanti; anzi, al contrario. E quest’atteggiamento è la forza profetica che lo stesso Gesù Cristo ci ha insegnato volendosi identificare con loro e mostrandoci che la via giusta è il servizio”.

Ha concluso l’omelia invitando il popolo del Mozambico a seguire Gesù: “Se Gesù sarà l’arbitro tra le emozioni contrastanti del nostro cuore, tra le complesse decisioni del nostro Paese, allora il Mozambico ha assicurato un futuro di speranza; allora il vostro Paese potrà cantare a Dio, con gratitudine e di tutto cuore, salmi, inni e canti ispirati”.

Prima di lasciare il Paese per la seconda tappa in Madagascar il papa ha ringraziato il presidente Filipe Nyusi, l’arcivescovo della diocesi, mons. Francisco Chimoio, ed il popolo per l’accoglienza nel ricordo delle vittime dei cicloni: “Sorelle e fratelli, so che avete dovuto fare dei sacrifici per partecipare alle celebrazioni e agli incontri… e so che vi siete bagnati tutti, spero con acqua benedetta! Lo apprezzo e vi ringrazio di cuore.

E sono grato anche a quanti non hanno potuto farlo per le conseguenze dei recenti cicloni: cari fratelli, ho sentito ugualmente il vostro sostegno! E dico a tutti: avete tanti motivi per sperare! L’ho visto e l’ho toccato con mano in questi giorni. Per favore, conservate la speranza; non lasciatevela rubare! E non c’è modo migliore per conservare la speranza che quello di rimanere uniti, affinché tutti i motivi che la sostengono si rafforzino sempre più in un futuro di riconciliazione e di pace in Mozambico”.

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