Da L’Aquila parte la civiltà del perdono

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Quest’anno il corteo storico della perdonanza celestiniana ha avuto i volti della diciassettenne Sara Luce Cruciani, la ‘Dama della Bolla’, e di Federico Vittorini, 24 anni, ‘il ‘Giovin Signore’. La scelta dei due giovani per il corteo storico è strettamente legata al messaggio di rinascita che la Perdonanza ha voluto diffondere, a 10 anni dal sisma:

il volto di Sara Luce bambina, immortalato in una foto con quello della mamma Stefania nelle ore immediatamente successive il sisma, fece il giro del mondo nel 2009; Federico, che sotto le macerie di quel tremendo 6 aprile ha perso la mamma e la sorellina, in questi anni accanto al padre Vincenzo è diventato un apprezzato musicista.

Inoltre il sindaco Pierluigi Biondi ha sottolineato il prestigioso riconoscimento da parte dell’Unesco: “Da ben 725 anni si celebra all’Aquila il rito solenne della Perdonanza Celestiniana, che permette ai fedeli di ricevere l’indulgenza plenaria varcando la Porta Santa della Basilica di Santa Maria di Collemaggio, in un momento di raccoglimento intimo e coinvolgente, così come voluto da Papa Celestino V…

Va sempre ricordato che il Giubileo indetto nel 1294 dal Papa Santo Celestino V, il più antico della storia, è il momento solenne e fondamentale dell’evento e la Perdonanza ne costituisce il contenitore un rito che quest’anno assumerà un valore ancor più elevato: il Comitato Direttivo della Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco ha deciso la candidatura della Perdonanza Celestiniana a Patrimonio Immateriale dell’Umanità, riconoscendone l’importanza straordinaria di messaggio di pace, solidarietà e riconciliazione che da oltre 700 anni diffonde tra gli uomini”.

E nella messa di chiusura della Perdonanza l’arcivescovo diocesano, card. Giuseppe Petrocchi, ha ricordando, con le parole di san Paolo il valore della riconciliazione: “Il Perdono, viene da Dio e ci è dato, gratuitamente, in Cristo; ma al Signore la nostra riconciliazione è costata la morte in croce. Infatti, le colpe che abbiamo commesso non ci sono state imputate, ma sono state caricate su di Lui… A noi sta rispondere a questo infinito Amore, attingendo alla sorgente inesauribile della Sua misericordia, che lo Spirito fa scaturire nella Chiesa”.

Ed ha ricordato il significato del perdono: “Va evidenziato che perdonare non è dimenticare, ma ricordare in modo evangelico, cioè con la sapienza e la generosità che vengono da Dio. E ogni atto di perdono richiede un esigente superamento di sé: non c’è misericordia a basso costo. Una misericordia superficiale e indebitamente anestetizzata diventa caricatura e non immagine vera del perdono di Dio.

La misericordia non può essere svenduta: poiché, per essere autentica, deve portare impresso il segno della croce. Ogni perdono, infatti, nasce dalla partecipazione alla Pasqua di Gesù e ne mostra i contrassegni: cioè, l’amore-che-sa soffrire e, proprio per questo, l’amore-risorto che genera unità”.

Il perdono ‘lega’ l’uomo a Dio: “Il rapporto che lega ciascuno di noi a Dio e agli altri è paragonabile ad una tela comunionale, tessuta con i fili della carità. Il peccato rappresenta una lacerazione fatta su questo ‘tessuto relazionale’ sacro… Gesù e solo Lui è la Porta che Dio ha aperto nella nostra esistenza, perché imparassimo a passare dal dubbio alla luce, dallo scoraggiamento alla speranza, dalla tristezza alla gioia, dalla solitudine alla comunione, dal peccato alla santità.

Se ci dovesse capitare di restare imbrigliati in difficoltà che ci tolgono la pace e rubano la gioia, prima di mettere sotto accusa le situazioni esterne che le hanno prodotte, sarebbe più saggio chiederci: questa opacità interiore che mi porto addosso e la scontentezza che mi domina non dipendono forse dal fatto che sono rimasto impantanato nei problemi e non ho varcato la ‘porta santa’, cioè la Pasqua del Signore, che sola può rendere ogni croce sorgente di risurrezione?”

Il perdono rimanda alla misericordia attraverso la carità: “Un segno fondamentale, che attesta in noi l’azione della misericordia ricevuta e donata, è l’esercizio della carità, che è l’amore di Cristo diffuso nei nostri cuori dallo Spirito. Questo amore abbraccia tutti, nessuno escluso, ma testimonia un’attenzione speciale verso i più bisognosi. Ciò vuol dire privilegiare gli ultimi: cioè rendere operativa ‘l’opzione dei poveri’.

La comunità cristiana, proprio perché ‘Chiesa dei poveri’, sta dalla parte degli ultimi, degli sconfitti, degli scartati: dove si trova qualcuno che soffre, lì la Chiesa erige la sua tenda. Nella categoria dei poveri vanno compresi tutti quelli che mancano di qualcosa che è loro necessaria per vivere una esistenza dignitosa, sul piano umano e religioso. Chi perdona non indietreggia di fronte al male: al contrario, lo identifica e lo combatte con una forza moltiplicata, che non viene dall’uomo ma da Dio”.

Richiamando san Giovanni Paolo II il cardinale aquilano ha sottolineato che il perdono ha una valenza sociale: “La Perdonanza, dunque, non ha solo un ‘raggio’ ecclesiale, ma anche valenza sociale. Proprio questa ‘saldatura’ tra evento liturgico e dimensione civile costituisce una caratteristica speciale che rende la Perdonanza celestiniana, celebrata a L’Aquila, evento unico e al tempo stesso universale.

Sta su questo ‘crinale’, che congiunge il versante della fede e della ragione, la novità del messaggio consegnato alla nostra Città, ma rivolto, attraverso una ‘mediazione aquilana’, al mondo intero”.

Mentre aprendo la Porta santa della basilica di Collemaggio il presidente del Governatorato e della Pontifica Commissione per lo Stato Vaticano, card. Giuseppe Bertello, ha ricordato la sua visita alla città nei giorni successivi al terremoto: “La celebrazione odierna è un’occasione propizia per sentirci comunità viva, che si impegna, specchiandosi nella Parola di Dio e nell’Eucaristia, per rinnovare la sua fede e la sua vita cristiana, come si proponeva papa Celestino nel suo ardente desiderio di salvare le anime e di riconciliarle con Dio e i fratelli e, nello stesso tempo, per riprendere con coraggio e speranza il cammino della nostra vita”.

Ed ha sottolineato che il perdono di Dio permette una vita nuova: “La Perdonanza diventa quindi un invito pressante a lasciarci riconciliare con Dio, ad accoglierlo e riconoscerlo presente nella nostra vita, in una parola, a convertirci a lui. Il Signore ci conosce bene, legge nel profondo del nostro cuore, ci ama così come siamo e si dona a chi è disposto ad aprirgli il cuore.

Gli apostoli Pietro e Paolo… hanno compreso che la santità consiste nell’affidarsi ogni giorno al Signore e, nonostante le loro colpe, hanno scoperto la potenza della sua misericordia, che li ha rigenerati. Hanno incontrato un amore più grande dei loro fallimenti, un perdono così forte da guarire i loro sensi di colpa. Solo quando sperimentiamo il perdono di Dio, rinasciamo davvero”.

Mentre sabato 24 agosto, aprendo il programma religioso della festa il predicatore della Casa Pontificia, p. Raniero Cantalamessa, ha sottolineato il valore anche sociale del ‘Magnificat’: “Così facendo, Maria ci esorta, con dolcezza materna, a imitare Dio, a far nostra la sua scelta. Ci insegna le vie di Dio. Il Magnificat è davvero una meravigliosa scuola di sapienza evangelica. Una scuola di conversione continua…

Il Magnificat inizia e termina con la parola misericordia. Dio, dice nell’ultimo versetto, ‘si è ricordato della sua misericordia’. La parola misericordia ricorre nella Bibbia in due contesti e con due significati diversi, anche se interdipendenti. Nella prima e originale accezione, esso indica il sentimento che Dio nutre verso le sue creature; nella seconda, indica il sentimento che le creature devono nutrire le une verso le altre.

Dalla misericordia come dono si passa alla misericordia come dovere… La misericordia, come si vede, non si esaurisce nel perdono degli sbagli altrui; indica tutto un insieme di atteggiamenti fatto di pazienza, di comprensione, e soprattutto di tenerezza”.

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